Dall'ombrgo/pop~oetlere P are che si debba giungere, oltre lo smarrimento morale e lo sgretolarsi della ragione, a considerare che il terrorismo portatore di strage si realizza nella distruzione e nello scempio dei più semplici modi della vita e della società di uomini, intesi e presi come gente e massa prima ancora che come popolo. Ormai da circa vent'anni le culture civili, filosofiche, economiche non vengono più indagate e proposte con i metodi dell'analisi e del confronto, ma vengono affermate o deformate da un principio assunto fuori da ogni relazione e coerenza (culturale e scientifica) allo scopo di determinare la sopraffazione più che l'egemonia di alcune e al fine di distruggere valori e misure di altre. È da credere che la crisi del marxismo, del socialismo comunista e anche riformista, del liberalsocialismo sia stata decisa, e quindi programmata e prodotta, a freddo, deliberatamente con mezzi appositamente attrezzati, con interferenze, falsificazioni e distrazioni. Anche le dottrine religiose, le scienze, gli ordinamenti e le norme costituzionali e giuridiche, i linguaggi, i luoghi sono stati e oncludendo con elaborata eleganza di dettato il tiepido ma forse non del tutto inutile dibattito sull'arte moderna ospitato da Repubblica, Renato Guttuso (cfr. «Ai miei maliziosi lettori», 20 dicembre 1984) ha ridisegnato sotto le righe una definizione di Accademia. Guttuso ha ribadito il concetto di 'continuità', arrivando a immaginare una separazione netta, in definitiva, tra artisti sani e malati, da relegare, questi ultimi, in appositi musei per non turbare troppo, nelle ingenue menti dei visitatori, quella 'continuità' che è appunto il valore assoluto da difendere. Della continuità dell'Accademia e di niente altro si tratta, vale a dire della difesa di tutti quei valori codificati che soli sembrano degni di essere chiamati 'umani', così come vengono puntigliosamente codificati da una cultura borghese che deve rifiutare sia lo sberleffo delle avanguardie sia ogni linea o tendenza di ricerca che devii dalle strade maestre prestabilite e rassicuranti. Come si continua a rifiutare con orrore una possibile discendenza dell'uomo da certe scimmie (oranghi o scimpanzé?), si suole confinare tra gli orrifici mostri (dunque tra le scimmie antropomorfe?) gli artisti che non rispettano le buone regole. Si sa che la continuità accademica si preoccupa molto meno della qualità della pittura che della conservazione delle proprie ideologie e, nel caso di Guttuso, sono sempre stati tutti molto indulgenti, forse in mancanza di meglio. Ciò che è difficile da spiegare è la coincidenza dei valori dell'accademia rigorosamente borghese con quelli simmetricamente rigidi dei partiti comunisti. Questa è una tragedia che ha avuto origine in Unione Sovietica alla metà degli anni Venti, e scardinati, privati di senso o permeati di un senso contrario. Le democrazie sono rimaste vere come la casa necessaria del capitalismo della produzione e distribuzione di merci, ruoli, riconoscimenti e fedeltà. La loro autorità vive del riflesso del potere economico che però non vuole distinguersi come dominante, ma svariare e fondersi in tanti sottopoteri. Non cerca di affermare la sua cultura, ma la sua potenza come scienza, natura, società e tempo. Il potere capitalistico ha ragione perché può distruggere qualsiasi altra ragione e perché non ha nemmeno la necessità di porre il problema della sua propria. Tutto nel mondo deve realisticamente piegarsi alla sua esistenza e alla sua ossessione accumulativa. Così la crisi del marxismo o della ragione o della politica di partecipazione e di trasformazione, della libertà, della cittadinanza, delle arti, sono tutte decisioni non affermate come tali ma inserite e gestite una dietro l'altra da un potere superiore e conduttore. In questo sistema le culture sottostanti e marginali sono negate, tanto che il pensiero può esistere come devozione e terapia (pasticca) per andare avanti nella carriera, per calmarsi, per distrarsi. E questo sistema non potendo nutrirsi di cultura e di apporti razionali deve sostenersi sulla soggezione e coltivare la paura dei soggetti, e anche avere paura di quella paura. Dove non c'è cultura non c'è scambio né alcuna sicurezza, e dove il soggetto assoluto nega ogni ragione, anche quella sua propria, finisce per perdersi. Così si dà spazio alla violenza, all'aggressione cieca: tanto per fermare, dilaniare una massa, una corrente di uomini che sono per principio contrarie e pericolose per il sistema prepotente. Solo l'esistenza di gente in famiglia, in gruppi, che si muove per qualche desiderio e speranza è una minaccia micidiale per