H o affermato una volta con evidente leggerezza che conviene tener conto di tutto in tutte le occasioni. Naturalmente sono io il primo a sottrarmi ai miei consigli impossibili, ma potrei sostenere con qualche verosimiglianza che una massima impraticabile come quella che ho enunciato può definire con sufficiente approssimazione lo stato di desideri abnormi che accompagna la condizione dello scrittore immerso fino alla cintola nella marea montante della tecnologia. Il logos dei filosofi antichi ha perduto la sua unità, si è diffuso in una logosfera ronzante che circonda di parole e di immagini la vita dello scrittore proponendogli una apparente disponibilità di uomini, luoghi, cose grosse e piccole, accidenti e tempeste, illudendolo che tutta la realtà è a sua disposizione, descrivibile e comprensibile oltre i sigilli, e che basta premere un pulsante perché tutto si possa tradurre in scrittura. Questa illusione di poter trasferire sulla pagina scritta il mondo intero può apparire, nei momenti di stanchezza e malinconia, un probabile senso da attribuire alla letteratura. Nella pratica ci si accorge invece che la letteratura totale già si produce e cancella con perversi automatismi e che questa apparente disponibilità compone un muro effimero ma compatto e impenetrabil'attrazionpeerilvuoto le che alla fine debilita ogni vocazione e punisce ogni desiderio. Lo scrittore disorientato non sa più se chiedere soccorso al pennino di Manzoni o al word-processor, ma in ogni caso si rende conto che il senso della letteratura non sarà da ricercare nell'area delle frustrazioni. Se tutto il mondo è già letteratura io che ci sto a fare? Lo scrittore si piega ma non si spezza: se ha deciso di penetrare oltre questa barriera e di scegliersi un suo habitat ridotto ma ben definito, sarà costretto a fare altre contabilità anche se ha deciso di non tener conto di tutto in tutte le occasioni. L'idea di una natura instabile, catastrofica e dissipativa, così come ce la propongono da qualche tempo gli scienziati, produrrà simmetricamente nuovi disagi. Nel momento in cui si impegna nella descrizione di un fenomeno, lo scrittore si accorge che gli sta sfuggendo proprio l'oggetto della sua descrizione, che la ricerca dell'oggettività lo immerge nel ronzio della grande comunicazione e tutto il mondo gli apparirà come la negazione di ogni possibilità di serittura. Non so se sono in grado di comunicare al lettore, con questo mezzo rudimentale e approssimativo che è la parola, un'idea del disagio che ha coinvolto molti di noi per molti anni della nòstra attività. Un'attività che 1 potrei assomiLuigi Malerba gliare in qualche modo a quello che in medicina si definisce come dolore-fantasma. È il dolore che sussiste dopo l'amputazione di un arto: l'arto non c'è più, rimane soltanto il dolore. Nei casi più gravi si tratta di mal di testa. In altre parole abbiamo sofferto tutti i mali della letteratura nel momento in cui questa veniva cancellata da noi stessi nei suoi statuti più tradizionali e rassicuranti. L'atteggiamento negativo e contestativo della neoavangu::irdiaè l'esemplificazione, ormai 'storica', di questa situazione. Nemmeno nella contesta- '''' zione della letteratura mi sembra il caso di ricercare un senso da attribuirle. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto una grande invidia per i fisici che riescono a inseguire e qualche volta a catturare la realtà degli atomi in fuga a velocità vertiginose, a scinderli in particelle invisibili e già inesistenti nel momento in cui si tenta di definirne le proprietà. I fisici stanno facendo passi giganteschi verso la metafisica: riescono a lavorare da anni sull'inesistente e sull'invisibile. Beati loro. Se facciamo un esame in parallelo ci accorgeremo che molti di noi hanno lavorato per anni sulle negazioni e sulle assenze per poi comunicare alla affezionata clientela poco più che un disagio di natura interrogativa. Ma il disagio non è ancora un senso, a meno che non vogliamo sostenere che il senso della letteratura non è altro che il disagio che essa provoca in chi la esercita. Mi pare una definizione piuttosto riduttiva e anche un po' ritardata. Che cosa ci rimane dunque? Dovremo accontentarci dei «piccoli spazi» di cui ha parlato Angelo Guglielmi in un intervento extra moenia? I desideri abnormi e spropositati dello scrittore non possono appagarsi nemmeno temporaneamente sui piccoli spazi ancora disabitati. Se deve essere il deserto, che questo deserto sia il Sahara, altrimenti non ci sto, io me ne vado. In zona di rischio preferisco parlare ancora in prima persona invece di andarmene. E allora confesserò di avere avuto da sempre un'irresistibile attrazione per il vuoto. Ho immaginato molte volte il mondo delle cose e degli uomini