e hi frequenta l'antiquariato librario, e particolarmente chi ricerca le prime edizioni stendhaliane, sa che uno dei libri più introvabili, e quindi di più alto prezzo quando lo si trova, è il De I' amour pubblicato da Stendhal a Parigi nel 1822.E questa difficoltà a trovarlo, che diventa difficoltà ad averlo quando non si è assistiti da una condizione che permetta dispendio, pare sia da ascrivere al successoche, grazie al titolo, questo libro di Stendhal ebbe presso un pubblico non dedito all'acquisto di libri, e prevalentemente femminile, che • approssimativamente possiamo assomigliare a quel più vasto pubblico che oggi consuma, di ritorno, come tra le due guerre, letteratura 'rosa' e in più, e più massicciamente, programmi televisivi di uguale estrazione. Un pubblico, insomma, non abituato a conservare libri e N on è ancora troppo lontana l'epoca in cui i filosofi parlavano con competenza di questioni scientifiche: la disputa fra Leibniz e Newton sul calcolo infinitesimalefu una vera controversia nel campo della scienza; e ancora all'inizio dell'Ottocento la Naturphilosophie di Schelling era presa molto sul serio da fisici, chimici, medici. Ma nel volgeredi un secolo la situazione ha un rivolgimento completo, si produce una vera e propria frattura epistemologica: quando, nel Novecento, i neo-kantiani di Marburgo tenteranno di adeguare l'estetica trascendentale alla teoria della relatività, non sarà un confronto interno alla comunità scientifica, ma il tentativo di una socializzazione di un certo sapere, e del/'aggiornamento-giustificazione di un determinato corpus filosofico. Siamo cioè più vicini al romanticismo ontologico di Heidegger che al rapporto fra Kant e la scienza. In poco più di cent'anni, la filosofia ha perso ogni pretesa epistemologica e ha sviluppato un complesso di inferiorità nei confronti del sapere scientifico, di cui sono sintomi eloquenti sia la parodia dei protocolli delle scienze della natura nell'ambito delle mora! sciences, sia lo stesso sorgere del- /' epistemologia come resoconto storico ed edificante delle acquisizioni e del progresso delle scienze. Due fascicoli monografici di rivista usciti di recente, «Materiali sull'epistemologia francese» (Nuova Corrente) e «Sfumature. Materiali per rileggere Henri Bergson» (aut aut) indagano in modo unitario questo progressivo venir meno del valore di verità della filosofia r,-, rispetto alle scienze - attraverso la ..... c:s figura emblematica di Henri Berg- .S son -, e i problemi connessi alla ~ c:i.., istituzione di un rapporto non pu- ~ ramente edificante fra l'epistemo- ~ logia e il suo preteso oggetto - qui .9 il modello è il «passaggio a Nordl: Ovest», la nuova relazione tra ..Q ..Q scienze della natura e scienze urna- ~ °' ne tentata, anche sulla scia di Berg- 'O son, da Miche/ Serres e in genere t! dall'epistemologia francese del no- .S ~ stro secolo. ..Q Del'amour \ \ \ nelle cui case non c'è posto per una libreria; ma decisiva sarà stata, alla non conservazione del libro di Stendhal, la delusione per come era scritto: come da un medico che si fosse inoculato un virus e ne annotasse minuziosamente, con ansietà e con freddezza insieme, di momento in momento, gli effetti, i sintomi, i progressi. E perciò questo libro di :Stendhal resta come la cosa più 'scientifica', e al tempo stesso come la più appassionata, la più febbrile, la più lirica, che mai sia stata scritta sull'amore. Tutto quello che dopo Stendhal è stato scritto a descrivere e a definire l'amore, in effetti altro non è stato che uno scrivere sul De l'amour; sicché come Bertrand Russell dice che tutta la filosofia occidentale è un'annotazione in margine a Platone, possiamo dire che tutto quel che in un secolo e mezzo, fino a noi, è stato scritto Leonardo Sciascia sull'amore, non è che un'annotazione in margine a Stendhal. Ma tornando a quel pubblico che nel 1822 avrà indubbiamente avuto delusione dalla lettura del De l'amour ( e del resto Stendhal resta tuttora uno scrittore per pochi, per «pochi felici», come lui diceva), possiamo ben dire che circa trent'anni dopo ha avuto modo di ascoltare, propriamente di ascoltare - su un piano diverso e attraverso altra e più immediata forma di comunicazione - la grande lezione di Stendhal. E mi riferisco alla Traviata di Giuseppe Verdi, libretto di Francesco Maria Piave. Con tutta probabilità né Verdi né Piave avevano letto il De l'amour: ma nei versi di Piave, e nella musica che direi l'inciela, ineffabilmente il De l'amour