Alfabeta - anno VII - n. 69 - febbraio 1985

... Mensile di informazione culturale Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in Italy Febbraio 1985 Numero 69 / Anno 7 Lire 5.000 LMalerbaA, .PomodoroA,.GuglielmAi,.Spalala, P.BertelloE, .rlOl'ClBn.iF, rabdllaM, .DeAngelisA, .Tabua:hi G.Sass~A.Amasino, ~~~...,i-=@~ M. Cucci•~ R.DiMano, G.ConteF, .Bellin~ N.LorenzinG~.Giudki, F.Sanguine I~M.Coviello, ----=-~~~N-'\ G.MaiorinoC,.V-nriani, G.GuglielmP~.Valduga, ........ '--_ ,, G.Testa,F.l.et.aell~ R.luperin~G.CF. enulliS, .Agosti,F.MuzziolS~.Ramai, A.Porta,G.CelliA, .GarganG~ .Rabon~ N.FusiniJ,.Risset AccademiGa uttuso(Porta) Dall'ombrdael potere(Volponi)•OdinTeatret(Barba) Esempitaliani(Attisani•) De I' amour(Sciascia)

Settecento Napoletano DocumentiIl a curadi FrancoStrazzullo pp. 368 L. 30.000 Miche IJeanneret La scrittura romanticadella follia II caso Nerval pp. 216 L. 15.500 AndreaGareffi La filosofia delManierismo La scena mitologica della scrittura in Della Porta, Bruno e Campanella pp. 146 L. 11.000 AntimoNegri Nietzschee/o Finnocenza del divenire pp. 222 L. 16.000 RobertSolomon Il sistemamonetario internazionale (1945-1981) pp. 556 L. 35.000 RomanoLuperini Montaleo Fidentità negata pp. 236 L. 16.500 F. FrabboniE. Lodini M.Manini La scuoladi base a tempolungo Modelli, curricolo, contenuti pp. 200 L. 15.000 PaoloDelogu I Normanni n Italia Cronache della conquista e del regno pp. 277 L. 20.000 Educazionee sviluppolocalee regionale Esperienze europee a curadi PaoloOrefice pp. 604 L. 38.500 RobertoEsposito Ordinee conflitto Machiavelli e la letteratura politica del Rinascimento italiano pp. 220 L. 15.500 NicolaMerola La letturacome artificio e.altri saggi di letteratura contemporanea pp. 168 L. 13.500 i_ Più libri più idee le immagindii questo nùmero «È a partire dal 1962 che si è diffusa in forma planetaria l'attività artistica legata all'istituzione postale, grazie alla New York Correspondance School of Art, fondata da Ray Johnson». Di qui l'accettazione un po' passiva del termine Mail Art che giustamente Giovanni Lista rifiuta preferendo il più rigoroso e originale (perché legato alle origini e non al successo di diffusione) Arte postale. Ed è a partire dal bel saggio di Lista (L'art postai futuriste, Jean-Michel Piace Editore, Parigi, 1979) che si possono fare alcune considerazioni utili, si spera, presentando le immagini del numero 69 di Alfabeta. Due sono i nomi che s'impongoSommario Paolo Volponi Dall'ombra del potere pagina 3 Antonio Porta Accademia Guttuso pagina 3 Giorgio Agamben Holderlin-Heidegger pagina4 Eugenio Barba Odin Teatret, storia e oggi ( «Tendenze di ricerca/Teatro») pagina 6 Antonio Attisani Alcuni esempi italiani ( «Tendenze di ricerca/Teatro») pagina 8 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli· b) tutti gli articoli devono essere corredati. da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auArte postale no: Balla e Ivo Pannaggi. Le loro opere «postali» sono ormai nei musei e questo non è un male, di per sé, tutt'altro, ma significa pure che il lavoro «postale» dei futuristi è arrivato a risultati imprevisti. Essi non pensavano a una crisi globale della posta come forma generalizzata di comunicazione ma inconsciamente o inconsapevolmente l'hanno prevista trasformando la corrispondenza postale in un'arte, divenuta man mano «povera», «concettuale», «marginale», ecc. In fondo la risposta dei futuristi alla «morte dell'arte», passaggio fondamentale dell'ultimo ventennio del secolo scorso per tutte le arti, è stata quella di estetizzare il Alberto Folio Un sentimento inattuale (Histoire du traitement de la mélanconie - Democrito parla, di J. Starobinski; Saturno e la melanconia, di R. Klibansky - E. Panofsky F. Sax/) • pagina 10 Da Budapest a cura di Qiampiero Cavaglià e di Maurizio Ferraris pagina 11 • Luciana Floris • • • Il