stessa tale controllabilità è in qualche modo decaduta, visto che il controllo è soggettivo e macchinico? 7. Diciamo come prima conclusione di avvio che ne risulta ora che il rapporto scienza-arte ha dunque il valore principale di vanificare ogni concetto di verità o di riferimento alla cosa, a cui in qualche modo alludeva sempre la scienza, sia nel suo riferimento al campo del vero e del falso, sia nell'assunzione, ritenuta più o meno probante, dell'esnerimento e del dato di esperienza. In tutto ciò nulla è stato veramente detto di nuovo sull'arte e letteramra: ed essa è tuttavia coinvolta in qualche maniera, in quanto si tratta di un'affermazione che ha valore teoretico complessivo nell'ambito della produzione cognitiva. Quest'ultima infatti tenderebbe tutta a sfuggire alla razionalità, per rientrare in quella fabulazione, interrotta solo e precisamente dalla macchina logico-matematica. 8. Con interesse da parte mia a ciò che scrivono oggi via via Cini, o Tagliagambe (critico tagliente di Feyerabend che scoprirebbe in lui qualche cattiva azione performativa come quelle di Galileo), e a ci che scrive Gargani, devo pur dire che l'esplicita formu,'.'.i:ionepiù accurata di questo problem è di Feyerabend; l'ho vista presentata anche fra scritti di critica <l'a, te in r.atalogh1tede:,ch1 o ai. ti~ani del neo-espressionismo ig 5 E in italiano La j i0 nza com arte (Bari, Later.rn, 1984). Utilizza il riscontro di Riegl teorico artistico, precedente dell'espressionismo del Blaue Reiter... E si configura come avvicinamento fra gli stili nei due campi. Serve qui leggere qualche definizione minima e qualche battuta (degna di Hume, anche se noi preferiamo restare kantiani). Leggo. «Una buona scienza è un'arte, non una scienza.» «La ragione è una signora molto attraente. Le relazioni con lei hanno ispirato favole meravigliose, tanto nelle arti quanto nelle scienze. La peculiarità di questa particolare signora è però che il matrimonio la trasforma in una vecchia strega ciarliera e possessiva. Molti fra i miei amici non si danno cura dello squallore. di un tale matrimonio, e sono addirittura orgogliosi dell'energia morale che consente loro di sopravvivere in quelle circostanze.» «Se si sostiene, come fa Riegl, che molte opere d'arte possono stare senza conflitto l'una accanto all'altra, si afferma anche che l'arte non ha nulla a che fare con la realtà ( ... ). Quest'argomentazione può essere usata in modo plausibile anche nel campo delle scienze.» E ancora: «lo spazio come indipendente dagli oggetti fu introdotto in pittura e in architettura più di duecentocinquanta anni prima di Newton ( ... ). Pe'rsino taluni schemi logici fondamentali, che fioriscono e prosperano negli ambiti più aridi della logica formale, come il modus tollens, si trovano dapprima nella tragedia, ai fini della costruzione dell'intreccio e del nodo tragico, e questo è a sua volta il risultato di un urto di contraddizioni inconciliabili: Oreste deve vendicare il padre, e quindi uccidere la madre, ma non gli è lecito ucciderla dal momento che essa è una sua consanguinea» (pp. 53, 90, 120 e 128). 9. Se non si danno per la produzione scientifica e per quella artistica statuti cognitivi, e se ciò che le mette in moto sono meccanismi intuitivi e inventivi oppure fattori sociali e culturali, questi sono a mio giudizio più inspiegabili, nel loro produrre processualità, che il riferimento al reale. Che dire, infine? Pascal preferiva scommettere su Dio. Io però preferisco scommettere sulle cose e sulla teoria «densa» di materia. Allamemoridai M. Foucault Arte e artigianato Sono a casa di Scelsi, un vecchio compositore di musica contemporanea quasi ignorato in Italia. Nella penombra del suo salotto per essere gentile gli chiedo se sta lavorando a qualche nuova opera. Una risposta sprezzante mi colpisce in piena faccia. Io non ho lavoro, risponde il maestro. Non ho mai lavorato a nulla. Ho solo atteso