Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

.,,,.., ... ,.., .. ,., .......... • ...........,,.,. _,.,,..,,,,,..·,·,•..•,...W. ,,.,,,.,..,..,,.,,,.,,..-,-- ,..,,,.,~,..,,..,,,.,~ Interventoinversi Fui - lo furono tanti miei coetanei - un alfabetizzato precoce. Merito e colpa dei miei fratelli maggiori ma più ancora del silenzio, padrone dei vuoti dentro casa ogni mattina. Quattro anni appena compiuti (l'inverno '43-44), compitando spazzavo Silvio Ramat e letteratura. Era quel senso che scatenava il sogno in una camera e l'aggancio per mimesi al destino di eroi fluenti in veloci trafile. Intuizione del sacro che si cela - che si squaderna, tentato per vene amorose - in romanzi che di te fanno in età sconfinate un Tom Sawyer, un Ernesto Nemecek, se anche ignori molto prima ch'io fossi... Si può azzardare a sedici anni, se il XX secolo intraprende a mio modo qualche chicco del freddo e della fame di un tempo di guerra che riafferro più strettamente, dopo, da sfollato: «nel solco dell'emergenza» come recita un Montale di annata ... le tinte dal vero di Budapest o il torbido lussureggiare del Missouri... la discesa, un sonetto d'amore? L'unico che tentai, la primavera del '55, in quante giunture scricchiolava e cedeva! Per eludere qualcos'altro, magari il ticchettio di una vita in eccesso di senso Il senso della letteratura, mi dico. L'anno '44 e il verdeacqua di un'agenda scaduta. Non ho dubbi, è lì sopra che mi scoprì il senso del fare letteratura. In racconti di dieci righe e anche meno, sfuggenti al criterio che il titolo svelasse il succo della storia. Un'altra era la difficile, la bella avventura: dare una direzione (il primo senso, quasi l'unico) alle rade parole, parole mie, lettere a stampatello sfilanti sì dalla riva sinistra verso l'opposta, però in linee mai bene orizzontali (non ero ancora scolarizzato, le aste mi mancavano e ogni altro orientamento). Linee a onda portavano i miei racconti, o a zigzag, mezzetracce un po' rudi di arcuate collinette sul cui vago tragitto fabula e intreccio andavano smarrendosi finché unico brusco soccorreva proprio la riva destra, quell'argine benedetto. Senso, era un senso il compiersi - il morire - di quelle traiettorie di grafite in grigio, in viola copiativo; e senza più alcun senso, la sera, richiudendosi l'agenda del mio quinto anno di vita. Ho sofferto ab antiquo di pigrizia (se questo non ha protetto una mia riserva, invece, di grazia e salute ... ) Il Distante è una suggestione che prende corpo non lontano. Ma ti punge alla porta di casa, è quella spina alla finestra che ormai rivela il dolente divario tra lo scrivere e l'essere. Ma spinge l'essere non scrivente, quale io fui lungamente, ad amare lungamente quanto, scritto, ha saputo essere, essere in se stesso esemplando il virtuale dell'esperienza con la già bruciata esperienza ... Parlo di una stagione non pervasa ancora non incrinata da un vocabolo tagliente, teen-agers, che fasciandoci tutti ci cancella le differenze. Io, come ogni altro, ero solo sulla pista odorosa delle ardenti letture, né vi fu retorica nel rifarsi alla formula di sacro testo. Sacro il contenuto per allora. Fu quello solamente che dette senso alla letteratura. Un grumo, un dumo di emotività bilanciato tra il donare e l'accogliere mentre dettava legge il personaggio (bisognava rimanergli alle costole: l'impazienza induceva l'io-lettore a glissare sui paesaggi insistiti, sulle frasi lavorate a rilento ... ). Mai tempo dunque fu così remoto da quel senso della letteratura che oggi più ci persuade? ... Entrava nel prossimo e persino in me. In sua vece mi spuntò forse il ritratto di lei, sperso in moduli miniati e tra veli: dove io c'ero e non c'ero, a seconda di che soli o che gràndini pesassero sui raccolti. .. Prima e durante e dopo l'èra degli urlatori (nel disgelo del