linguaggio non esiste ~iù (Il dissidio - La condizione postmoderna, di J. -F. Lyotard) pagina 12 Leonardo Sciascia De l'amour pagina 13 Maurizio Ferraris Scienza e filosofia pagina 13 Emma Fattorini La sposa di Dio (La fable mystique, di M. de Certeaux; Cultura monastica e desiderio di Dio -I monaci e l'amore nella Francia del XII secolo, di J. Leclercq; Le parole dell'estasi, di M. M. de' Pazzi; Il monaco e la parabola, di M. G. Angelini) pagina 14 Cfr. pagina 17 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale ~ono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o persònali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista &icomponç prevalentemente di mondo intero (la «ricostruzione futurista dell'universo»), in linea con le prime intuizioni delle avanguardie (Lautréamont) che proclamavano l'utopia dell'arte di tutti. Di conseguenza la «morte della posta» serve a dare vita ali'arte, senza volerlo o programmarlo. IL rapporto personale, privato, con l'opera d'arte, viene moltiplicato all'infinito, non tanto dai passaggi postali e dall'intervento del caso nella composizione, pure molto rilevante, ma dalla pratica di massa. Tutti gli artisti dovrebbero fare dell'arte postale, come tutti i poeti giapponesi scrivono haiku. Del resto quando si scrive una semplice lettera si va ormai molto al di là Amedeo Santosuosso Storia italiana del carcere (Storia del carcere in Italia, di R. Canosa e I. Colonnello) pagina 18 Al~dro Dal Lago Pane e circo (Il pane e il circo, di P. Veyne) pagina 19 Umberto Curi Il non reciproco vedere (Paris, Texas, di W. Wenders) pagina 21 Francesco Casetti Angelo di una donna pagina 21 Giornale dei Giornali Maltempo (e altro) pagina 22 Indice delle comunicazioni Neoturisti o neoartigiani? pagina 22 Le immagini Arte postale di Antonio Porta Supplemento Supplemento letterario. 4 collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo della comunicazione semplice (per essa si usano i mezzi elettronici) e si entra nel campo personale della comunicazione artistica, inventiva, provocante, vitale come gli altri mezzi, freddi, non possono essere. L'arte postale è arcaica come i graffiti di Lascaux o dell'Addaura. Curiosa metamorfosi: il futuro dei futuristi ci sta insegnando, oggi, a essere come gli antichi. Antonio Porta Le cartoline postali pubblicate in questo numero appartengono alla Collezione di Serse Luigetti. Sotto: cartolina di Chris Lutman, Udine. alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Direzione e redazione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Art director: Gianni Sassi Editing: Marisa Bassi (AER-Milano) Grafico: Bruno Trombetti Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Pubbliche relazioni: Monica Palla Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile: Leo Paolazzi Composizione: GD B fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica, viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

Dall'ombrgo/pop~oetlere P are che si debba giungere, oltre lo smarrimento morale e lo sgretolarsi della ragione, a considerare che il terrorismo portatore di strage si realizza nella distruzione e nello scempio dei più semplici modi della vita e della società di uomini, intesi e presi come gente e massa prima ancora che come popolo. Ormai da circa vent'anni le culture civili, filosofiche, economiche non vengono più indagate e proposte con i metodi dell'analisi e del confronto, ma vengono affermate o deformate da un principio assunto fuori da ogni relazione e coerenza (culturale e scientifica) allo scopo di determinare la sopraffazione più che l'egemonia di alcune e al fine di distruggere valori e misure di altre. È da credere che la crisi del marxismo, del socialismo comunista e anche riformista, del liberalsocialismo sia stata decisa, e quindi programmata e prodotta, a freddo, deliberatamente