che ciò che doveva accadere accadesse. Chi fatica molto intorno alle sue opere ha ciò che si merita: del buon artigianato. Uscendo, penso: Scelsi ha ottant'anni; è un mistico affascinato dall'induismo. Le sue certezze vanno prese con le molle della diffidenza. Nonostante tutto però un senso di disagio mi accompagna fino a casa, fino al mio tavolo di lavoro. Non riesco a dimenticare sopra il divano di Scelsi il miglior Dall che abbia mai visto: la silhouette di due identiche teste umane scostate, ma vicine, a piramide. Dietro il vetro che protegge le tele due diversi paesaggi dipinti a olio, uno di marine e l'altro di campi. Due medesime teste dunque, ma in esse tutt'altro che un'identità di vedute. L'Uno in più e l'Uno in meno Giuliano Gramigna ha scritto che se la letteratura produce sensi produce anche il suo proprio nella forma di un lavoro. E continua: «ho già espresso l'idea che la letteratura, sotto questo aspetto, non abbia a che fare con l'Uno ma semmai con l'Uno in più. Se ci si ostina sull'Uno potrà dirsi che il senso della letteratura è il suo lavoro - che produce sensi, come il vero significato del sogno è il lavoro onirico». Al contrario di Scelsi Gramigna fa le lodi del puro lavoro. Il valore della letteratura è il suo lavoro. Come è noto Marx pensava che il valore delle merci fosse eguale al tempo di lavoro socialmente necessario per produrle. Né un sogno; né una poesia sono merci. Con gli studenti che si iscrivono al primo anno rileggo il saggio di Enzensberger sul linguaggio universale della poesia del ventesimo secolo. Insieme ripetiamo che la poesia moderna è, sic et simpliciter, antimerce e che il contrasto tra la torre d'avorio e l'agitprop è assurdo come il vuoto rincorrersi di due topi bianchi in gabbia che si danno la caccia sulla ruota. Gli studenti approvano. Ciò che perdono è l'epico gusto dell'intemperanza etica e intellettuale che questa massima donava a chi, nel corso degli anni Sessanta, ne faceva uso con indomita ostinazione. Hanno il sospetto che nella società post-industriale la definizione marxiana della merce cominci a scricchiolare e che nulla, nemmeno uno sforzo di pura eticità, possa garantire la sopravvivenza al suo opposto dialettico: l'antimerce. Ci stiamo avvicinando al momento in cui il lavoro umano aggiunto al lavoro delle macchine tende precipitosamente verso lo zero. E se non è uno zero assoluto è lo zero relativo del puro controllo. È pur vero che se si apre la pancia di un qualsiasi computer casalingo si scopre che la sua microtecnica è frutto della manodopera a basso costo di Taiwan o di Bangkok, ma questo pertiene a una residua sensibilità verso i rapporti di produzione di pochi irriducibili guastatori. La maggior parte preferisce sognare il momento in cui il lavoro umano così come lo conosciamo diverrà pratica obsoleta, un residuo di preistoria. Quanto ai miei studenti mi ritengo soddisfatta se sulla soglia di un'epoca in cui il potere sarà nelle mani di chi controlla una quantità sempre più alta di informazioni possano annusare l'odore di libertà che emana dallo scarto linguistico fra qualità e quantità, dall'ambiguità del senso intrinseca a un lavoro continuamente in bilico sulla perdita del senso. Ma come fare perché quell'odore non si trasformi, strada facendo, nel puzzo della frustrazione e della miseria che invade la fangosa metropoli di Biade runner dove una pletora di rivenduglioli di merci sempre più degradate e assurde si affannano a sopravvivere sotto un cielo dominato dalla potenza di pochi replicanti? Come fare perché l'Uno in più non diventi l'Uno in meno? Come fare perché l'Uno assoluto della letteratura diventi ciò che una poetessa come Emily Dickinson un secolo e mezzo fa paventava come il peggior pericolo ed è oggi probabilmente l'unica fonte di sopravvivenza: l'avvento del numero Due? Matricole e funerali Il numero di studenti che si è appena immatricolato al primo anno di Lettere