mondo), invidiandone parecchi pur come, loro sì, davano fuoco alla buccia impagabile del senso dell'amore -, centinaia di volte da quella acerba e sùbito rimossa, centinaia di messe in moto o in mora della vita, via via ricrescendo sull'arazzo della pagina piena un altro senso, un maturante senso della letteratura: e molto avanti che ne sondassi (e, ahimè, ne offrissi futili casi e precetti, immeritus, ex cathedra) il malsicuro decoro di «scienza». Man mano la letteratura, lei, ebbe senso poiché fu un senso: tale sperai mi diventasse, «grande stile» con sforzo e gloria dalla fronte alla mano dal cuore al corpo intero, misurando più da faber che da esatto chirurgo, ricolmando quel tenue ma tenace intervallo, l'amaro fossato, di là dal quale, prèdicano i forti, si dispera e s'esalta, inarrivabile fitto universo di segni, l'esistere. Esco di casa, sono qui con voi, molto simile a voi, stuzzicato Anni opachi seguirono, di classe quel nostro ardore, o credeva d'entrarvi, proprio nel cuor dell'opera ... chi sa e fraterno sull'ambiguo irritante nulla-tutto del nostro tema. Il senso della letteratura? Frantumando in classe, voti altalenanti sempre fra il cinque e il sei. Ma anni non toccati dal demone televisivo e, per questo, voraci di romanzi: da consumare in santa pace feroce. Le convalescenze di allora, quali fiorite cisterne per l'adolescenza che chiede idoli! Quell'io-lettore avvertiva snodarsi intorno a sé da letto a scrivania un nuovo e più miracolante senso, un rimando una rima tra avventura dove sia acceso l'errore ... Ma certo non pensò quel lettore, dalla sua terra sospesa, che potesse nascere sull'altro piatto della bilancia un piacere di scrivere, di nuovamente scrivere. Quello, fra concupito e temuto, parve còmpito altrui: ogni scrittura era assolta, risolta nelle pagine date già perfette e custodite eterne sui palchetti della biblioteca di casa, e molto la pietra autobiografica, postillo con discrezione: se davvero il senso della letteratura, la chiave di lei che ci fa macri e il suo snervante segreto dipendessero (come altri non smette di enunciare con sorda autorità) dai giochi del Potere, dai rapporti di Produzione che affilano il mostro neocapitalistico ... - ma no! (mi fido, mi affido a voi), sono certo che questa sala sarebbe deserta ... Laricercaoggi ncorso I o non credo affatto che la letteratura sperimentale d'avanguardia, come da più di un decennio si viene affermando e si tende di accreditare, sia molta, così come non credo che le istanze e le proposte de~'esperienza storica della nuova avanguardia e del Gruppo 63 siano del tutto esaurite; ritengo viceversa che esistano istanze oggi ancora recuperabili e ancora gestibili in una direzione di superamento e di lievitazione al di là dei confini e dei limiti dell'esperienza di quel movimento storicoletterario. Una mia seconda premessa è che penso invece, e sia detto senza polemica diretta che non mi interessa affatto, ma in termini generali, che le varie espressioni di neoromanticismo, di letteratura orfica, neoromantica, spiritualizzante nelle varianti spiritualistiche e autobiografiche, che si sono venute sviluppando nell'ultimo decennio soprattutto fra Roma e Milano sotto il segno dell'innamoramento della poesia e dei suoi valori e funzioni postume, rappresentino uno dei casi più significativi ed emblematici di quel processo di restaurazione culturale che è innegabile si sia venuto realizzando a tutti i livelli e in tutte le forme dal 1970 ad oggi. E penso soprattutto alle conseguenze che si sono avute in termini di riproposta del primato della poesia e di riaffermazione di una visione spiritualistica e metastorica del fare lettera• rio, di un completo abbandono della duplice istanza della qualità e della tendenza del fare letterario. Ma entriamo nel merito del dibattito e mi sembra che dal complesso di