Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

ogni impresa cosiddetta «letteraria». Scrivere affidandosi all'elaborazione implicatanell'esperienzaassunta comesola autorità; senzapreliminare programma, e senzagaranzia di futura produzione. Tutto un lavoro, tutto u,1 lavorioè possibile,e perfino augurabile, attornoa quel gesto, lavoro-lavorioche stabilisceanalogie, rapporti, trame, che ripesca quel gestoe loimmergein un tessuto continuo, in una storia ininterrotta di gesti chiarie costruttivi. Ma senza l'istante del salto, istantedi discontinuità radicale - strappo ed oblio, impazienza ed ironiaverso la continuità - né letteratura né critica avrebbero esisknz:i. Un altro termine usato da Bataille in L'a littérature et le mal, e che può aiutarci a circoscrivere il campo turbolento (nel senso in cui Henri Michaix parla dell'«infini turbulent») in cui la letteratura si muove, è quello di «enfantillage». È I' enfantillage che Kafka sceglie quando decide di essere l'escluso della sfera del padre. La sovranità che egli vuole è al prezzo di questa esclusione. Non si può, quindi, dar senso alla letteratura facendola rientrare in quel luogo che essa fugge per poter nascere. O allora si rischierà di veder rientrare un cadavere - come accade dél resto nei vari casi di letteratura programmatica di questo secolo. La scrittura è così radicalmente opposta al conferimento o all'imposizione di un senso globale alle proprie operazioni che è capace anche di usare una determinazione ideologico-politica stabilita come programma come se si trattasse di una costrizione di tipo formale - metrico - e quindi come ostacolo che serve a lasciar accumulare l'energia del salto (si potrebbe leggere così ad esempio il rapporto teoria-pratica poetica in Sanguineti). Un intervento recente di Aldo Gargani su Alfabeta descriveva, molto giustamente, la «voce femminile» come portatrice di «interrogativo». In questo senso la voce femminile - la letteratura in quanto «femminile» - corrisponde alla metafora stessa, o se si vuole all'allegoria della letteratura in generale. Poiché l'affermazione che essa porta - affermazione eccessiva - non si coagula mai in rivendicazione di certezze. E se affrontare oggi il problema del senso della letteratura significa affermare la pienezza del suo gesto di interrogazione, scrivere oggi vuol dire ritrovare la radicalità e la funzione gei1eticadi quel gesto anche negli scrittori che la tradizione ha pietrificato, trasformandoli in grumi e simboli di certezze immobili. Dante, per chi scrive oggi, non è il Garibaldi della letteratura liceale. La scrittura non conosce né culti né monumenti. Riconosce, tocca, palpa, nel buio, movimenti, guizzì, colpi d'ali... Chi scrive oggi incontra Dante vicino a sé, davanti a sé: quella velocità, quella irregolarità sovrana - lingua nascente, treccia metrica, freccia nel ritmo ... Chi scrive oggi tende ad uscire dalla poesia breve, post-mallarmeana, «aboli bibelot», righe brevi nel bianco... Ricerca di una linea inedita di narrazione: sotto gli occhi nascita del senso; non più perfezione-rarefazione del dettato presente, ma vacillazione della voce nell'urgenza del dire: nella direzione del transfinito ... Discussiognenerale Preambolo Ora vi dico i termini forse più sensati incuisipuòsvolgerqeuesta secondaparte del nostro incontro: come è collocato il ring o cor,Jronto democraticocoi guanti. E semplicissimo, ci sono alcuni interventi, forse un poco più lunghi, iniziali, anzitutto il mio, perché il mio scrittoapparso in Alfabeta è stato quasi introduttivo, non è stato neancheun discorsosul senso della letteratura,allo scopo allora temptstivo di spostare l'attenzione da un ventennaleallora non gradito a nessuno, quello del Gruppo 63, per centraresui motivi più attuali il nuovo lavoro, con stima di ogni e qualunque forma, tendenza, processodi ricerca. Subito dopo di me tutti possono partecipare a questa discussione. Ciascunoparla quando lo desidera, quindi l'iscrizione non è progressiva, è una prima indicazione. Siccome tutti hanno già parlato, scrittoo portato il loro scritto fino ad ora, ecco che in