è in aumento, modesto ma sensibile. Mai come ora è certo che il lavoro di· decodificazione della parola letteraria istituzionalizzata non dat panem. Eppure gli aspiranti poeti non difettano. Tutt'altro. Perché? Chiedo all'inizio di ogni anno accademico, dal momento che nessuno di loro conserva la deliziosa ingenuità di chi, al suono delle ballate di Bob Dylan, raccoglieva nei boschi castagne che altrimenti sarebbero marcite. Se c'è qualcuno che ama la campagna è soltanto perché sul rapporto che esiste tra la parola e il silenzio prendono alla lettera ciò che scrive Giorgio Agamben: l'unico senso della letteratura è instaurare un dialogo fra la voce morta del fanciullino e la lingua morta della madre come nella Tessitrice di Pascoli. Se scrivono lo fanno come Quasimodo in Oboe sommerso; se studiano si portano appresso un soffio funereo di filologica competenza, se pensano pensano che l'ermetismo è stato ed è la migliore pratica della dissimulazione. Se ci si ostina sul numero Due, sillogizzano, il senso della letteratura è una tautologia. Il suo senso è produrre senso. Il suo valore è valorelavoro. Se invece si dirotta sull'Uno allora la parola con godimento, capziosità e infinito intrattenimento sfumerà nel silenzio. E di tanto in tanto un crisantemo si aggiungerà alla flora del cimitero marino. Biancamaria Frabotta Omaggio postumo Lo psicoanalista Michele Risso riteneva che il peggior difetto dei suoi pazienti fosse quello di considerare le sedute un lavoro e non una esperienza. Chi è capace di interpretare i sogni difficilmente si abbandona al filo invisibile e pericoloso delle associazioni. Del sogno condivide solo la dissimulazione, non l'ingenua, primitiva grossolanità. Fedele al dettato della civiltà il paziente obbediente è incapace di tradirsi. Fedele e menzognera fino al massimo grado della tollerabilità l'ironia della sorte che fa nascere femmina la poesia e la psicoanalisi non fa nascere ormai più se non un gesuitico elogio della dissimulazione. Il paziente civilizzato tratta i suoi sogni come un sopravvissuto che il giorno dopo l'esplosione della bomba cerca il senso della vita nella sua analisi logica. Giustamente i sogni, come la poesia, cominciano ad abbandonarlo e quando tornano a fluire l'Ironia si rivela stolta come l'uso di un binocolo rovesciato. Allo stato puro l'Ironia impiccolisce ciò che è grande senza ingrandire ciò che è piccolo. Ora seguo il consiglio di Cooper: raccontatevi i sogni della notte ma non cercate di interpretarli! Tautologie in libertà Piccola costellazione di corollari. Rilke a un giovane poeta: non vi lasciate dominare dall'ironia specialmente nei momenti di aridità. Nei fecondi tentate di servirvene come di un mezzo in più per afferrare la vita. Marina Cvetaeva a proposito della fecondità: a Dio non si ordinano né i versi, né i bambini. Sono loro che scelgono i padri. Della onesta dissimulazione In un articolo del 1901intitolato Il sogno Freud scopre che non si può fare a meno di ammettere una relazione causale tra l'oscurità del contenuto onirico e lo stato di rimozione cioè l'inammissibilità alla coscienza di alcuni pensieri onirici rigorosamente proibiti. Il parallelo fra il lavoro letterario (come lavoro sul campo dove le parole mancano ma possono sempre prodursi su un altro livello di senso) e il lavoro onirico (dove il campo nero della rimozione viene illuminato dalla parziale verità dei simboli) si fa pregnante solo se consideriamo il sogno come la forma più arcaica del racconto ironico e la letteratura una pratica esclusivamente ironica ed ermetica. Secondo il Lausberg l'ironia, o simulatio de illusio de permutatio ex contrario ducta, è l'uso del vocabolario partigiano della parte avversa, utilizzato nella ferma convinzione che il pubblico riconosca la incredibilità di qu~sto vocabolario. La credibilità della propria parte risulterà, quindi, rafforzata tanto che, come risultato finale, le parole