Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

Lalelleraturadellafinedellaletteratura I Discutiamo del senso della letteratura in generale o e discutiamo del senso dell'attività letteraria nelle presenti condizioni storiche? In generale la letteratura è un'istituzione sociale cultu,ale che ha una sua vita, un suo percorso sptcifico, sue specifiche leggi di funzionamento sia estetico sia sociale, ecc. In specifico, l'attività detta letteraria avviene oggi - hic et nunc - entro determinate condizioni sociali, culturali, economiche, materiali, ecc. Un tempo sarebbe stato obbligatorio operare una scelta fra i due temi, e sarebbe stata una scelta - precisamente - di ideologia della letteratura con implicazioni teoriche di grande rilievo. Oggi non è più così. Non c'è più rissa tra formalisti e realisti. Ci sarà, c'è già, disaccordo tra noi su problemi assai impegnativi, ma ogni disputa su questioni di principio 'pure' apparirebbe anacronistica. Oggi i due temi s'intrecciano. Tutto appare più complesso. In realtà mvece è avvenuta una salutare semplificazione di ogni problemn. Possiamo dire che la Storia ha lavorato bene: infatti molti dubbi si sono chiariti, le discriminazioni sono più nette. Anche a rischio di essere frainteso, voglio essere preciso: la letteratura nella quale e per la quale abbiamo operato nei decenni trascorsi oggi non esiste più. Non è che sia cambiata (come vorrebbero gli storicisti e gli evoluzionisti). Essa è semplicemente finita, nel senso che ha assolto al suo compito storico funzionale, culturale generale e anche estetico, s'è via via spappolata e imbarbarita e altri generi di produzione culturale ed estetica l'hanno soppiantata. Ci sono ora residui nostalgici e alcuni che s'affannano nella ricerca, alcuni con grandi meriti. Esiste oggi, nel mercato delle forme e delle idee, l'Azienda Letteraria (con i suoi funzionari, con i suoi giornali, ecc.). Nell'Azienda o si sta dentro o si sta fuori. Chi sta dentro pratica una letteratura, per lo più residuale e obsoleta, come un mestiere o come un 'secondo lavoro'. Chi è fuori pratica l'uso espressivo della forma-parola come attività libera. Naturalmente molti che sono fuori in definitiva premono per avere accesso nell'Azienda (e lo avranno secondo le regole del ricambio per cooptazione). Alcuni che sono dentro vivono la pratica aziendale come una camicia di Nesso. Ma che cos'è l'Azienda Letteraria di cui in questi giorni a Palermo sono riuniti in parte gli Stati P er me è oggi impensabile parlare di senso della letteratura soltanto con i termini della linguistica, dell'ideologia, della psicanalisi: credo che occorra parlarne attraverso il mito, l'energia, il sogno: credo che occorra saldare in una ferma e nuova trama simbolica la letteratura alla filosofia, alla scienza, alla storia, alla politica, alla fondazione delle città, a tutto quell'insieme di forze creanti in cui l'anima dell'uomo insegue dall'inizio dei tempi il senso di se stessa e dell'universo. (... ) Il senso della poesia concerne l'aurora. Quella del linguaggio e quella del mondo, come hanno visto Vico e Shelley. L'aurora, la luce metamorfica del linguaggio e del mondo sono la metafora e il mito: angoscia e brama originarie, sogni di lontananze astrali, domande sui significati della luce e delle divinità, tutto Generali con la partecipazione critica di alcuni che non c'entrano? Gaetano Testa ed io definiamo Azienda la letteratura esistente (coi suoi dintorni e i suoi apparati) poiché in questi anni - principalmente a causa delle profonde trasformazioni socioculturali avvenute - non esiste più un'arcai ~. 'società lettera1ia' e0 P'W' è stata sostituita da un'organiz'." ,ione tipo 'azienda' la quale della vecchia 'società letteraria' conserva solo l'apparente informalità. La V vcchia 'società I ~tteraria' - per le. caratteristiche del suo ruolo sociale culturale - era, per così dire, una 'società aperta', 'aperta' principalmente ai valori formali e ideali che erano prodotti dal 'progresso della letteratura e delle idee'; l'attuale 'azienda' invece subisce - com'è ovvio - gli influssi delle modificazioni socioculturali e materiali in corso, ma è 'chiusa' nel suo organigramma, nei suoi strumenti di 'influenza sociale', nelle sue tematiche prevalenti, nei suoi codici di produzione estetica per il mercato. Esistono scrittori esordienti che ottengono presto o tardi accesso all'azienda per merito di un elevato tasso di assimilabilità della loro produzione alla tradizione letteraria consolidata come tradizione formale aricora in grado di 'bucare' nel mercato. Ma esistono scrittori 'diversi' i quali a causa della distanza che la loro produzione presenta rispetto alla tradizione formale e mercantile consolidata vengono dall'Azienda o ignorati o esclusi. Vengono 'scoperti' e 'lanciati' (come