questo giro ciascunopuò intervenire quando crede, nell'ambito della compatibilità, della discrezione e della cura. La cura viene indicata espressamente dal venireal tavolo, perché quando la discussionesi svolge nella stessa sede dell'assemblea in realtà è più frammentaria, dispersiva e non può diventare scritta; e magari è più importantea voce, ma lo scritto ci permette la diffusione e quindi un rilancio d'interesse. Detto questo vi preciso che siccome il mio compito si presenta duplice in questa riunione, desidererei distinguerlo: parlerò per primo, adopererò i miei dieci minuti, magari con qualche strascico come è avvenuto a tutti, per un intervento tendenziale. E addirittura mi sposterò di posto, subito dopo, né prenderò più la parola, salvo che non sia assolutamente necessario, per sviluppare un'assoluta attenzione agli interventi degli altri e anche per fare presente che il comportamento di ciascuno di noi è diverso da quello della nuova avanguardia, dove l'elemento settario nei riguardi delle altre ricerche era molto forte. Allora forse serviva così, oggi però non serve più ed è meglio che ci sia questa precisione di differenza fra il ruolo di ricerca tendenziale e l'attenzione al lavoro degli altri che può avere un'altra qualità, migliore della propria. Francesco Leonetti (coordinatore della discussione) FrancescoLeonetti. Duepunti, I e Il 11 titolo che ho posto io stesso per la riunione di Palermo è stato frainteso in modo quasi incredibile. O se volete ho la soddisfazione che nessuno l'ha capito. C'è chi l'ha detto impressionante. E chi sciagurato. Certo è che il tema assume valori aggiunti... Ma, per precisione, è anzitutto uno stenogramma, una formulazione ristretta, come è caratteristica del pensiero in rapporto al linguaggio pensando ... E vuol dire: il tipo di produzione o attribuzione del senso che è proprio - e autocontraddittorio - della letteratura o della poesia oggi. Dico «oggi», mentre non risulta, come cosa ovvia, e nell'uso stesso di Heidegger che alla domanda «che cosa è la metafisica»sosteneva doversi rispondere «chi pone oggi questa domanda»... E dico «autocontraddittorio» perché s~no un dialettico marcio, forse. E pur comune legare insieme senso e nonsenso, che oggi si richiamano. Né certo la letteratura o la poesia è una madre o istituzione in cui c'è un rifugio... Ma perché no? O può darsi che sia ciò che conviene negare e contraddire ora, in mancanza d'altro ... Insomma c'è nel mio titolo un semplice complemento di specificazione, per avviare un dibattito volutamente non orientato. È per questo che ha intrigato tutti; e meglio così. I. Il senso del senso A mio giudizio, la questione «il senso della letteratura» riguarda anzitutto il problema della conoscenza. In ogni disciplina è oggi corrente e preliminare - prima di effettuare e nell'atto di effettuare la ricerca - una ricognizione sullo statuto cognitivo. Ciò, anzi, è peculiare della ricerca, come un dubbio rivolto a sé. E certo è un tema di fondo, o di lungo periodo; come i problemi dell'apprendimento o quelli della percezione; o come quelli sulla non certezza di una verità, oggi, nella scienza. Penso che i rigetti o i turbamenti su tale argomento siano sintomatici di un disagio, o di una scelta differente. Pare che presso i più giovani sia intensa l'attenzione al livello teorico, che è relativo ai vari campi, ovviamente; e che si leghi con ciò l'attenzione alla ricerca letteraria artistica. Pare che più dei libri di narrativa, saggistica e poesia, nella situazione creata oggi di un certo discredito, di un netto disorientamento, e di un alto prezzo per la critica culturale, siano lette piuttosto certe pagine culturali, o le copie di ,1lfabeta (fra le dieci e le venti). E strano? Certo il teorico e il letterario si presentano insieme nelle formule degli strumenti informativi che hanno base autonoma (dagli editori e dai partiti): estensione fra campi confinanti, modi d'indagine traversale, con qualche effetto del modello in crescita, proveniente dalla biologia o dall'antropologia: col suo concetto di fluttuazione e poi di processo stocastico... E che