affiancato da un identico e simmetrico mondo vuoto. È lo spazio nel quale colloco i miei esercizi di scrittura, dove trovano un luogo propizio le mie favole, le parole e le immagini con le quali tento di rimodellare a mia immagine e somiglianza quei frammenti di realtà che conosco per esperienza o per invenzione e che evidentemente mi inducono a qualche residuo entusiasmo. Se è già stata scoperta la velocità della luce sono disposto a inventare la velocità del buio, ma non mi accontento del treno, voglio proiettare le mie oscurità a trecentomila chilometri al secondo. Gli esploratori intraprendevano i loro viaggi e poi credevano di scrivere libri di avventura e di scienza e scrivevano invece favole e romanzi. Oggi non possiamo chiedere aiuto né alla geografia né alla storia, dobbiamo porci nella condizione di un extraterrestre che sbarca su questo strano pianeta e fissa il suo sguardo stupito su tutt~ ciò che incontra sulla sua strada. E la nuova soggettività che mi conforta a fare qualche progetto anche se i fisici l'hanno scoperta prima di me. Non è un rifugio ma una scelta non priva di astuzia. Il senso della letteratura equivale dunque per me alla capacità di esplorazione soggettiva per colmare gli smisurati vuoti paralleli che mi procurano qualche vertigine. Per concludere posso illudermi che ogni fenomeno o immaginazione o invenzione siano già di per sé teoria o quanto meno contengano una quota sufficiente di teoria dal dispensarmi da ulteriori spiegazioni. Unnuovometododi discussione P rendo la parola per una dichiarazione, non per un contributo o un intervento vero e proprio. Io sono qui invitato come ricercatore in un campo confinante di ricerca che nel mio caso è la scultura, e tutt'insieme un'esperienza di scenografia e alcune operazioni vicine all'architettura. Vi ascolto. Spero che in un periodo successivo si possa effettuare un riscontro profondo fra la ricerca letteraria e quella artistica. Nell'attenzione a questo dibattito so che gli artisti sono per lo più meno forti (o più deboli) degli scrittori e critici nella discussione; ( ... ) E, accaduto che la letteratura degli anni Sessanta ha portato definitivamente a termine il compito che si era assegnata di abbattimento delle paratie dietro cui la realtà si nascondeva (che peraltro non era qualcosa di estraneo che si sovrapponeva alla realtà ma era la stessa realtà che, caduta vittima di un processo di mastificazione, si era trasformata nella maschera di se stessa). Dopo oltre vent'anni di questa pratica letteraria, violenta e determinata, che trovava il senso della propria positività nell'atto di smantellamento e di dispersione - tanto che non a torto ciò che nelle opere nate da quella pratica sembrava sostanzialmente apprezzabile era soprattutto il_gesto- l'intero fronte della realtà è rimasto sconvolto, più nulla sembra rimasto in piedi, tutto è stato travolto e ridotto in frantumi: la letteratura ha sfondato ogni resistenza e ora si trova un po' derelitta, abbandonata non solo dall'oggetto contro cui si era accanita - che bucato da ogni parte ora risulta inservibile .,.. ma anche (di conseguenza) dalle motivazioni della propria fun,zione. La letteratura si trova, per ':()SÌ dire, nel giorno dopo . . e questa capacità, in più, è un elemento soggettivo variabile; è difficile misurarsi veramente nella discussione, mentre valgono piuttosto le prospettive. Ma il punto principale è che oggi si discute tutti male. Perché? I motivi sono molti. È un cattivo periodo per la ricerca, ciascuno mira a salvare la reputazione difendendosi dai media, ben attento a usarli meglio che gli riesce, ecc. I media non sono certo utili alla cultura, e anzi, a me pare che di recente nell'arte si faccia dai media il possibile, con trovate inattese e trappole, per screditare Arnaldo Pomodoro la cultura artistica più rigorosa. C'è inoltre la tendenza a differenziare troppo i livelli fra la ricerca interessante, autentica, e i grandi successi (fra i quali vado anch'io), oppure c'è la tendenza a mischiare completamente i livelli che non sono di autentica ricerca con questa: un po' di ricerca, un po' di speculazione, e un po' di schifo, addirittura. Generalmente oggi si discute male perché gli strumenti, i giornali culturali e critici aperti e spregiudicati sono pochi nel mondo e, credo, sono difficilissimi da fare. Ora, se è vero che gli scrittoricritici sono più forti nel discutere, devono secondo me trovare dei modi nuovi per organizzare la discussione, a poco a poco nei prossimi anni, perché si possano confrontare le idee, le attività, anche dei campi non affini, secondo criteri di compatibilità e di trascrizione che sono invalsi certe volte nelle scienze, mi pare, anche di recente. Quale nuovo metodo si può dare? Certo sino