trascorre e arride. E specialmente nel primo atto. «Un dì, felice, eterea,/ Mi baienaste innante, / E da quel dl tremante/ Vissi d'ignoto amor. / Di quell'amor ch'è palpito / Dell'universo intero, I Misterioso, altero, I Croce e delizia al cor». Letti così, avulsi dalla musica che però, nella memoria di ognuno, invincibilmente vi si riverbera, questi versi sembrano nuovi e possono sembrare poveri: ma badate a come certe parole stendhalianamente si accendono e li illuminano: il balenare della bellezza - la bellezza che Stendhal diceva essere promessa di felicità; l'insorgere quasi inavvertito, ignoto al cuore stesso che lo apprende e che vi si apprende, del sentimento; il suo consistere in sofferenza e delizia; il suo dislagare nell'intero universo. E ancora, nel successivo 'a solo' di Violetta, che appunto stendhalianamente comincia con la constatazione di quel che di strano avviene in lei: Scienzae filosofia la scienza», tradotto in aut aut, indica il punto di sutura fra le due questioni. «Si è fatto di Bergson - scrive Serres - un testo smorto e languido, svanito, spettrale e raffinato (... ). Ma egli è certamente l'ultimo o quasi, nella tradizione filosofica francese, a dominare correttamente il sapere del suo tempo, a non essere troppo in ritardo, qua e là a conquistare del vantaggio sulla sua evoluzione. È fecondo, epistemologicamente parlando, e questo sta per diventare raro». Bergson pensa alla propria metafisica in aperto antagonismo con la scienza; però la «scienzapo- . MaurizioFerraris bre notturne del narratore» (Polizzi). È l'ideale di quella che Jacques Derrida ha chiamato «mitologia bianca» - cioè, la razionalità, le forme scientifiche efilosofiche viste come espressioni di una mitologia diversa per grado, ma non per sostanza, da quelle dei popoli arcaici o primitivi; il nocciolo della verità, nella scienza non meno che nella filosofia o nei mito, è un sostrato oscuro, che si dà anzitutto come esperienza o evento, al di là dei protocolli metodici che caratterizzano le singole procedure delle scienze, ed eventualmente delle filosofie e delle mitologie. sitiva» contro cui vanno gli strali =============== bergsoniani è la scienza del positivismo: la scienza fin de siècle ha ormai preso altre direzioni. Quali? È questo ilpunto più sorprenden((!: i cammini della nuova scienza sono straordinariamente simili ai caratterigeneralidellametaf,sicabergsoniana, Scrive ancora Serres: «sarebbepossibile prendere in considerazione ad una ad una le enunciazioni della metafisica bergsoniana, e mostrare che si riducono a uno o più risultati decisivi della nuova scienza. Ma che cos'è il bergsonismo? L'indicatore, il segno di un cambiamento di paradigma nella scienza». La consonanza tra la metafisica di Bergson e la scienza del suo tempo non avviene sul piano del metodo;· paradossalmçnte, il bergsonismo è tanto più' vicino alla verità della scienza quanto meno crede al valore di verità delle procedure scientifiche. La filosofia può essere vicina alla scienza solo nel concetto, e mai nel metodo; le eventuali consonanze tra fisica e metafisica avvengono sulla base di una esperienza extrametodica della verità. È intorno a questo nodo che, in forma più o meno esplicita, ruotano gli interventi sull'epistemologia francese raccolti nel fascicolo di Nuova Corrente: i saggi su Miche/ • Serres di Gianfranco Gabetta e di Gaspare Polizzi tematizzano «l'ideale serresiano di un ritrovato isomorfismo tra verjtà e senso, matematiche e mitologia, lungo una strada che (... ) combini la luce diurna dello scienziato con le oma: ~,+1u,/l't,,;fc Ryosuke Cohen, Osaka, Giappone Questo «passaggio a NordOvest», o anche - per ·usare un termine di Prigogine - questa «nuova alleanza» tra scienze della natura e scienze dello spirito non investe però soltanto il problema del metodo e della verità, stringendo nuovi rapporti fra i saperi esatti e quelli mitici o letterari. \ hen vedere, il passaggio a Norcl~ h·est comporta anche una ripresa di un tema caro specialmente a Schelling, quello della filosofia dell'identità; in definitiva, il discrimine tra metodo ed extrametodicità, logos e mythos, riflette una scissione ancora più originaria e artificiosa, quella tra fisica e metafisica. Si possono trovare alcuni di questi temi nel saggio. di Gianluca Bocchi e Mauro Cerruti su Prigogine e dintorni: la «storia naturale non appare estranea alla storia umana. Non è identica, e nemmeno è differente: è la stessa ed unica storia se si pensa all'universalità dei