che ho discusso in uno scritto - compie un'analisj in urto con Luhmann, interessante, mentre in arte mantiene a rigore, e con forza, il rilievo del movimento moderno. Non confondiamo sempre tutto, per favore ... Il termine simile di «transavanguardia», devo pur dire, ha un certo interesse ma iniziale o di approccio al problema. E certo, nella novità espressionistica, o se si vuole neo-avanguar:distica (non però con l'indeterminazione generica di una Avanguardia supposta, in sé meritoria, ma con la precisione di una serie di scelte dell'operazione), oggi c'è una qualità solo presso alcuni. Ma il settarismo è inutile. Ci sono pure artisti di prim'ordine come Haring statunitense e Penck tedesco, a me pare ... E venissero altre precise formulazioni di, tendenze. Ma il male della confusione è di ora perché, dopo quattro o cinque anni di neoespressionismo, in una discussione malposta, ora avanza il neoclassico... Ed ecco, per me, dove impuntarsi ancora. Già ho detto: leggiamo il nominalismo di vari autori e campi come un prolungamento di tipo mistificato e svuotante verso l'attenzione al linguaggio. Ora mi pare che l'altro elemento dispersivo da criticare è il passatismo insorgente, che non è affatto l'uso dei classici, né il rifiuto delle mode. E ciò vale anche a rifiutare che 1 sia cancellata la soglia novecentesca. A ritroso dal Novecento, si possono rinvenire timbri e motivi anticipati del movimento moderno, magari con enormi esiti di stile. Quale è quello di Rabelais. O il barocco di Bruno, o di Shakespeare. O il diverso cammino di Novalis. Ma nel Novecento si dà una soglia netta di rigorizzazione, che separa dal prima le formazioni di tendenze e gruppi della ricerca, in se stessa divenuta nomade e sprovvista di certezza. Tale soglia si dice anzitutto «espressione» (di una soggettività, in un movimento di urto) piuttosto che forma. Per tornare indietro, sino a un certo punto. E per ricominciare, in una nuova linea anticlassica. Romano Luperini, Un confronto tra posizioni diverse I o vorrei cominciare da una constatazione molto empirica, perché non ho nessuna intenzione di fare, qui, un intervento teorico. Dopo sei, sette mesi di discussione aperta da Alfabeta e in Alfabeta, non c'è stato ancora un vero confronto; tranne pochissimi casi, nessuno si è riferito a nessuno, nessuno si è scontrato con nessuno, nessuno si è incontrato con nessuno. Negli incontri come questo, dunque, c'è un rischio sinora non evitato, che la mescolanza dei linguaggi non divenga dibattito, ma esibizione spettacolare di una giustapposizione o di una chiacchiera indifferenziata, in cui ogni voce si aggiunge alle altresenza incontrarsi, né scontrarsi, ognuna riceve la sua porzione di applausi, in questo microcosmo letterario del convegno, con una grande innocua equivalenza, in tutto omologa a quella della società in cui viviamo. Evitare questo rischiopuò voler dire correrne un altro, che io d'altronde preferisco, quello di essere troppo semplice, troppo schematico. Ma, finalmente, questo non è un consesso accademico. E, per fare subito una distinzione preliminare, direi che c'erano e ci sono due maniere di affrontare la questione posta come si suol dire all'ordine del giorno: la prima riguarda, o vorrebbe, il senso ultimo e ontologico della letteratura, la letteratura come assoluto o il rapporto della letteratura con l'assoluto; la seconda invece preferisce cogliere il senso del limite, il senso sociale e storico della letteratura in un orizzonte determinato. Direi, e la mia è una constatazione un poco sconsolata, che laprima maniera è di gran lunga lapiù diffusa fuori di qui e quindi ovviamente anche qui dentro. Ha dalla sua gli esiti ultimi della· cultura francese, il recupero italiano dell'asse Heidegger-Nietzsche e un critico del valore di Harold Bloom, che forse mi capiterà qui di seguito di assumere talora come parametro ideale di questa tendenza. Per cominciare subito con riferimento a Bloom, c'è in lui profonda appunto la ribellione al mondo del limite e dei rapporti materiali. Perduta la dimensione del contesto, il lettore è di fronte al testo in un rapporto destoricizzato e solitario: e uso questa parola, solitario, volutamente perché è risuonata più volte in questo convegno non senza, mi sembra, un qualche autocompiacimento. E, tuttavia, questo mi pare poi il punto, questo rapporto è accettato come unico ed eccezionale. Mi pare che c'è molto elitarismo e molto spirito consolatorio in questa disperazione senza tragedia