Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

11linguaggi~~i~e,s~instepiù Jean-François Lyotard Il dissidio Milano, Feltrinelli, 1985 pp. 248, lire 29.000 Jean-François Lyotard La condizionepc>Qmodema Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 130, lire 12.000 «Et si l'enjeu de la pensée était le différend (... )? » J.-F. Lyotard R ipensare alcune figure fondamentali del pensiero filosofico a partire dalla postmodernità, strapparle alle spire del discorso metafisico: tale è I'enjeu dell'ultimo libro di Jean-François Lyotard, Le différend. Si tratta di «rifiutare il pregiudizio radicato da secoli di umanismo e di 'scienze umane' secondo il quale esiste 'l'uomo', esiste il 'linguaggio', per proporre una concezione impersonale e tutta postmoderna dell'essere. Già nella Condition postmoderne il linguaggio era assunto come referente privilegiato per analizzare le trasformazioni che nel campo della scienza, della letteratura e dell'arte avevano segnato il passaggio dalla modernità alla postmodernità. La «crise du récit», del dispositivo narrativo come forma legittimante del sapere, che si ricollegava alla più generale crisi del pensiero metafisico, apriva, alle soglie dell'epoca postmoderna, il problema della ricerca di un nuovo criterio di legittimazione del sapere. Nell'epoca del dominio della tecnica, l'efficienza e la produzione si offrono come possibili criteri di validità del sapere, ma non si rivelano «pertinenti a giudicare del vero e del giusto». Così, «l'enjeu del pensiero non è la verità, ma la performativité, cioè il miglior rapporto input/output». Quanto al «consenso» - l'intersoggettività come ipotesi possibile di legittimazione - è divenuto sospetto: «violenta l'eterogeneità dei giochi del linguaggio», mentre la creazione, l'invenzione ha bisogno del dissenso. Ciò che sembra affermarsi come criterio decisivo per la validità del sapere non è il consenso, ma proprio il dissenso; non il discorso dotato di validità universale, ma la pratica linguistica locale; non la grande narrazione ma il petit récit. Il linguaggio ha ormai perduto la sua funzione di detentore della verità; non è più ciò che permette l'articolarsi del 'progetto' illuminista e razionale, 'moderno'. Definitivamente tramontato nella sua forma assoluta e metafisica, il linguaggio si disfa e si disperde in un «nuage d'éléments langagiers», in una molteplicità di giochi linguistici; va incontro al 'nomadismo' e alla 'proliferazione infinita' delle sue forme. Nell'ultimo libro di Lyotard, questo processo di 'disseminazione' del linguaggioviene portato alle sue estreme conseguenze. Ormai, il linguaggio non esiste più: al suo posto si trova un champ pointilleux, uno spazio puntiforme, una molteplicità di universi di significato, un susseguirsi incessante di 'frasi'. Solo esistono le frasi nel loro articolarsi infinito: un «phraser sans fin». Non si può dubitare dell'esistenza delle frasi: «la frase sfugge alla prova del dubbio universale». Non si può insinuare tra le frasi il vuoto, l'assenza, il silenzio come luogo esterno alla frase che comporti la sua negazione: tutto è frase, anche l'assenza di frasi, il silenzio, possibilità massima del linguaggio allo stato puro. Talvolta però il linguaggio esita, si inceppa, e tra le frasi appare la «differenza», o meglio ciò che Lyotard definisce «différend»: «l'istante del linguaggio in cui sono voluti dal linguaggio». La figura del «différend», mentre testimonia di un eccesso della parola rispetto alla volontà dell'uomo e ai significati già fissati, mette in discussione la concezione di «un linguaggio naturalmente in pace con se stesso, 'comunicazionale', agitato solamente dalle volontà, le passioni, le intenzioni degli esseri umani. Antropocentrismo. La rivoluzione relativista e quantista in materia di -linguaggio rimane da fare». qualcosa accada», prima ancora che sia'°investito di senso, avvolto da una rete di significati. Questa nudità diviene rifiuto di ogni metafisica, che si è sempre configur~- ta come tentativo di rivestire di senso l'accadere. Allora, ci si può forse rappresentare l'essere - suggerisce Lyotard - come «un fuoco d'artificio, un'esplosione, qualche cosa di indefinibile e privo di qualsiasi finalità, a cui nessuno assiste perché gli spettatori sono essi stessi parte Gag/ione 1940-2040, San Franci.sco, California qualcosa che deve poter essere messo in frasi non può esserlo ancora», il momento in cui «on ne trouve pas ses mots». Scarto tra la possibilità espressiva e ciò che chiede di essere espresso, il «différend» è il momento in cui la parola sfugge all'uomo e gli impedisce di servirsi del linguaggio come di un semplice strumento