a poco fa c'è stato quello delle tendenze riconosciute, che è da ripigliare, anche. Io sono per esempio un espressionista astratto; per un certo temCriticdaelpost-moderno La letteratura del giorno dopo mi pare espressione preferibile all'altra, più in voga, di letteratura post-moderna. Le due espressioni hanno qualcosa (poco) in comune e molto di diverso. Ciò che hanno in comune è che tanto il giorno dopo che il post-moderno, contro ogni suggestione retorica, altro non sono che segnali di avvertimento, sintomi di un tempo che, colpito da grande sfinitezza storica, corre, magari un po' alla cieca, verso un indistinto dopo. Ma più è . ciò che li divide e li fa profondamente diversi. Qualcuno ha scritto che il passaggio al post-moderno lo si può cogliere nel momento in cui uno al quale abbiamo chiesto l'ora non ci risponde le nove e venti ma «le nove e venti?». Ciò si può cogliere nel tono interrogativo con cui i ragazzi americani pronunciano qualsiasi frase del discorso, anche l'affermazione più ovvia, indicando così l'affitwolirsi di ogni determinazione. Evidente in quei ragazzi (nell_acondizione che essi rappresentano) non più il rifiuto di ogni certezza, che richiederébbe com'1nque un prendere partito, il ricorso ad un atteggiamento forte, a una lotta, ma· l'accettazione ·.-di ogni inçertezza, come valore unico che ha sostituito non solo_ogni vaAngelo Guglie/mi !ore precedente ma anche la possibilità e la pertinenza di qualsiasi discorso sul concetto di valore. Il post-moderno è un'ideologia dell'attualità, è una celebrazione dell'attualità, promossa a ideologia: oggi non designa più il tempo provvisorio che stiamo vivendo ma è un ente, un'idea che giustifica e dà senso al tempo che passa. Se il moderno era un tempo storico, il post-~oderno è una condizione metafisica. Se il moderno frequentava la malattia pe~ esplorare zone off limits, spazi proibiti rispetto a cui la salute faceva da ferro spinato, il post-moderno promuove la malattia a nuova salute o, meglio, salta ogni dialettica tra malattia e salute, e premia l'oggi che, in quanto tale, raccoglie e annulla ogni distinzione. Raccoglie e annulla la ftammentarietà della vita che, mentre è irriducibile a ogni unità e connessione, trova nell'oggi il suo punto fermo, la sua divinità. E come ogni divinità anche l'oggi è inconoscibile, misterioso, provvidenziale: finalmente abbiamo trovato qualcuno cui affidarci per appoggiare (e giustificar ) fa nostra inconsistenza. Il vecchio dio, 11 dio della Chiesa cri tiana, perdonava i nostri peccati mortali: l'omicidio, il furto, il tradimento, ecc.; il nuovo dio perdona premia la nostra stupidità. Il post-moderno recupera una evidente dimensione com,olatoria, in quanto, non trovando altro modo di uscire dal disvalore dell'attuale vita, contrassegnata dal livellamento e dall'intercambiabilità operati dai mass media, decide di promuoverlo a nuovo valore, cioè a nuova fede nel valore ~ell'esistenza. Come scrive Claudio Magris il post-moderno indica ..:.per celebrarla - quella situazione di epilogo dilatato,. di prolungato e po minimalista. Mi sono stimato antecedente delle avanguardie degli anni Sessanta, e partecipe di esse, che a dire il vero si sono a volte poste allora settariamente, scartando i filoni anteriori di ricerca. Occorre migliorare la qualità profonda della discussione sul nuovo e sul vivo, escludendo ogni personalismo se si riesce, per fare così in modo che tutto il resto (stereotipo, pregiudizio, controllo) perda forza, e magari crepi. differito poscritto che sembraessere la nostra vita. Non indicauna fase storica che segue un'altra, ma un dopo permanente e assoluto, la stabile dimora in una salain cuile luci sono già mezze spente. Il post· moderno è giustificazionista,consolatorio e tranquillizzante: ti permette di farti un m~rito di quello che non sai fare. E un invito al facile e non ti avverte chedietro al facile c'è spesso il niente. E siamo così alla mostra veneziana Arte allo specchio. Ho già scritto e lo ripeto di non averemai visto riunite in un solo luogo tante opere brutte, insignificanti e mortificanti. E non è, come alcuni hanno detto, che la scadentissima (o nulla) qualità della mostra dipend~ssè dall'assenzadi alcuni nomi o comun4uc da un'organizzazione degli inviti settaria e ottusa· piuttosto dipendeva da un'inter• pretazione errata, semplicistica e meccanica delle nuove possibilità espressive che si aprirebbero agli artisti di oggi. Questa interpretazione è laconseguenza obbligata di quel concetto di post-moderno oggi in graa voga e che sopra abbiamocercato di descrivere. Secondo questa in,. terpretazione - che alcuni di noi hanno contribuito a varare - I post-moderno - cui le opere delll.
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