o in questa depressione senza vera angoscia. Per esempio Bloom vive la letteraturacome istinto di morte, occorre valicarla subito in una lettura innamorata e simbolica in cui autore e lettore si scambiano di continuo le parti sullo scenario in cui l'unico colloquio possibile è quello con Dio, con l'altro e cioè di nuovo con se stessi. Lo scetticismo ermeneutico e l'interpretarismo soggettivistico non sono che le conseguenze di questo ritorno al sacro, o meglio di questo ritorno, nel caso di Bloom esplicito, alla religione: che assume anche l'aspetto, d'altronde ricorrente in casi come questi, di una religionedella letteratura o, meglio, di una religione della poesia. L'approdo di Bloom alla gnosi, una gnosi agevolmente disposta a recepire ogni istanza neoplatonica, è la conseguenza logica di questo atteggiamento. Un caso di gnosi americana, il caso di Bloom, e vorrei far notare questi estremi: il massimo di tensione religiosa nel cuore della rivoluzione del capitale informatico. Nel testo non c'è un discorso comunicativo per tutti, c'è i~non detto, il verbo, il bene o il mb.le, facilmente interscambiabili, ilpeccato, la salvezza. Ne consegue nella pratica una duplice riduzione, necessariaproprio per sostenere questa tesi, quella di tutta la letteratura alla poesia e quella di tutta la poesia alla lirica. Ne abbiamo un esempio, in Italia credo il più alto, nell'intervento di Agosti sull'ultimo numero di Alfabeta. E cito Agosti perché è un critico che mi lasciaammirato sempre, convinto mai. Dice Agosti: la prerogativa del senso del mondo è devoluta unicamente allapoesia, al libro, con la L maiuscola, espansione totale della letteratura; la storia, compresa quella con la maiuscola, il racconto e quanto afferisce al genere, riposano sulla pia illusione del fatto o sulla nozione di oggetto, la quale in pratica sfugge, né è dato possedere. Evitare il racconto, la storia, questione di moralità. L'estetica diventa immancabilmente un'etica, come in ogni religione delle lettere, certo si deve citare Mallarmé, ma perché non De Robertis o Carlo Bo? Di fronte a frasi come queste di Agosti mi viene fàtto quasi istintivamente, ma, lo ammetto, brutalmente, di chiedermi: qual è il loro posto nella divisione internazionale del lavoro? Si capisceperché noi possiamo permetterci il lusso di parlare di queste cose qui, proprio a Palermo, invece che, poniamo, della mafia... Ma, per tornare su questo punto restando nell'ambito metaforico e metafisico del discorso di Bloom, io direi che Bloom ha il merito di contrapporre gnosi e cristianesimo, e allora può succedere a uno come me, che non è cristiano, di sentirmi particolarmente vicino in questo unica caso, e ovviamente in un ambito assolutamente metaforico, al cristianesimo, se il cristianesimo è una religione tragica e storica, che accetta il limite e pone il problema della salvezza per tutti. La seconda maniera di affrontare la questione, quella posta al/'ordine de, giorno, consisterebbe nel vederla viceversa ancorata all'hic et nunc nel vedere la letteratura come rr,o.porto sociale oppure nel chieders: molto semplicemente: perché li poniamo proprio· oggi il problema del senso della letteratura? Forse questo senso è andato smarrito perché è successo qualcosa, e se è successo qualcosa cos'è successo, che rapporto ha questo smarrimento di senso, questa perdita di identità con i grandi movimenti e sommovimenti che avvengono a livello strutturale e sovrastrutturale in campo mondiale? Nel mio intervento per Alfabeta avevo accennato a dare una risposta a questo tracciando un parallelo con la rivoluzione informatica, che non è affatto una rivoluzione che riguarda l'ambito déll'informazione o semplicemente l'ambito dell'informazione, a monte c'è una vera e propria, grandiosa, rivoluzione industriale. A me sembra che l'ideologia del post-moderno sia tutta dentro a questa rivoluzione e l'ideologia dell'immobilità della banca dei dati, che dà tutto per obsoleto, distrugge passato e futuro e crea, diceva Guglie/mi ieri o ieri l'altro, un'ideologia dell'attualità o una metafisica dell'oggi con la distruzione non solo del concetto di avanguardia, ma anche di quello di tradizione. L'inserimento della letteratura all'interno dell'universo multimediale coincide con questa accettazione dell'unintenzionalità trionfante del presente. Guardiamo allora quali sono, quali cominciano ad essere, quali possono essere le conseguenze di ciò. Anzitutto la letteraturµ appare costretta all'adeguamento, ma