al suo servizio, come un bene o una proprietà accanto ad altre. «Allora, gli esseri umani che pensavano di servirsi del linguaggio come di uno strumento di comunicazione, apprendono attraverso la sensazione di disagio che accompagna il silenzio (e di piacere che accompagna l'invenzione di un nuovo idioma) che Ma la scomparsa del linguaggio non è la sola a caratterizzare la postmodernità; essa si accompagna a quella del soggetto, inteso come istanza forte capace di dominare il reale, grande ricettore dell'essere. L'i/ y a postmoderno è segnato da una impersonalità originaria. Perciò occorre strappare alla concezione dell'essere gli ultimi brandelli di umanismo. Occorre liberarsi di tutte le abitudini moderne, c10e antropologiche, narcisistiche, che impediscono di pensare l'essere in sé, l'i/ y a indipendentemente dal soggetto e dal suo tentativo di attribuirgli un senso. L'essere è «l'accadimento 'nudo': non ciò che accade, ma che Henryk Bzdok, Katowice, Polonia di questo fuoco». Sono essi stessi «evento» in un universo effimero: uno scintillio destinato a spegnersi in fretta. S e per queste figure postmoderne del linguaggio e dell'essere il riferimento all'ultimo Heidegger e al cosiddetto tournant langagier della filosofia occidentale è d'obbligo, occorre però, come nota lo stesso Lyotard, rilevare una grande differenza. L'uomo non è più il destinatario dell'evento che è l'essere, e non trova più nel rapporto di «corrispondenza» (Entsprechen) al linguaggio la realizzazione del-suo essere autentico. Egli è esso stes~o parte di questo evento, «une instance qui arrive avec ce qui arrive»; l'uomo non è altro che «la venuta del linguaggio nell'universo aperto dalla frase». Le frasi-evento, le frasi-Ereignis non sono destinate al soggetto, ma pongono esse stesse i loro destinatari. Non hanno bisogno degli uomini, del loro dire: fanno segno silenziosamente e questo silenzio apre la scena, inaugura un universo, rivela un mondo. Ma come distinguere la frase che è solo bavardage dalla frase in cui si cela l'evento dell'essere? Il frasare ripetitivo vuoto e inutile, da quello inaugurale, disvelante, originario? Riemerge qui il vecchio problema della legittimazione del sapere, su cui era centrata l'analisi della Condition postmoderne, riproposto dietro l'interrogativo di un «comment enchainer?». Come, cioè, coordinare le frasi, come collegarle tra loro, quale criterio scegliere per passare da una frase all'altra, «in assenza di un regime di frasi o di un genere di discorso che gode di autorità universale?». Ogni frase, di per sé, è evento. Non si dà mai ripetizione che sia ripetitiva - come aveva ben visto Gertrude Stein quando scriveva «una rosa è una rosa è una rosa è una rosa». La ripetizione fa sorgere la differenza, l'alterità, l'abisso. Il dissenso, il «différend» appare allora la sola possibile «règle d'enchainement» nella disseminazione dei giochi del linguaggio. Se questa è la caratteristica della postmodernità - «il n'y a pas de langage mais des phrases; il n'y a pas d'Etre mais des il y a» -qual è la scrittura più appropriata per rappresentarla? Esiste una scrittura postmoderna? La fine della modernità ha segnato l'impossibilità di scrivere un gran libro, di elaborare un sistema di pensiero di tipo hegeliano. Ma rifugiarsi nel frammento e nell'aforisma - nello stile di Nietzsche - sarebbe troppo facile. La scrittura postmoderna non può essere né hegeliana né nietzschiana: totalità e frammento - sembra suggerire Lyotard - appaiono entrambi superati. La scrittura può essere invece similea un «dispositivo numerato», quasi un sistema di schede, un discorso discontinuo ma tendente all'ordine e alla sistematicità. Il «travail du deuil» del nichilismo di fine secolo, il lutto per la morte del linguaggio, la celebrazione del frammento, la «grande narrazione della fine delle grandi narrazioni» - tutto questo è stato ormai consumato. Non è il casodi continuare. Ciò che appare importante è invece il tentativo di rendere possibile un nuovo approccio alla parola, anche a partire da una figura 'debole' quale il «différend» - figura fatta di vuoto, di assenza, di silenzio - che si oppone ad una ~ concezione 'forte' del linguaggio, '; alla sua forma assoluta e metafis1- s::: ca. «Ou bien la postmodernité est- t elle cette occupation de vieillard Or) qui fouille dans la poubelle de la •~ finalité pour y trouver des restes, .9 qui brandit !es inconscients, les ~ ..C) lapsus, les bords, !es confins, les ..C) ~ goulags, les paratàxes, !es non01 sens, les paradoxes, et qui en fait 10 sa gioire de nouveauté, sa promes- e: s se de changement?» ~ ~ 1i

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