interventi ospitati in Alfabeta nel corso del dibattito, che per merito dei suoi redattori è stato intrapreso e sviluppato da sei-sette numeri ad oggi, e anche da quanto si è venuto after.mando al convegno, siano emerse due istanze che mi sembrano di grande interesse e mi preme di raccogliere. La prima è quella del sabotaggio della letteratura, proposta ed enunciata da Sanguineti, vale a dire della destituzione della letteratura della sua tradizionale investitura di convenzione ludica e quindi in sostanza di sfera auratica e separata. La seconda è quella di neoeFilippo Bettini spressionismo di cui in verità proprio nel primo intervento del dibattito su Alfabeta si erafatto portatore Francesco Leo netti (e che era stata, devo dire in precedenza, già elaborata o rifondata a livello storiografico da Romano Luperini nel suo ormai celebre Novecento letterario). Si intende com'è noto, con la categoria di neoespressionismo tutta un'area tradizionalmente sottovalutata o dal punto di vista critico-letterario spesso mistificata della nostra appunto letteraturapoetica del Novecento. Ora, ecco, se per sabotaggio si intende la destituzione della letteratura dei suoi attributi di sacralità e di separatezza e per neoespressionismo si intende in realtàquel lavoro indispensabile e necessario di scavo e di riflessione, perfino autocritica come poi vedremo, sulla posizione della letteratura oggi, sullo statuto del suo sistema linguistico e soprattutto sul rapporto fra parole e cose e sulla distanza e sul rapporto di attrito esistente fra queste due sfere, a me sembra in realtà che l'una e l'altra ipotesi siano recuperabili (e qui mi faccio portatore di un discorso generale, più ampio, già elaborato dal gruppo di cui faccio parte), siano recuperabili a quella ipotesi di «scrittura materialistica», che appunto il collettivo redazionale dei Quaderni di critica, di cui personalmente faccio parte, è andato teorizzando e svolgendo in'più libri. Ecco a me pare che ci siano alcune nozioni, e mi limiterò qui velocemente a enunciarle, che possano oggi prestarsi non solo a una feconda interazione fra critica, teoria e prassi in campo letterario, in di0 rezione cert(lmente sperimentale e d'avanguardia, ma anche in realtà a un'indicazione di possibile sviluppo della ricerca specificamente poetica e letteraria attuale. La prima indicazione è quella che viene a mio parere dalla considerazione del significato dell'implicazione di una strategia di sabotaggio letterario. Ora, io credo che se di sabotaggio si può parlare, se di messa in crisi non solo dell'istituzione letteraria, ma anche appunto di quella convenzione di gioco, di quella convenzione ludica, che in un certo se"nso immunizza il poeta dall'assunzione di responsabilità (e qui cito esplicitamente appunto Sanguineti), in realtà questa non possa prescindere da una radicale rimessa in discussione proprio della figura stessa dello scrittore, dellostatuto della sua collocazione ideologica e culturale e quindi anche ovviamente del rinascente mito della figura assoluta e separata del poeta come depositario di verità. c::s .s ~ 0; Credo che esista sempre e continui ad esistere sempre una convenzione implicita nel momento di fare scrittura, che è esattamente il ~ momento della separazione, che ~ diventa separatezza quando acqui- .g_ sta carattere di staticità; dellasepa- ~ razione, appunto, del poeta come =e individuo privilegiato quale che sia ! poi il contenuto concreto dellescel- 'O te che compie sul tessuto linguistico, sul tessuto tematico della sua operazione. Quindi l'autocritica come rimessa in discussione della figura del poeta significa anche ovviamente rimessa in discussione della sua posizione entro quel rapporto di contraddizione in cui puntualmente si trova, tra la specificità

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