Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

ni testardi il tentativo sia in atto, effettuare operazioni di spostamento, intensificare la molteplicità dei rapporti con l'extraletterario, progettare e praticare una diversa misurazione. Regole e controllori lavoranoormai per una stilisticariconoscibilee innocua, che puramente nel commerciale, dispiegantesia gonfie vele o a vele semigonfie, trova il nemico da esorcizzare o, che è quasi lo stesso, il modello da sognare. La situazione, già complicata, è resa ancora più difficile dalla coesistenza di due ampie articolazioni mediatorie, che funzionano da direzioni concertanti. L'una, ancora maggioritaria, anche perché sostenuta dalle corporazioni, evidenzia la complessità del reale, la varietà e la tolleranza delle posizioni, la ricchezza delle possibilità; l'altra, richiamantesi in esclusiva o in preminenza al marxismo, evidenzia la dipendenza di tutto dal dominio borghese e dal modo capitalistico e la conseguente necessità di una lotta politica di mutamento. Queste due grandi maniere pratico-teoriche d'interpretare, d'agire, di sentire tendono a tutto raccogliere, mediare, ritrasmettere, e tentano d'imporsi, ciascuna autoaffermandosi unica e negando l'esistenza dell'altra. Mentre diventa sempre più necessario, per comprendere e per agire, per sentire e per scrivere, incorporarle entrambe. Anche perché milioni di persone e ciascuno di noi le porta in sé e le trasforma continuamente in atti e in comportamenti. Chiamando l'una senso della complessità, e l'altra necessità di mutamento, possiamo meglio provvedere alla loro identificazione e alla loro incorporazione. Termino invitando alla discussione di argomeQti decisivi del genere più che alfa discussione di procedure e termini interni al fare letterario, presupponenti un'armonia per fortuna e nel reale inesistente. Duepassai vanti,tenereladistanza L a prl.Xiuzionelibraria di questo decennio segna il netto confino della letteratura come senso. Nella semioscurità dei magazziniin cui è relegata, il senso della letteratura diviene polvere, come tutti noi del resto. La letteratura come evento, dove il terminestesso supera i cari e spensierati significatidella cura, sovrasta dall'alto, in dignitoso esilio, la vita più bassa, quella più a portata di mano, più accessibile, quella che non ha ali per volare. È vero, la moneta cattiva scaca FrancescoDi Piazza, chenacquea Palermonel 1921 P otessi rivederti Francesco, una sola volta. Ritornassi tra noi! Ti chiederei se con la morte ti è passato il desiderio di scrivere, di fissare i tuoi pensieri, certe intuizioni che sentivi geniali, uniche. Tutta la vita hai inseguito questo sogno: fare un libro. Ma non l'hai fatto, a costo di sentirti fallito. Come fingevi bene, le ultime volte che ci siamo visti, la disperazione, la depressione più nera, per il libro mancato. E io a confortarti, a dirti: «La tua vita è stata grande nelle parole pronunciate con la tua voce piena, inconfondibile. Hai dato tutto nell'attenzione ai passanti, agli amici, ai figli:un'attenzione miracolosa». E mi rispondevi: «Tu non sai cosa vuol dire non aver.e scritto». Ora lo posso dire: come fingevi bene. Volevi imitare le nostre ragioni per rendere il distacco meno violento e odioso. Ma tu sapevi bene che non bisogna scrivere: e hai retto con molto coraggio fino alla fine. Ora che mi compari in una piazza della mia città, Milano, tu lo confermi dicendomi con un sorriso: «Ahimè, non sei cambiato Cesare. Sei quello che mi chiama di più. Fai male. Pensa cosa sarebbe la vita se fosse proibito chiamarsi». Una sera a mezzanotte suona il citofono. È un'amica che vuole vedermi. Scendo, camminiamo sotto casa mia lentamente. Le dico: «Ti porto a casa con la macchina». Lei rifiuta. «Ti accompagno alla Metropolitana, a Loreto»: risponde A bbiamo imparato a scrivere in lettere maiuscole parole come arte, letteratura, poesia; forse non abbiamo rinunciato al maiuscolato per parole come storia o utopia. L'esperimento che propongo è chiederci che cosa accadrebbe di arte, letteratura e poesia, se cominciassimo a desacralizzare anche quelle altre parole. Se insomma rinunciassimo a sostiture nuovi dei agli dei morti. Potrebbe risultare un modo di recuperare storia e utopia. Cominciamo con l'idea di storia. E l'idea dell'emancipazione dell'uomo, della sua disalienazione da condizioni e servitù storicoeia quella buona, così come il soggetto scaccia se stesso: si parla d'altro come se si stesse effettivamente parlando d'altro. È la crisi della letteratura come metafora. Il nuovo compratore di ibri non è più il soggetto detratto della propria soggettività e nemmeno l'oggetto attratto dalla propria oggettività. II nuovo comprat~re di libri ·è