questo sistema che ha negato e straziato le culture di quelle condizioni e realtà. Al nome di chi infatti si può andare con la mente di fronte al vasto strazio della bomba sul treno di Natale? Al nome di chi nasconde il nome, l'identità, la coscienza e che vive una realtà distinta e opposta a quella degli uomini. Infatti mi pare che noi, in un plurale più o meno casuale come quello dei morti sul treno, abbiamo sofferto molto di quella bomba, non tanto come per un attacco allo stato e alle sue istituzioni, quanto per un'esplosione tra uomini vivi e veri nell'ultima cultura: di avere un corpo, motivazioni, orari, percorsi una volta ancora da uomini; non del tutto arresi, non spogliati di una scadenza, la più banale, di libertà e quindi di per sé contrari al supersistema. E allora gli agenti immunitari di questo, scattati in circolazione magari automaticamente, si sono scagliati contro quegli impertinenti viaggiatori carichi di infezione. Proprio come agenti di servizio segreto o no; comunque legati fra loro in vari ruoli di dipendenza e tuttavia vitali alla conservazione della stessa superiore salute. Non per niente le immagini, i discorsi, le considerazioni più convincenti a proposito di quest'ultima strage sono stati quelli delle cronache e delle riprese dirette degli interventi di soccorso. In tutto quel tragico teatro nel quale niente appariva come un atto esterno, portato là dentro per un'esercitazione, ma proprio e solAccademia GuHuso Guttuso non c'entra; si è soltanto adeguato a una situazione in apparenza vantaggiosa:salvarsi l'anima senza disdegnare Mammona; predicare la 'rivoluzione' convivendo con il nemico di classenel territorio del mercato da sempre più favorevole alla continuità. Non ci vedo nulla di male, come mi pare del tutto giustificata la grande paura provocata in Guttuso dal Sessantotto, per esempio, quando poté credere che la «predica» si trasformasse in verità. Non si può invece accettare che si eviti di chiamare le cose con il loro nome. Nella storia della borghesia trionfante d'Europa ci sono centinaia di Guttuso, in tutte le nazioni, che hanno fatto pulitamente il loro mestiere. Che nella storia di un partito rivoluzionario e in nome della classe operaia, che si presume realistae figurativa, possa trionfare l'ideologia che le si oppone, in nome della continuità perbenista, è evento singolarissimo, che apre imbarazzanti . spiragli sulla debolezza della sinistra. Ma dire «debolezza» è usare un eufemismo. Chi abbia visto la mostra dei progetti architettonici elaborati nella Mosca degli anni Venti e abbia in mente che cos'è l'architettura staliniana intende perfettamente che cosa si vuol dire. Gettare troppa luce su queste vicende terribilipuò sembrare crudele, ma non si può non sospettare che a qualcosa laposizione di Guttuso possa essere servita e continui a servire. Per esempio a demonizzare altri artisti autenticamente comunisti e a bloccare la ricerca respingendola ai margini insieme a ogni altra istanza di mutazione che ogni movimento elabora e propone, negli Usa come in Italia. Queste le probabili intenzioni. Naturalmente gli esiti debbono essere considerati modesti o nulli. La Antonio Porta ricerca non si ferma per così poco, non si è mai fermata e quando invece si è affermata ha gettato nel ridicolo i suoi oppositori, anche sul piano del mercato. Per fare un esempio recente e scottante: mentre in Italia si tentava di sminuire se non di ridicolizzare Modigliani, sul mercato di New York alcune sue opere battevano ogni precedente record di valutazione. Allora, chiederà qualcuno, perché dedicare queste righe e questo spazio a un fenomeno tutto sommato ripetitivo e di scarso rilievo internazionale? Semplice: perché sono andato a vedere la mostra denominata «Grandi opere» (Salone delle Cariatidi, Palazzo Reale di Milano, aperta fino al 24 febbraio). Ecco, non si può far finta di niente, non si possono più accettare simili sbalorditive mistificazioni. Piero Dorazio ha giudicato da pittore e da par suo tali «grandi opere» e ha meritato più di un plauso (Cfr. «Il maestro delle apparenze», in Corriere della Sera, 2 gennaio 1985.) Ma non basta. Occorre uscire dal castello dei fantasmi, almeno nel territorio dell'arte se non riusciamo afare nulla per quello della politica pura. Giù le mani dal/'arte, vien voglia di dire, e tenetevi la vostra Accademia. Rassicuratevi come volete ma che non sia permesso rimescolare le carte in questo modo. Ma non è sempre successo? E allora a che serve tanta indignazione? È vero, è sempre successo. Allora è necessario dare un segnale adesso che la tanta agognata vittoria neoborghese non c'è stata. E cerco di