saponette) autori nuovi dei cui prodotti - spesso piatti o banali o falsamente 'aggiornati' sullè tematiche più 'attuali' e sui gerghi più in uso nei salotti di provincia - si parla si parla ma si tratta quasi sempre di illusioni mercantili che durano lo spazio d'un mattino. Si dirà che dipende dal mercato, dalla crisi del libro, dai gusti mutevoli e imprevedibili del pubblico e consimili banalità pseudo-sociologiche. Ma invece dipende dalla fine della vita della letteratura e dall'intelligenza anchilosata delle forze organizzate - clan, gruppi di micropotere culturale, gruppi di potere accademico ecc. - che hanno in dotazione la gestione dell'Azienda. Dipende meno dal mercato e più dalla povertà di fantasia dei clan interni ali'Azienda. Che cos'è dunque l'Azienda? Mi ripeto: è- qui e ora - la letteratura esistente come istituzione socioculturale 'chiusa' e coattiva. V'è in essa circolazione di forme e di idee? V'è una circolazione - invero assai ristretta ed elitaria - di Roberto Di Marco forme ripetitive nei rispetti di una tradizione codificata, e di idee che si vogliono nuove perché di volta in volta ricavate dal dibattito ideologico-culturale corrente, dibattito che è mutato in senso restaurativo rispetto ai decenni trascorsi. Ma che cos'è la letteratura esistente? La risposta è semplice: la letteratura esistente - nonostante ogni variante - è la ripetizione della letteratura precedente. Nelle arti figurative si dà oggi il ri-uso delle forme precedenti. Non entro nel merito. Nella letteratura italiana attuale - istituzione culturale Òbsoleta e decaduta - non si dà riuso di alcunché, si dà invece (più nella narrativa che nella poesia) la continuità del ricorso a un sistema di codici formali ossificati. Ma poniamoci il quesito: perché la letteratura esistente si dà, al fondo, come ripetizione della letteratura precedente? Si deve rispondere con nettezza: ora la letteratura è finita. Capisco quanto sia grave questa affermazione. Occorre esplicitarla, sia pure in breve. Vediamo: esprimendomi in termini storico-materialistici spiego: a) la letteratura è stata un'istituzione sociale culturale borghese avente fini sociali e culturali determinati, b) tale istituzione ha assolto a quei fini, essi ora sono mutati e sono passati ad altre forme di comunicazione sociale. Per queste ragioni la letteratura-istituzione è finita anche se per ragioni determinate può in qualche modo sopravvivere a se stessa ripetendosi. In effetti nell'universo della comunicazione la letteratura sopravvive come ripetizione. E nell'universo dei rapporti sociali e materiali essa sopravvive come formavalore, cioè come merce. 2. Intendo riferirmi ora alla letteratura in generale e al quesito sul senso di essa. Come produzione semiotica («sistema di segni») e produzione di valore («sistema di valori») e produzione di merci per l'ozio e l'intrattenimento («sistema di merci») la letteratura in generale sappiamo che non è finita ancora ed è certo che sopravvivrà a se stessa benché io ad essa nelle mie ricerche e nei miei esperimenti contrappongo una diversa nozione e «cosa» (la scrittura espressiva, cioè, che è propria della letteratura in senso storico, è ovvio, ma io intendo nella mia nozione una liberazione della scrittura espressiva come tale dalle maglie della letteratura esistente). Qual è il senso della letteratura in generale? È una astrazione generica quella di letteratura in generale, ma è un'idea comune e perciò io faccio ad essa ricorso per comodità discorsiva. Detto in modo rapido: il senso della letteratura è il non avere senso. Mi è chiaro che un'affermazione siffatta difficilmente può essere condivisa da chi o di letteratura in parte si nutre o la letteratura in parte nutre. Ma il problema va posto forse in · altri termini. E cioè: ha ancora senso fare letteratura? Ha senso, io dico, solamente per il mercato e per la durata della cultura esistente. Ma rimaniamo al tema. Nel 1979 in varie sedi mi accadde di scrivere: «occorre ora lavorare nel fango, cioè nella contraddizione». Partiamo da quel proposito (che io ho perseguito, tra spasmi amarezze e delusioni, per un intero quinquennio). Non solo io ma tutti in questi anni abbiamo letteralmente lavorato nel fango, cioè nella contraddizione della letteratura della fine della letteratura. Non tutti, ovviamente, se ne rendevano conto, e taluni nel fango si sono trovati a loro pieno agio. Che farci? - Ma cos'ha significato «lavorare nel fango»? Per alcuni ha significato esattamente cercare il senso della letteratura che s'era perso nei dubbi degli anni Sessanta. Dico della letteratura in generale che, l'ho detto prima, è un'astrazione generica poiché la «letteratura in generale» non esiste, è un feticcio buono per i manuali accademici. lo in altri tempi, col rigore giusto d'allora, avrei