Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

Laletteraturae l'irrappresentabile Paolo Bertetto L, ambiguità della letteratura e del suo senso, come la caduta della (presunta) omogeneità tra essere e linguaggio, configurano la questione della ricerca letteraria in termini più complessi e aperti di quanto si è fatto da parte di chi, con abilità, ma anche con una certa frettolosità, ha voluto suggerire una ripresa della favola e una figuratività del visibile, in sintonia con modelli simbolici genericamente ascritti al postmoderno. La perdita di una nozione organica di realtà, l'incrinarsi del rapporto tra nominazione e mondo, il 'dubbio radicale sulla possibilità della conoscenza stessa implicano la delegittimazione di un modello di visione sistematico come la rappresentazione, che si costituisce proprio sul presupposto di un'organicità tra rappresentante e rappresentato, ossia sulla sostituibilità simbolica del mondo e dell'evento. Ma se la crisi della rappresentazione sottrae legittimità a. quella che Sartre definiva la teologia romanzesca, essa tuttavia prospetta un campo d'azione che non si limita alla radicale disarticolazione del linguaggio che ha caratterizzato le avanguardie e le neoavanguardie. Nell'orizzonte della scrittura la caduta della rappresentazione non significa necessariamente eliminazione totale della traccia rappresentativa, rapporto estremo con i limiti del dicibile, ma anche, in modo più articolato e ricco, «chiusura della rappresentazione» (la formula è di Derrida). La chiusura della rappresentazione è un cambiamento nella grammatica del veder~ che attesta la disgregazione dei riconoscimenti condotti sul già noto, sui macrocodici diffusi, e l'apertura di una processualità mutevole i cui scopi e la cui direzione non sono immediatamente definiti. Chiudere la rappresentazione significa allontanarla dalle insidie della presenza, che pretenderebbe 1 L'attuale messa in questio- •ne di ogni certezza, anche e nel suo valore logico, ha posto all'attenzione una commisurabilità o un'analogia fra teoria scientifica e opera d'arte. Certo si tratta di un paradosso, a partire dalla riga in cui Popper nella prefazione italiana 1970 alla Logica della scoperta scientifica del 1954 dice testualmente: «Le teorie sono opere d'arte però criticabili oggettivamente», con una certa sprezzatura verso le op~re d'arte (il punto ritorna in Kuhn, e in Putnam, e presso Gargani, cfr. F. Leonetti Alfabeta n. 45). Infatti l'analogia è stata solo enunciata e non svolta teoreticamente, per lo più. Gli svolgimenti sono altrove e riguardano piuttosto l'accertamento conoscitivo della percezione, che non studiano qui. 2. L'enunciato è tuttavia interessante come tale, perché scopre livelli epistemici di notevole importanza. Mi fermo sulle conseguenze teoretiche che esso comporta. Esaminiamo anzitutto la duplicità di significato che emerge dal termine stesso di scienza nell'implicazione fra linguaggio specialistico e linguaggio comune. Siamo di fronte a un doppio registro: infatti, è a tutti noto che quando utilizziamo il termine scienza ci riferiamo alla razionalità - o a un certo modello di ragione - che si struttura nell'ambito della verificabilità (o della falsificabilità) e della comunicazione; e affidiamo a ciò un valore di obiettività o vedi abolire illusivamente ogni differenza (e in primo luogo quella tra la realtà e il simbolico). Non vuol dire escludere la rappresentazione, ma distaccarla progressivamente dal rappresentabile, da un processo schematico di riproduzione dell'oggetto, per renderla ad una dinamica spettrale che consenta l'apertura al non rappresentabile. Significa portare al centro della letteratura non un rapporto con :unoggetto da descrivere o una trama da narrare, ma una relazione con quanto è al di là della rappresentazione, con il residuo non visibile del visibile. Non è tanto la musiliana «dimensione spettrale dell'accadere» che qui va evocata, ma qualcosa che piuttosto ricorda il nucleo cavo e oscuro del visibile, l'intensità