ironiche verranno intese in un senso che sarà completamente opposto al loro senso proprio. Il senso della letteratura moderna è stato finora il senso opposto: merce/antimerce; rimozione/godimento; maschile/femminile. Ciò che è inammissibile alla coscienza letteraria moderna: il conflitto fra ironia e sentimenti lo sarà ancora per molto? • Don Giovanni e Madame Bovary La Libreria delle Donne di Firenze qualche giorno fa ha organizzato un convegno sull'immaginario erotico femminile. Silvia Vegetti Finzi ci ha raccontato che le monache del primo Medioevo sottraendosi alla legge della fertilità obbligatoria aprono la strada alla sublimazione femminile. La prima autentica manifestazione del desiderio femminile è l'amore «eccessivo» per antonomasia: l'amore verso Dio. Ecco perché la donna innamorata sarà d'ora in poi rappresentata come una visionaria o una pazza. La differenza fra Don Giovanni e Madame Bovary è che Don Giovanni vuole tutte le donne. Madame Bovary vuole l'unico vero uomo. Li divide all'interno della stessa follia la barra che· distanzia la quantità dalla qualità, l'ironia dall'isteria, il fare dall'essere. La sfera del sacro garantita dalla violenza sul corpo d'amore nell'età classica se si apre al soggetto femminile comincia a tramontare. Chi non vuol far pronunciare messa alle donne ha le sue ragioni. Del resto a restaurare il sacro non è bastato certo Bataille che obbligava Laure, alias Colette Peignot, a inghiottire panini imbottiti di merda ... La poetessa ironica e il poeta innamorato L'ironia nella poesia amorosa femminile segna l'inizio della laicizzazione tout court. La poetessa ironica pratica ciò che l'isteria non poteva e non sapeva: la conciliazionefra l'amore di sé e l'amore dell'oggetto. Per questo è manierista. In bilico fra l'aspirazione alla coscienza e l'antica pratica della passione tradisce subito ciò cui giura fedeltà. Verso il passato è lusinghiera e infedele come una impossibile traduzione. Verso il futuro è restia a impegnarsi ed elude ogni senso linguistico che possa di nuovo vincolarla ai suoi cinque sensi e alla sua irresistibile attrazione al senso unico. Il poeta innamorato invece intona l'elogio della debolezza. E con Blanchot la convinzione che il senso della letteratura è «veiller sur le sens absent». L'io del poeta innamorato è decentrato, rinuncia non solo al potere, ma anche al suo fantasma, conosce l'abbandono e la nudità, non si sottrae al conflitto e alla negatività del reale e soprattutto eredita l'inconéiliabile desiderio della sua ex amante Salomé. Il fatto è che invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia e non si esce dal moderno azzerando il contachilometri delle sue antinomie. La poetessa ironica non smetterà di rimpiangere l'amore perduto; il poeta innamorato la sua perduta sintassi. Qualche verso di auspicio Da Invasioni di Antonio Porta: «Ha un senso occuparsi di stagioni? I La risposta sta qui, sulla carta, / finché resisto al loro ciclo». Da Documento di Amelia Rosselli: «Ridere non è sempre amaro ... forse l'aria / scrive di magia, miracoli, distensioni/ caratteri che urgono d'amore». Per Foucault E allora proviamo a verificare se il fine del numero Due che non si annulli nel ribaltamento dialettico sia quello di rendere vivibile l'antinomia fra il valore e il lavoro; fra il rigore e la dismisura; fra l'attività del fare e la passività dell'essere; fra la coscienza e la perdita dell'io; fra quello che Marina Cvetaeva chiamava modestamente «il mio tempo» e quello che Blanchot definiva la vertigine della terza persona. Proviamo a verificare se e di guanto sono cambiate le regole del gioco. La tautologia: il senso della letteratura e il suo senso forse non è più solo un puzzle per un club di solitari. Forse ridiventa un rischio da difendere con la vita, una delle arti dell'esistenza, ha scritto Foucault prima di morire.
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