sono insomma strumenti policentrici (e viaggianti nell'edicola). Ora devo dire teoricamente che questo argomento del senso contiene una scelta, anzitutto, di prolungamento nuovo e non svuotante di quell'attenzione al linguaggio, inteso come complementare o decisivo nella ricerca, nient'affatto strumentale, e però non vuoto, che ci ha occupati per vari anni. Non prolunga giustamente ciò, invece, ma lo scarica, ogni idea di letteratura come atto linguistico assoluto, ontologico, o se si vuole ermetizzante, o, come io preferisco dire oggi, «nominalistico». Il nostro primo avversario teorico in vari campi, e anche nel letterario, è secondo me il nominalismo. (Non la nominazione che è un altro atto.) A mettere intanto in rilievo il valore del senso della letteratura che è ancora dominante, si sa che esso consiste nel definire la letteratura come un tipo di modellizzazione rispetto agli oggetti intesi come opachi ed esistenti. Così Lotman e altri teorici. Questo è, a mio parere, un idealismo oggettivo «forte», che ha un suo rigore difendibile e apprezzabile. Con questo, o con altri criteri, si investe oggi il piano semantico, si compie l'analisi linguistica-semantica. E di ciò si tratta insomma nella nostra questione. Si tratta dell'antropologia, dove si pesca sempre. E si tratta di ciò che Barthes argomenta gia nel '63 come procedimento duplice di un uomo che è «fabbricatore di senso», rispetto al reale, con approssimazione al reale e con attribuzione di senso o di un nonsenso al reale: prima c'è un «ritaglio», quindi un «coordinamento», secondo Barthes, in termini vicini a certe tecniche della pittura del Novecento e anche vicini al «bricolage» dell'evoluzione. Un luogo specifico e recentemente rigoroso dove questi problemi sono stati posti è certo il libro di Maria Corti, La felicità mentale. Leggiamo con passione, qui in un'aggiunta inaspettata a Contini, come sia decisivo l'aristotelismo radicale averroista nelle scelte dei primi grandi poeti italiani. E leggiamo una teoria dei campi semantici mobili, che presenta una certa tecnica dei «prelievi» dai testi teorici, nell'elaborazione della poesia; e affema che i «vocaboli già tecnici (e cioè specifici, filosofici o teorici) diventeranno polisemici, soggetti a stratificazioni semantiche» nell'intervento dello scrittore. Ora, si deve ricordare che per alcuni teorici nella polisemia sussiste un elemento semantico maggiore o prevalente, che viene arricchito o prillato (nel processo primario). Ma, comunque, si può configurare l'intellettuale-poeta, o l'operatore dotato di pensiero poetico, come un peculiare fabbricatore del senso: in quanto ha la funzione di investire i nuclei culturali essenziali che riceve, o preleva acutamente, e a cui lavora, di una dimensione più ampia, con presenza del corpo e del basso, e della scelta di voce, e in un atto di movimento. Concludo questo punto col dire e proporre che vi sono dunque due criteri definibili: «semantizzazione» (attribuzione o caricamento di senso) e «desemantizzazione» (semplificazione degli strati semantici, o alleggerimento decostruttivo, o uso del nonsenso, oppure slittamento). Ritengo che i due criteri nella letteratura sono complementari e vanno attentamente calcolati e finalizzati. Ritengo che essi sono stati posti male e confusamente negli anni Settanta; e, per questo, è circolata un'idea generica di oralità, con un prevalente prodotto amorfo (che Barberi Squarotti descrive in breve così: «una formazione ininterrotta di catene metaforiche che devono valere per se stesse»). A ricostituire una migliore «comunità letteraria», ora, ripeto che l'opera di letteratura porta sempre in sé, nella sua base prelinguistica, antropologica, e ogni volta differente, un'esperienza cognitiva fondamentale, che come tale è non verificabile. E di cui, come cosa veramente nuova, direi, usando un criterio epistemologico attuale: solo o specificamente nell'opera d'arte, che ha un'es~rienza inverificabile internizzata, si presentano commisti, inseparabili e reciproci, il vero e il falso che stanno insieme - e dobbiamo concepire sempre insieme - nel processo