spiegarmi meglio. Mi è capitato di essere a Parigi poco tempo fa e di poter vedere una mostra emblematica in un luogo emblematico: la pittura tedesca dell'Ottocento fino alle soglie del- /' espressionismo, allestita nelle sale restauratedi uno dei più suggestivi monumenti dell'Accademia francese, il Petit Palais, massima espressione dell'ondata vincente della ricchezza borghese fin de siècle. Mi ha colpito in quella mostra non tanto la pochezza del pompierismo accademico, ma il momento della sua crisi, segnata da Boklin e Klinger, e, subito dopo, gli annunci dell'espressionismo. Bastava questo passaggio a mettere in c!'isi il consenso di un pubblico assurdo nella sua adorazione del pompierismo, bastava il dipinto di uno scheletro che piscia in un laghetto (Klinger) per far inorridire le anziane signorine presenti. Il luogo, dicevo. Giustissimo rimetterci sotto gli occhi tanta inutilità restaurata perché ci viene restituito un termine esatto di confronto, senza equivoci. Così ho pensato: «Guarda quanti decoratori alla Guttuso, ma come erano più bravi anche dal punto di vista tecni- ;o ... ». Che sia, colpa delle avanguardie, o di Klee o magari di Pollock se Guttl,fSOnon è mai riuscito a dipingere altrettanto bene? Che sia questo il motivo per cui è così scontento dell'arte moderna? Di una cosa infine mi dichiaro certissimo,; che se fosse dipeso dal pittore delle «grandi opere» esposte a Milano, la frattura strepitosa degli espressionisti non sarebbe mai avvenuta e nessuno avrebbe più contrastato il trionfo delle ninfe e dei satiri dilaganti nei giardini del Lussemburgo. Mi ero chiesto, forse ingenuamente, perché mai Renato Guttuso, il «maestro delle apparenze», avesse chiamato «grandi» questi suoi quadri, invece che usare il più classico vocabolo di «grande for-· mato». Ma certo. È proprio in notanto come una bomba tra deglf uomini: per ucciderli e per ammonire con loro tutti i loro simili. Infatti mentre non si è riusciti a spiegare nelle varie dottrine e nemmeno secondo le ragioni della politica perché, come e che cosa esattamente sia accaduto, resta evidentemente vero soltanto il guasto e il numero dei morti. Proprio come se le dottrine, le idee e le politiche non fossero state nemmeno sfiorate dal riverbero e dalle schegge dell'esplosione. E quando anche in sede parlamentare il presidente del Consiglio ha riferito sulla strage e così quando sono state avanzate e poi discusse tante interroga-. zioni e proposte si è rimasti essenzialmente all'interno della solita cronaca nera specialistica per il terrorismo, appena appena distinguendo il terrorismo di strage da altro caratterrizzato per altri effetti. Non c'è stato nessun apprezzabile tentativo di ragionare sui motivi e quindi di risalire al perché e alle idee possibili di quell'assassinio e tutto si è limitato all'espressione di duri propositi di giustizia; della giustizia giudiziaria la quale è solo e soprattutto preoccupata di trovare un colpevole ma più ancome della continuità. Non certo con Caravaggio, non scherziamo, ma con il Petit Palais. A questo punto riallacciandosi a un luogo santo dell'Accademia, i conti tornano e l'indignazione che un poco mi ha preso la mano mi pare eccessiva. Perché cercare i frutti dell'invenzione nel Salone delle Cariatidi, a Milano, entrando, come è d'obbligo, dalla scala esterna? Basta. entrare dalla porta principale del Palazzo e ripensare la mostra degli espressionisti tedeschi, che vi era ospitata al piano terra, o salire due piani di scale e osservare con sempre rinnovata attenzione le opere di grande qualità esposte nel recente allestimento del Museo di Arte Moderna. Non èpoi così difficile distinguere tra Accademia e arte. Pochi giorni fa Maurizio Fagiolo dell'Arco, dichiarandosi solidale con Piero Dorazio, ha definito Guttuso «uno dei miti negativi del- /' Italia post-fascista». Negativo, dunque dannoso. Ma dannoso per chi, mi chiedo. Lo può essere solo per chi brama essere rispettabilmente danneggiato. Anche a costoro sia elargito il cibo della consolazione e non ci costa proprio nulla distribuire le tele, grandi per giunta, di Renato Guttuso. Ma devo sottolineare il «rispettabilmente», perché Guttuso raddoppia la sua riassicurazione con l'abilità del «citazionista»: ti riproduco o rivisito tutta l'arte moderna dentro le mie opere di grande formato e così te la demolisco e tu stai ancora più tranquillo, o mio fedele guardone. Occorre riconoscerlo, l'Accademia non era mai arrivata a tanta 'doppiezza' e sta forse qui il segreto del successo di Guttuso. Ma se questo si chiama «barare», allora l'indignazione ritorna...
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