detto che 'il senso della letteratura è fuori di essa. Ma a quei tempi era forse, questo, un motivo·per fare politica piuttosto che letteratura. Se ora invece dico che la letteratura non ha senso lo dico perché mi sono convinto Attraverso ilmito questo si inscrive nel mito. Il mito è una metafora prolungata in cui l'anima umana - energia che collaziona simboli - scrive il sogno di se stessa, della sua origine, del mistero della sua vita nell'universo. La letteratura, dunque, attraverso il «puer» eterno che vive nella nostra anima, ha a che fare soprattutto con il mito, con le forze mitiche. ( ... ) Una forza «puer» oggi si ribella a chi vuol chiuderla dentro i retiGiuseppe Conte colati del linguaggio, delle classi sociali, dell'inconscio: una forza «puer» oggi vuole entrare in contatto con la corrente di energia che continua ad attraversare l'universo, vuole rivedere gli dei. Chi ha interpretato meglio di tutti questa forza è James Hillman, secondo la cui psicologia politeistica gli antichi dei vivono nella nostra anima, sono le pulsanti energie poetiche della mente. Quando ho scritto a Hillman ponendogli una domanda sul rapporto tra mito e poesia, Hillman mi ha risposto che la sua psicologia è già un'estetica, «in as much as it imagines the mind to bave a poetic basis (not biologica!, or ideologica!, or linguistic basis)». ( ... ) Esistono nel nostro tempo squadre della morte che stanno tentando di compiere il genocidio di miti, fantasie, sogni; ma non ci riescono. La profondità del mito vince. (... ) Il mito ci costringe a ripensare che il senso della letteratura è la letteratura stessa, il che equivale appunto a dire che la letteratura non ha senso. Ma non equivale a dire che la letteratura è fine a se stessa. La differenza è sottile ma c'è. Ragioniamo. Il senso di qualcosa - in ispecie di un'attività umana che è mentale e insieme pratica - è sempre una direzione verso cui il «qualcosa» si muove e che ad esso fornisce un significato e un valore sul piano sociale, materiale, ideale, storico. Consideriamo la direzione. Sia all'indietro che in avanti, o dentro o fuori del sociale o del vissuto, la direzione della letteratura è sempre la letteratura medesima. Ciò fornisce a essa un significato primario che è solamente letterario. Ogni altro genere di significato (e ce ne sono tanti) non riguarda la letteratura in sé ma la sociologia o la psicologia o la semiologia o l'economia ecc. Ne deriva che all'infuori del senso letterario la letteratura non ha altro senso. Ma il senso letterario è la letteratura stessa. Ma cos'è il senso letterario, inoltre? È il senso specifico del lavoro intrapreso sulla forma-parola, che rinvia ai complessi meccanismi motivazionali soggettivi che hanno indotto il lavoro, e questi meccanismi possono essere adominante di genere diverso, caso per caso. Se le cose stanno così allora il problema è quell'altro: ha ancora senso fare letteratura? Cioè: in un'epoca nella quale la letteratura come tale volge al suo tramonto (trasformandosi, storicamente, i suoi valori in altri contesti comuriicazionali, espressivi, semiotici, ecc.). Evitiamo fraintendimenti facili. Non mi riferisco qui alla vessata quistione della cosiddetta «morte dell'arte». lo non sono tra coloro i quali credono - e però hanno le loro ragioni - che arte e poesia possano perire prima che perisca la civiltà umana. Il problema è piuttosto un altro e riguarda la finitezza storica della letteratura come forma storico-determinata dell'attività espressiva-cognitiva umana. Infatti la letteratura non è una categoria universale-generica «eterna» di espressività artistica; al contrario ne è una forma storicodeterminata che oramai ha perduto la propria specifica funzione storico-sociale e culturale. L'ha perduta in favore di nuove forme di espressività e conoscenza· e comunicazione e intrattenimento. Un'analisi puntuale di ciò non esiste ancora; ma è sufficiente guardarsi intorno. la figura dell'Eroe e la presenza del Destino. Il mito ci dà la misura cosmica entro la quale soltanto il discorso sulla natura si sottrae alle irrisorietà dell'attivismo ecologico. Il mito ci restituisce il politeismo, quel politeismo delle forme di cui già Goethe si proclamava seguace in una stupenda delle sue massime e riflessioni. Ma il mito ci riconduce anche alla storia. Niente è più irrilevante storicamente di un'arte legata alla soggettività e alla moda, come vide il giovane Wagner in L'opera d'arte del/'avvenire. ( ... ) Chiamare a raccolta gli uomini del mito è un gesto di fiducia nell'energia creante, nel desiderio di sognare il mondo di nuovo, da capo, gioiosamente e divinamente: è un inno di guerra. Chi crede che il mito sia archeologia e classicismo non potrà più dormire quieto i suoi sonni.

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