problemi del rapporto fra contingente e necessario, fra globale e locale; è una miriade e una polvere di storie diff erenti se si pensa alla specificità dei sistemi, ai loro livelli, alle loro gerarchie, alla pluralità dei tempi e dei ritmi che· comportano» («La natura dev'essere lo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui dunque, ne~'assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere ilproblema di come sia possibile una naturafuori di noi», scriveva Schelling nell'Introduzione alle Idee per una filosofia della natura come introduzione allo studio di questa scienza, 1797). Ovviamente, non si può raccogliere tutto un panorama complesso e sfumato come quello dell'epistemologia francese contemporanea sotto l'etichetta, generica e certo un po' forzata, di una filosofia dell'identità. Cosi, ad esempio, il pensiero di Jean Toussant Desanti, indagato da Mario Castellana, sembra andare nella direzione opposta, . quella di una «estrema regionalizzazione dell'impegno epistemologico», di una sorta di epoché delle presupposizioni filosofiche per una corretta fenomenologia delle peculiarità proprie alle singole procedure scientifiche. Ma ·ritroviamo il tema dell'identità nellafilosofia della scienza di Georges <Eanguilhelm,che viene ripercorsa da Giuseppe Serto/i in un saggio monumentale e ricchissimo, che qui possiamo indicare solo con cenno brevissimo - figura anomala nel panorama intellettuale francese, Canguilhelm unifica due grandi correnti dellafilosofia della vita fin de siècle, il vitalismo di Bergson come prospettiva di continuità fra essere e coscienza, e lo storicismo di Dilthey come relativizzazione e comprensione storiografica della logica della scoperta scientifica. Torniamo al fascicolo bergsoniano di aut aut. / saggi raccolti - quelli 'classici' dello stesso Berg- «A me fanciulla, un candido / E trepido desire / Quest'effigiò dolcissimo / Signor dell'avvenire, / Quando ne' cieli il raggio / Di sua beltà vedea, / E tutta me pascea / Di quel divino error. / Sentia che amore è palpito/ Dell'universo intero,/ Misterioso, altero, I Croce e delizia al cor!». Poveri versi, nella forma poetica: ma più o meno consapevolmente spiccandosi dal De l'amour, sulle ali della musica di Verdi, da circa un secolo e mezzo trasvolano i cieli del mondo a descrivere, a rivelare, a dare nozione di un sentimento, di una vicenda, che ogni uomo di «cuor gentile», ad ogni sua età e ad ogni età del mondo, ha - «croce e delizia» - vissuto. M a su questi due testi - il primo che possiamo dire di scoperta e il secondo di divulgazione - le annotazioni in son, di Simmel, di Hyppolite, di Deleuze, oltre a quello di Serres di cui si è già detto - e gli articoliscritti ad hoc per questo numero da Rovatti e Sossi - riconfermano in toni anche molto diversi il problema-chiave della filosofia di Bergson e, potremmo dire, di ogni rapporto trafisica e metafisica: la filosofia non può raggiungere una maggiore 'scientificità' plagiando le metodiche delle scienze; può anzi essere vicina al vero (a quel vero a cui tende pure la scienza) solo indagando 'nuances' che sfuggono alle procedure obbiettivanti e . ai protocolli quantificabili - l'identità • metafisica tra essere e coscienza, natura e spirito che, nella sua natura costitutivamente metafisica, stabilisce il miglior ponte tra lafilosofia e la scienza. «Alla certezza cartesiana e kantiana», scrive Rovatti, Bergson, «contrappone così una certezza 'fenomenologica' e sostiene sempre il seguente paradosso: questa certezza è fuori di dubbio per quanto sia vaga e sfumata( ... ). Nessuna precisione razionale potrà pretendere di contenere di più di tale 'imprecisione' metafisica. Che dobbiamo chiamare imprecisione solo per w1a costrizione linguistica: agli occhi di Bergson essa è al contrario una precisione di ordine superiore, se con precisione intendiamo una coincidenza tra noi e la realtà». NuovaCorrente, n. 90-91 gennaio-agosto 1983 «Materiali sull'epistemologia francese» saggi di M. Serres, G. Polizzi, G. Gabetta, G. Bocchi-M. Ceruti, G. Sertoli, M. Castellana pp. 262 aut aut, n. s., n. 204 novembre-dicembre 1984 «Sfumature. Materiali per rileggere Henri Bergson» saggi di H. Bergson, G. Simmel, • J. Hyppolite, G. Deleuze, M. Serres, P.A. Rovatti, F. Sossi, P. Veronesi a c. di P.A. Rovatti pp. 126, lire 5.200 :g. L'articolo di Serres, «Bergson e 1:3.________________________________________________________________________ _
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==