segreta celata degli eventi: la percezione di un ritmo differente al di là degli oggetti e delle azioni, di un flusso che è segnato dalle accensioni e dalle intermittenze del senso. La chiusura della rappresentazione è il passaggio per una infinità che non è precisamente un graffito sommerso, né una cancellazione allusiva, ma in qualche modo li è entrambi: non la rappresentazione dell'irrappresentabile, ma una sorta di presentazione negativa, di ellissi che si avvicina all'irrappresentabile e al suo senso senza nominarlo, percorre la superficie opaca del mondo e la supera, attesta l'esistenza di un'irriducibilità e la lascia sfumata sullo sfondo, invece di cercare di pronunciarla deformandola irrimediabilmente. Un movimento, simile a quello descritto da Ferecide di Siro in un frammento, che ad un tempo depone •il manto della terra, delle colline e del mare che costituiscono il cosmo e lo solleva rivelandone l'enigma oscuro, le tenebre, il vuoto che nasconde. È una relazione con qualcosa che il funzionalismo diffuso tende ad occultare, ma che pulsa non celato nella grande letteratura del Novecento. Non si tratta soltanto di quello che, con linguaggio alto, Benn definiva nel suo Akademie Rede «la violenza del nulla che esige una forma». È anche, in modo meno sublime, un residuo impronunciabile, che pone immediatamente, per il solo fatto di essere scorto, di ex-istere, di venir fuori dal suo status, il problema del suo senso e del suo mistero, è un passaggio attraverso cui il simbolico si vive come differenza dal reale e fa dell'affermazione del proprio statuto una condizione di forza e la po~sibilità della propria forma. E qualcosa che è impresentabile perché va al di là del relativismo della presentazione, perché non può essere ridotto nei contesti e nelle forme del contingente. «Non si può presentare l'assoluto», scrive Lyotard, ma si può mostrare che vi è dell'assoluto. È una presentazione negativa, Kant dice anche «astratta», che affida alla letteratura l'impegno di percorrere il confine medesimo in cui il pensato si misura con il pensabile. Ma chiudere la rappresentazione significa aprire la scena della scrittura e scoprire la sua possibilità di essere in primo luogo un flusso di intensità, significa non solo proporre una sottrazione dello scrivere prosa alla schiavitù del narrativo, ma anche pensare alla forza della prosa in quanto tale, alle sue potenzialità di ricerca fuori dei generi diffusi, all'aprirsi del discorso all'oscuro della parola· e alla concentrazione originaria e altrettanto oscura del frammento. La frammentarietà, l'enigmaticità non possono essere oggetto della rappresentazione, ma costituiscono il fulcro dell'irrappresentabile. L'enigma che è nelle cose della caducità e della decadenza è un al di là della rappresentazione, una radicalità che può emergere nelle parole, attraverso ellissi, simulacri formali e accensioni di intensità. La letteratura non può descrivere un enigma, ma non può neppure cancellarlo. L'enigma è il luogo stesso dell'infinità del letterario. E l'ambiguità del senso che la scrittura produce realizza una spettralità in cui diventano evidenti l'arbitrarietà del linguaggio e il vuoto radicale in cui è immerso. Al vibrare ambiguo della parola letteraria spetta il compito di ricordare l'esistenza di un illimitato che il senso comune non può vedere. La letteratura è infatti uno spazio differente, non tutto formale, non tutto spiegabile, in cui si realizza qualcosa che non potrebbe svilupparsi in nessun altro luogo. Diceva Pessoa attraverso il suo eteronomo Antonio Mora: «Il pensiero deve partire dall'irriducibile». Anche la letteratura. Affermare la centralità del letterario contro lo sperimentalismo e la mera narrazione del romanzo' neo-teologico non significa solo· evocare una irriducibilità che non si appoggia a niente e che niente può cancellare. Significa anche porre la questione di quanto è riconducibile al ritmo segreto della scrittura e all'enigma che la costituisce, studiare le