anche alla difesa, avverte di poter essere ricacciatain una sorta di riserva indiana e, d'altronde, questo avviene per la letteratura come forse per ciascuno di noi, quando l'identità non è più possibile trovarla nel futuro, un riflesso di difesa è trovarla nel passato. E c'è in giro un ritorno che io definirei alla letteratura-letteratura, al fondo istituzionale della letteratura, o addirittura alla tradizione. Nella stessa riproposizione del sacro, che oggi è così diffusa nel ceto intellettuale che si occupa di arte, c'è secondo me questa difesa. Ricordava ieri Sanguineti come è nata la letteratura; non diceva come competenza opposta ad altre competenze; non come la competenza di chi lavora il ferro che è opposta alla competenza di chi lavora la seta, è nata invece come competenza opposta all'incompetenza, come sapere epotere separati; nel ritorno alle origini, e spesso non manca la O maiuscola, c'è il ritorno anche a questa origine, e l'abbiamo visto e sentito in questo convegno, ora detto espressamente ore rotundo ( uso il latino perc'ié ho visto che è tornato di moda in questo ritorno al sacro), ora vissuta con una punta di aristocratico snobismo. In alcuni interventi è circolata la figura del borghese onesto, dell'intellettualesnob, teorizzata da Montale, circolata magari inconsapevolmente. Lasciato solo nel vuoto creatodal frastuono delle nuove comunicazioni, il poeta cerca un esule risarcimento corporativo. Leonetti parlava poco fa di comunità, appunto. L'effetto di difesa produce questo risarcimento, questo tentativo di risarcimento, che diventa ideologia di massa di una parte consistente del ceto intellettuale, e di qui accenti oracolari, ora trionfanti ora sommessi, e recupero di una concezione della poesia come grazia religiosa, come verità oracolare. Vengono rimesse in circolo tematiche simboliste, post-simboliste e particolarmente purtroppo ne~'accezione' provinciale italiana, vale a dire quella ermetica. E tuttavia non direi che poi in questo ritorno al fondo istituzionale o tradizionale o alle origini della letteratura si debba vedere soltanto l'aspetto predominante, che ovviamente è questo restaurativo. Direi che, paradossalmente, in una società che distrugge il p'rissato e il futuro, questo aspetto restaurativo può risultare forse utile; può rinascere, voglio dire, una tradizione, si può riaprire una dialettica. Ieri e anche stamani, ma soprattutto ieri, ascoltavo le poesie di Viviani: una parabola interessante la sua fra i giovani, un poeta che ha incominciato sperimentale e che, sempre con molta dignità, tende a diventare tradizionale. Al di là dell'ermetismo sta rinascendo una nobile tradizione novecentista, passatista direbbe Leonetti. Viviani, nel suo vissuto elevato opacamente e dimessamente a sublime, indica appunto questa via, con molti echi montaliani non cali, di recupero di un passato come ricerca disperata di una identità. Ma le conseguenze possono anche essere altre rispetto a queste indicate finora. Ad alcune di queste conseguenze accennava il bello (e stavo per dire bellissimo, perché mi ha molto colpito) intervento di Malerba, letto ieri mattina all'inizio dei lavori. Nell'intervento scritto di Malerba, si rappresentava la condizione del povero scrittore; il povero scrittore dice: se tutto il mondo ormai è linguaggio e letteratura, io che ci sto afare? Che detto altrimenti credo che si potrebbe dire così: se tutto è letteratura, niente è più letteratura, è la fine de_llaletteratura, diceva Di Marco. E il nulla di Canetti, il vuoto di Malerba. Ma allora cosa farà la letteratura per non smarrirsi nel ronzio di fondo o nel trionfo ecumenico dell'immagine, come ha scritto molto bene Boatto? Cosa farà per essere se stessa in questo difficile rapporto di resistenza e di adeguamento con l'universo multimediale? Pare condannata ad affermare se stessa negandosi. Infatti, non può sabotare senza autosabotarsi. Se niente èpiù letteraturanon vuol dire che è finita la letteratura, ma, forse, che è possibile solo una letteraturadi secondo grado, che prende le distanze da se stessa, sonda il vuoto e il nulla che la circonda e di cui essa stessa fa parte. Diceva Gadda «sipuò pugnalare anche Cesare, ma non si può rinverginire una puttana». La letteratura, ormai si sa, da più di cent'anni è per l'appunto questa puttana. Ieri Bettini parlava di citazione e di allegoria e stamani la Lorenzini riprendeva l'argomento aggiungendo una differenza fra il simbolo e l'allegoria. lo direi