ciò che non ha nome. E il succes- •so della letteratura come intrattenimento, è il successo della letteratura privata, privata proprio come il suo lettore di se stessa cioè di di no, mi dice che vuole andare a casa a piedi. Abita in periferia e per arrivarci ci sono tante strade buie. Mi preoccupo. «Ma non ci sono problemi», insiste. Mi sembra eccessiva la sua calma, penso che ha bevuto. Glielo chiedo, dice di sì. «Ma è pericoloso passare a quest'ora di notte a piedi per le strade deserte, puoi essere aggredita». «Sono cose che non mi toccano - mi risponde lucidissima - non mi riguardano e perciò non possono accadermi». Io penso che non parlerebbe così se non avesse bevuto. Francesco, come mi permetto di non credere alle cose grandi che vedo? Tempo fa Mario, un amico quarantenne, mi vuota il sacco colmo di cose belle. «Sai- mi dice- cos'è che credo fondamentale: nel senso che sta alla base del mio andamento positivo? Il rapporto sessuale con Claudia. Sono sei anni ormai che stiamo insieme e posso dirti serenamente, pacatamente, che è sempre stato bello, riuscito, appagante, un'intesa perfetta, insomma non abbiamo mai mancato di finire insieme felici. È un vero amore». Un mese dopo mi telefona Claudia, voleva parlarmi. Arrivò piangendo. Mi disse subito, rapidamente, che da sei anni fingeva con Mario un piacere fisico che non sentiva. Non era venuta a chiedermi consigli o mediazioni. Ma solo per dirmi che avrebbe col!.!,\~uatoa farlo per sempre. «Oggi, quando ti aspettavo, mi sono chiesta quanto ti avrei aspetMichelangeloCoviello lingua, di scrittura. È il trionfo della distribuzione sulla produzione. Anche chi puntava sulle mode culturali è finito ai Remainders, vittima della stessa macchina che aveva costruito. La moda del libro è superata, meglio entrare nell'Emporio Armani dove davvero la cultura diviene materia, stile, qualità della vita. In questa situazione il senso sembra rimanere incollato all'autore, stranito, come chi telefonando all'amata incappa nella segreteria telefonica. Tuttavia, forse per Dialoghi CesareViviani tato. E ho risposto: non più di un'ora». Come risuonò questa frase! Non avevo mai sentito tanta semplicità portare in sé tanta attesa. Non nel senso bugiardo che la sua attesa si dilatava fino a diventare l'attesa di tutti: ma in quello vero per cui la sua era la mia attesa. Sì (non è un gioco verbale) la mia attesanel mio ritardo: perché il mio ritardo non poteva non essere osservato (nelle due accezioni di «osservare»: «notato» da chi aspettava e «rispettato», «mantenuto» da me) ogni volta. «Pensavo a quante cose potremo fare insieme quando starai bene!»: glielo dissi sorridendo, credevo fosse un bel pensiero. Lei invece s'abbuiò, mi guardò ferita e rispose: «Che brutta cosa m'hai detto!». Quanto tempo mi ci volle a capire che aveva ragione! Che orribile fuga sono gli auguri! Io non so insegnare. Chi mi insegna sono quelli a cui dovrei insegnare. Mi assale e mi pervade una sensazione: che il mio lungo percorso di conquista, la mia lenta e sofferta conquista di libertà, il mio grande impegno di verità alla fine portino a un risultato minimo, elementare: lo stesso che ottiene un ragazzo nel fare a pugni. Dicevo a un'amica: «Ci si accontenta del bene, di quello medio, mediocre, piuttosto che andare in cerca di uno grande. Ma io da qui in avanti - e valorizzavo con convinzione quel che dicevo - non voglio più accontentarmi. ..». «Io - rispondeva lei semplicemente - l'ho sempre fatto di evitaquesto, il senso della letteratura riacquista senso, scrivere diviene il fondamento dello scrivere, tanto più necessario quanto più ritenuto superato, poco contemporaneo. Chi si preoccupava della reificazione, del libro come merce, ora non si preoccupa più: la nozione stessa di differenza è stata annullata dalla tecnologia dell'immagine. Il senso del libro, e quindi della letteratura nel suo complesso, oggi trionfa sul suo valore d'uso: il soggetto teme se stesso e si affida volentieri alla silenziosa catarsi del re il bene mediocre». Giocano con le armi ogni giorno. A volte parte un colpo e si divertono per il rumore, o un passante sfiorato salta dalla paura e loro ridono. Mi hanno ferito e nemmeno se ne accorgono. Era già successo. Ma questo colpo è grave e profondo. Cammino per Milano, è buio, e perdo sangue. So che non posso più chiamarti, Francesco, né posso ricordare la verità che mi dicevi su questi giochi. «Ho vissuto ogni parola del testo», dice a se stesso lo scrittore terminata l'opera. Incontra un editore che gli dice: «La parte finale - quella in cui finita la guerra il protagonista riprende la vita normale - è meglio toglierla». Esce il libro snellito e il primo lettore, un amico, commenta: «Mi ha divertito