prospettive del dicibile, partendo dal presupposto che la chiusura della rappresentazione implica un'idea di scrittura ad un tempo transitiva e intransitiva, proiettata sul mondo e arbitrariamente autonoma, senza oggetto e non priva di oggetti. In che modo dunque una scrittura dell'impresentabile può incontrarsi con il dire? Attraverso quali metodi e quali percorsi la scrittura può dipanare la questione del dire? Due risposte mi paiono logiche e non contrastanti con l'orizzonte della letteratura quale è stato qui delineato. La prima è: nulla è dicibile se non quello che inerisce al dire stesso, cioè non solo all'orizzonte autoriflessivo del dire, ma, ancor più, alle sue condizioni di oggettivazione e alla sua fondazione nel silenzio: il dire come un mistero che si evoca e si studia nella spettralità del letterario e dell'estetico. La seconda è: tutto è dicibile, perché tutto il dicibile è stato detto, e allora si tratta di dirlo in quanto tutto, in un'unica ri-appropriazione e ri-oggettivazione del dicibile come compresenza simultanea, e, ovviamente, simbolica, del detto. (Se si vogliono due nomi nella letteratura recente: Jabès e Perec.) Nella prima prospettiva la letteratura studia e dice le condizioni stesse della simbolizzazione in una ricerca dello statuto del dicibile che si avvicina a un segreto e può confondersi con l'estremo stesso del silenzio, ma può anche parlare nella trasparenza medesima di una pura dinamica di astrazioni. È la contemplaztone dell'impresentabile stesso. E un'infinità intensiva. Nella seconda prospettiva la letteratura si allarga su tutto il mondo, presenta tutta la varietà dell'esistente, inventa, decifra, racconta, gioca, costruisce l'illimitatezza medesima di tutto, rinuncia ad es-sere una cosa determinata per essere la proiezione simbolica di tutto. Contempla ancora un'impresentabilità. È un'infinità estensiva. Il problemas:cienza-arte Eleonora Fiorani . rità scientifica. Però tale nozione razionalistica o neo-razionalistica di scienza al singolare è considerata oggi una costruzione culturale, differenziata dalla pluralità che invece le scienze manifestano. Si tratta di una pluralità di modelli logici e di operazioni, che rendono oggi arduo se non impossibile dare un modello unitario di scienza. E del resto la scienza al singolare si dà notoriamente assumendo una disciplina-madre o una disciplina egemone. Ora di fatto è caduta l'egemonia della fisica e matematica che funzionava nel progetto enciclopedico unitario del neopositivismo (da Camap a Wittgenstein). Mentre rimane nascosta o forse residuale la disciplina-madre della semiologia, e si presenta l'urto di una dominanza dei modelli della biologia molecolare, attraverso le ricerche diverse di Prigogine, e di Thom, e di Serres. ché è caduta la nozione di verità, e quella anche di unità metodologica ad essa relativa. L'analogia scienza-arte può dunque avere due valori. Riferirsi al confronto tra livelli di oggettivazione dei sistemi chiusi e autofondati (sia un complesso teorico che un'opera d'arte artistica letteraria). Oppure si può dare in riferimento all'attività di simulazione del reale, e cioè alla costruzione di macchine. Il doppio registro conduce perciò a due percorsi differenziabili. campi a questo livello (è noto, sia una situazione dove il pragmatiin sede materialistica presso En- smo (con logica del successo) e gels, sia in sede semiologica; che l'automatizzazione (con logica l'operatore artistico non è l'autore della macchina) tendono a coniubiograficamente inteso, ecc.). garsi. Tuttavia: l'io collettivo continua a strutturarsi come ragione scien- 6. Sul piano di considerazione tifica, con regole di verificabilità interessante qui, ciò che ci sconlogico-linguistica e sperimentale certa è che il problema esposto, e (mentre viene posta in piena evi- ora divenuto sintomatico, è un denza la funzione connessa della problema emerso daJl'esigenza di tecnologia). E l'io artistico tende riscontrare le teorie scientifiche ulteriormente a farsi personalisti- con