di conoscenza. (Su questo punto è decisivo ciò che ha già detto Gargani.) Dunque non ci sarebbe, secondo me, un rapporto speciale della letteratura con l'emozione o con l'immaginario, ma un rapporto speciale con l'inerenza fra la relatività del vero e il doppiofondo del falso. Il. L'espressionismocome partenzae come ricerca attuale Riparto dai valori del termine e concetto di «senso» per dire che viene immediatamente anche quello di movimento: in che senso va la ricerca letteraria? A quale punto è? L'argomento del senso ci dovrebbe dunque portare, nel seguito maturo del dibattito e del lavoro, a considerare le varie tendenze, con relative dichiarazioni e segnali di strada, dati dagli scrittori-teorici (o critici) e dai critici di movimento e dagli osservatori di ricerche con interessi contigui. A partire da un'analisi, non compiuta ancora funzionalmente e bene, della produzione oggi. La seriale e la ideale. Si sa che c'è un mutamento in corso almeno di pari importanza che quello della catena di montaggio negli anni Venti: e che anzi investe direttamente il nostro campo, l'informazione, il visivo e il verbale, con operazioni superiori che vengono «incorporate» nel macchinico attraverso scomposizione analitica e modellizzazione dei processi. Fin qui è di Luhmann l'analisi complessiva più penetrante. Il mio stesso primo scritto portava già sul neoespressionismo. E ora sostengo infatti che l'espressionismo è la fondamentale tendenza novecentesca (o avanguardia, come si usava dire), che in arte ha l'arco da Kandinsky e Klee sino all'espressionismo astratto, eccetera, e in letteratura italiana va dai vociani a Gadda (quasi tutto ciò che ci interessa dei padri o dei classici recenti, aggiungendo Montale; né di Gadda si deve privilegiare l'elemento «spastico» del linguaggio, ma la struttura). E occorre dunque secondo me ristabilire anzitutto la novità, o il salto, o, come preferisco dire, la procedura di rigorizzazione, che l'espressionismo comporta rispetto alla tradizione precedente e a quella classica. Assumendo l'espressionismo stesso in senso lato come tradizione. Non si tratta solo di felpare il grande stile: tesi equivoca che qualche cosa tuttavia indica; c'è dopo Freud-Kris l'ironia o gioco indispensabile, particolarmente se è sobrio, oramai. E tante altre cose della linea anticlassica, che ha più versioni. Secondo me si è fatto un errore venti anni fa; e io teorico di lungo periodo, o ritardatario giustificato da certe altre cose inutilmente fatte bene, arrivo qui a correggere l'errore. L'espressionismo, che ha un supporto suo proprio da definirsi come critica del soggetto, invece che essere inteso per un passaggio decisivo è stato vissuto e inteso per un passaggio confuso o preliminare, e cioè genericamente corruttivo della classica armonia, mentre il nuovo comincerebbe più oltre, dove è magari più linguisticamente netto il distacco dalla cosa. Ora c'è un mio saggio, o nota alquanto fitta, sull'espressionismo come linea anticlassica iniziale del Novecento, che ho esposto come relazione al convegno per Gadda nell'Università di Roma quindici giorni fa. Risulterebbe che il nucleo dell'espressionismo non è linguistico (e tanto meno di gioco lin° guistico) ma strutturale nel suo valore non armonico. Né il suo motivo è solo «la morte di Dio» (che vuol dire la fine degli assoluti, o, come Vattimo scrive ora, l'esperienza «della superfluità esplicita di ogni fondamento»). Il motivo dell'espressionismo è piuttosto un atto di percezione «selvaggia» o arcaica (non storica) dove cioè emerge la struttura elementare della mente, con un dato materiale esterno posto tutt'insieme alla non certezza, o alla mobilità del fondamento. Con una deformazione da cui parte l'allegoria. Alcuni nomi. Malerba, mi pare; Manganelli. E me stesso. Poi Di Marco. Poi Vicinelli. E altri. Ora c'è anche l'esercizio in corso, violentemente discusso, neoespressionistico nell'arte. Che io ritengo detto equivocamente postmoderno. Va se mai detto «late-modem». Peraltro Lyotard che è la fonte europea del concetto - e

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