questo tuo romanzo». L'intelletto è un sistema, una macchina, ma i passaggi, i salti della conoscenza li fa la gioia: ecco da dove viene «saltare di gioia». Ritorno dai semplici amici di un tempo. Remo lo trovo preso ad allevare polli e conigli: li governa quattro volte al giorno, è sempre con loro. Scattano subito in me l'analisi, il ragionamento, lo sguardo critico. Vorrei dirgli: «Ai nostri tempi, quando mi portavi a caccia con te, andava meglio». Ma come posso cullare un pensiero simile? Meno male che arriva di corsa Giuliana, la pazza. Mi aggredisce e dice parole sante: «Quando sei Laparolatemporale Guido Guglie/mi naturali, della sua riappropriazione di sé e delle proprie potenze. Storia ha classicamente significato - se mi si consente una frettolosa semplificazione - passaggio da un livello di contraddizioni a un altro livello più alto; superamento progressivo del dolore del divenire. Sappiamo che la denuncia di questa visione dell'uomo è venuta prima che dalla Dialetticadell'Illuminismo di Horkheimer-Adorno, dal Benjamin che raffigura l'angelo della storia chino sulle rovine del passato e impedito di fermarsi presso di esse dal vento del progresso che lo trascina verso il paradiso. Lo stesso Benjamin però conserva l'idea di un tempo-ora (Jetztzeit), di un'estasi temporale, o di una rottura messianica del tempo attraverso la quale sia possibile la salvazione: sia possibile cioè passare dalla sofferenza di ciò che non si è realizzato - dato che la storia è un ingorgo di movimenti falliti - a una realizzazione che è anche una conclusione della storia. E siamo qui all'utopia, al rovesciamento della facies hippocratica dell'uomo storico nella facies luminosa dell'uomo redento. Ebbene, sono concezioni, queste, che non hanno mai rotto con l'idea di una divinizzazione dell'uomo. Hanno. affermato che il divino è un'aliénazione dell'uomo (non sono gli dei che creano gli uomini, ma sono gli uomini che creano gli dei da cui si sentono guardati), ma non hanno mai cessato di intendere l'uomo come pienezza di essere e realtà da restituire, come verità che fatica a venire in chiaro di se stessa e tuttavia destinata, in un ordine profano o messianico, a manifestarsi. Sono concezioni insomma che non hanno mai rotto con l'idea dell'uomo come forma. Il loro materialismo (quando ad esso si richiamano) è in sostanza strutturalmente platonico e idealista. farmaco, purché tutto taccia. Purché il tutto taccia. Eppure per chi, non soddisfatto, vuole ancora stare nel gioco vale sempre la vecchia regola che quando i supermercati chiudono riaprono le bancarelle: strutture agili, genuine, personalizzate. Tra queste: «corpo 10», una collana di letteratura contemporanea, i cui autori sperimentano i mutamenti del mondo nel linguaggio, cioè in se stessi, fornendo così una prima definizione alla letteratura. passato con la macchina hai alzato un polverone tu che •non capisci niente». Come è andata male con un amico! Quando gli parlavo senza riserve lui prendeva il mio affetto per una resa e, come fa il vincitore, dettava le condizioni per arrestarmi. Non gli dirò mai più le cose vere, le scriverò per me. E so già che un giorno verrà a chiedermi: «Sono forse io quell'amico?». Naturalmente gli risponderò: «Ma no, è un frutto della fantasia». A Milano nessuno ancora sa della tua morte. A chi mi chiede di te, rispondo che stai bene, che hai smesso di lavorare e ti lasci trasportare dalla vita. Forse è possibile che, qui a Milano, nessuno sappia mai della tua morte. Come è finita male con un'amica! Io sono sicuro che lei ha avuto paura di scoprire quanto poteva essere grande la nostra libertà. Lei ribatteva che questa mia interpr:etazione era un modo ulteriore di pretendere. Ora ho paura di incontrarla, immagino i suoi percorsi e li evito, penso che ce l'abbia con me evoglia nuocermi. Ma lei invece chissà dov'è, chissà cosa pensa. E infine, se potessi dialogare con voi che mi ascoltate, vi chiederei se provate la mia stessa sensazione: sento come se cercassimo una cosa che abbiamo perso, una cosa che abbiamo perso insieme. E poiché abbiamo usato la parola materialismo, vediamo che cosa esso comporti. Esso comporta in primo luogo - credo - l'idea che l'uomo non è forma, che la civiltà è deformabilità, consumo, entropia. E che pertanto vedersi mascherare dietro l'ideologia di una forma o di una entelechia, equivale a perdere la positività dell'esperienza. Voglio dire che le civiltà in tanto sono vere, in quanto si sanno mortali. E non solo si sanno mortali, ma si investono positivamente di questa condizione. Che è proprio quello che i concetti di storia e utopia hanno sempre rimosso. La concezione del tempo

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