la storia della scienza e con la co (con perdite di obiettività e con storia sociale e culturale complesuna certa_ inwaragonabilità degli siva. stili). È utile certo e, in arte e let- Ora, non si è pervenuti in alcun 4. Per il confronto di oggettiva- teratura, importante ricostituire il modo ad accettare un elemento zione dei sistemi, si deve dire che riconoscimento delle tendenze, in valido per svolgere insieme i due esso evidenzia la coerenza struttu- quanto esse possiederebbero un . poli (quello scientifico e quello raie int_ernadi ciascun complesso automovimento, come gruppi o fi- storico-scientifico e/o storico-soteorico: od opera, presentandola Ioni, ma ciò urta oggi con l'attesa ciale). Ma si è pervenuti solo al come «aseità», distinta perciò da del mercato informatizzato, che rilievo dell'autocontraddizione. . ogni contesto e anche dall'inciden- vuole merci prevedibili, o assolu- La storia scientifica è andata disza in un contesto, ecc. tizzate per il nome dell'autore o solta. Alcuni teorizzano la teoria ;:: È noto che già l'opera d'arte è compilate secondo normative (o, come produzione artificialeconsastata definita, ultimamente in Del- per il sommo bene, in un exploit pevole (Lakatos), altri teorizzano .I la Volpe, come «aseità» stilistico- che contiene le due cose). la rinuncia ad ogni giustificazione &° 3. Il doppio registro pone un in- semantica, trovando in essa pecu- ,. razionale per adottare una insen- ~ terrogativo sul valore dell'enun- liare una coerenza interna stretta. 5. La dominanza dell'«aseità» satezza del prodotto teorico-logico i ciato stesso. Si può ben dire che Ma non si è proposto fin qui mai porta alla strutturazione delle teo- (Feyerabend) - per dare alcuni ~ esso negli.autori funziona sempli- (se non forse nei sofisti greci) que- rie come macchine operative. Tali esempi. i:! cemente come messa in dubbio di sto carattere come essenziale al teorie-macchine costruiscono mo- Certo è sostenibile l'argomento j un'idea di progresso·nella ricerca complesso teorico. delli di simulazione del reale che secondo cui, se è caduta ogni no- ~ scientifica. Sia che si tratti di un A fianco di ciò, apparirebbe hanno lo scopo di ispirare la con- zione di progresso evolutivodella ~ progresso cumulativo di risultati, inoltre chiaro che il soggetto ope- dotta. In tutto ciò vi è una sostitu- ricerca e dell'impresa scientifica,è com'era quello tradizionale e in- rante in un caso è per lo più un zione del reale che è necessitata rimasta però una controllabilità,a i:: duttivo. oggi deriso, sia che il pro- individuo (un io fabulatore unico), dalla indecifrabilità del reale stes- differenziare scienza e arte. Solo S cesso attraversi la verifica lingui- nell'altro caso è un io collettivo, il so; e quindi vi è un confronto di nell'arte l'esperienza da cui l'ope- f stica intersoggettiva degli osserva- gruppo o comunità scientifica che tipo speculare del soggetto con se ra parte (e che è indubbiamente -a; tori come nei neopositivisti, sia ha dato le regole della scientifici- stesso; e l'ispirazione della con- alla sua base) si presenta per defi- .Q che se ne svolga poi un concetto tà. Va detto che questa non è una dotta è nello stesso tempo domi- nizione non solo inverificabilema § allargato e assai problematico, il diversità categorica, in quanto nio sulla condotta da parte del mo- anche incontrollabile; così si dice. .S processo storico-scientifico non ri- funzionano talune simiglianze e dello di simulazione. Tuttavia, non si può forse argo- 2: scuote più conferme; proprio per- talune dissimiglianze tra i due Ci troviamo, per così dire, in mentare anche che nella scienza ::r ....,..,._....._...........,.._....._...........,.._............,............._..........,.._.....~.........,-""""'~.......,.....,...,._~_...,-.....,.....~.........,-""""'~_.._..__~~--.-..~--""""'~.......,.....,..-~_...,._.._ .....~.._...,._..__ ....._............,...~..._.._......,~._....,.._,_,,., Il

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==