che la crisi della poesia fra anni Quaranta e Cinquanta è uguale a come Montale l'ha vissuta: il simbolo cercav ancora un senso, una «correspondance», pre:,upponeva bene o male un policentrismo ... Oggi il simbolo non e ptù poHibile perché ·;,,, i ::fmboli sono off erti dai n w~ . i -dia, e i mass media off, ,mo non-senso; ma se non è più possibile il .simbolo è possibile forse l'allt.goria. La letteratura di secondo grariv e un'allegoria della /Ptt,,ratura.un'allegoria della ricerca r/.isenso. Nel mondo boçso, comico, spettacolarmente babelico della società informatica e multimediale non si danno più simboli, vale a dire rapporti orizzontali e confidenziali col mondo, ma forse ancora e soltanto l'esercizio sperimentale dell'allegoria, vale a dire il loro rovesciamento verticale. Non saràforse un caso e faccio proprio gli esempi più lontani fra di loro, inconciliabili fra di loro, che due poeti diversissimi come Sanguineti e Fortini proprio su questo si incontrano, nel distruggere il simbolismo e la sua tradizione, e nel riproporre l'allegoria. E per citare un giovane, vorrei ricordare il racconto letto ieri da Di Marco, e altri inediti di lui che ho letto, che sono splendide allegorie. Ma una letteratura allegorica è una letteratura di secondo grado, una letteratura che contesta se stessa o che deve negare se stessa o che comunque deve negare la propria ineliminabile puttanaggine. Insomma, e finisco, mentre indubbiamente prevalgono l'equivalenza, l'indifferenziato, stanno nascendo forse contraddizioni nuove: il ritorno alla letteratura, anzi il ritorno alla letteratura-letteraturapuò ritesserei fili della tradizione. Così come la necessariaautocontestazione delle tendenze letterarie più consapevoli può ridar~ fiato alla ricerca sperimentale. E indispensabile praticare il difficile spazio della resistenza e de~'adeguamento alla nuova società informatica. Credo che la diffusione del neoespressionismo di cui parlava Leonetti abbia qualche rapporto con tutto ciò. E allora, e me lo chiedo sommessamente, molto perplesso mi chiedo: e se domani, nonostante tutto e post-tutto, in qualche modo rinascesse una dialettica tradizione-avanguardia? Giancarlo Ferretti. La condizione del lavoro intellettuale R iprendendo la premessa di Luperini, direi che si è manifestata qui e anche nei contributi in Alfabeta, che hanno preceduto e preparato questo dibattito, una tendenza abbastanza generale, esplicita e implicita, a separare il discorso sulla letteratura dal discorso sul contesto, e la letteratura dal contesto, eliminando poi sostanzialmente il secondo con rare eccezioni (ricordo soltanto Majorino perché l'ha fatto più programmaticamente di altri). Anche il progetto di ternario, che pur si pone il problema, istituisce una separazione, che si avverte sin dalle prime righe. E voglio ripartire da lì, dal progetto di ternario e dallo scritto introduttivo che Levnetti ha pubblicato in Alfabeta, non per la presunzione di riaprire tutto il discorso, ma perché ritengo dia degli spunti utili al dibattito, almeno per me. La premessa nel mio intervento è che, oltre a molte possibili interpretazioni del senso della letteratura come senso assolutamente intrinseco e separato, ce ne possano essere forse altre sul suo senso in rapporto ad altro. Ne indicherò almeno due che hanno nessi stretti , tra loro; e credo non sarà necessario evidenziare da parte mia che il primo senso è in stretto rapporto con il secondo. Il senso come collocazione. Nel progetto si parte dalla constatazione (qui cito tra virgolette alcune frasi sia pur disponendole diversamente) di una certa dispersione di fronte alla quale si è venuta a tro1 are negli ultimi anni la situazione riel lavoro letterario nella ricerca e nella discussione critica. C'è da chiedersi anzitutto se questa dispersione, che verrà spiegata e anche aggravata nelle sue implicazioni nel progetto, ageravata nella sua pregnanza di crisi, se questa dispersione sia soltanto uno scenario di fronte al quale la situazione del lavoro letterario viene a trovarsi, o non piuttosto una condizione dentro la quale il lavoro letterario stesso è di fatto ed opera. Affiora infatti qui un sottinteso criterio di approccio e di analisi, che si ritrova oggi in un diffuso atteggiamento intellettuale e critico e di cui non sono mancati accenni anche qui, in questa sala; la convinzione cioè che il lavoro letterariodebbafare i conti con una realtà mutata che è
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