con mezzi appositamente attrezzati, con interferenze, falsificazioni e distrazioni. Anche le dottrine religiose, le scienze, gli ordinamenti e le norme costituzionali e giuridiche, i linguaggi, i luoghi sono stati e oncludendo con elaborata eleganza di dettato il tiepido ma forse non del tutto inutile dibattito sull'arte moderna ospitato da Repubblica, Renato Guttuso (cfr. «Ai miei maliziosi lettori», 20 dicembre 1984) ha ridisegnato sotto le righe una definizione di Accademia. Guttuso ha ribadito il concetto di 'continuità', arrivando a immaginare una separazione netta, in definitiva, tra artisti sani e malati, da relegare, questi ultimi, in appositi musei per non turbare troppo, nelle ingenue menti dei visitatori, quella 'continuità' che è appunto il valore assoluto da difendere. Della continuità dell'Accademia e di niente altro si tratta, vale a dire della difesa di tutti quei valori codificati che soli sembrano degni di essere chiamati 'umani', così come vengono puntigliosamente codificati da una cultura borghese che deve rifiutare sia lo sberleffo delle avanguardie sia ogni linea o tendenza di ricerca che devii dalle strade maestre prestabilite e rassicuranti. Come si continua a rifiutare con orrore una possibile discendenza dell'uomo da certe scimmie (oranghi o scimpanzé?), si suole confinare tra gli orrifici mostri (dunque tra le scimmie antropomorfe?) gli artisti che non rispettano le buone regole. Si sa che la continuità accademica si preoccupa molto meno della qualità della pittura che della conservazione delle proprie ideologie e, nel caso di Guttuso, sono sempre stati tutti molto indulgenti, forse in mancanza di meglio. Ciò che è difficile da spiegare è la coincidenza dei valori dell'accademia rigorosamente borghese con quelli simmetricamente rigidi dei partiti comunisti. Questa è una tragedia che ha avuto origine in Unione Sovietica alla metà degli anni Venti, e scardinati, privati di senso o permeati di un senso contrario. Le democrazie sono rimaste vere come la casa necessaria del capitalismo della produzione e distribuzione di merci, ruoli, riconoscimenti e fedeltà. La loro autorità vive del riflesso del potere economico che però non vuole distinguersi come dominante, ma svariare e fondersi in tanti sottopoteri. Non cerca di affermare la sua cultura, ma la sua potenza come scienza, natura, società e tempo. Il potere capitalistico ha ragione perché può distruggere qualsiasi altra ragione e perché non ha nemmeno la necessità di porre il problema della sua propria. Tutto nel mondo deve realisticamente piegarsi alla sua esistenza e alla sua ossessione accumulativa. Così la crisi del marxismo o della ragione o della politica di partecipazione e di trasformazione, della libertà, della cittadinanza, delle arti, sono tutte decisioni non affermate come tali ma inserite e gestite una dietro l'altra da un potere superiore e conduttore. In questo sistema le culture sottostanti e marginali sono negate, tanto che il pensiero può esistere come devozione e terapia (pasticca) per andare avanti nella carriera, per calmarsi, per distrarsi. E questo sistema non potendo nutrirsi di cultura e di apporti razionali deve sostenersi sulla soggezione e coltivare la paura dei soggetti, e anche avere paura di quella paura. Dove non c'è cultura non c'è scambio né alcuna sicurezza, e dove il soggetto assoluto nega ogni ragione, anche quella sua propria, finisce per perdersi. Così si dà spazio alla violenza, all'aggressione cieca: tanto per fermare, dilaniare una massa, una corrente di uomini che sono per principio contrarie e pericolose per il sistema prepotente. Solo l'esistenza di gente in famiglia, in gruppi, che si muove per qualche desiderio e speranza è una minaccia micidiale per questo sistema che ha negato e straziato le culture di quelle condizioni e realtà. Al nome di chi infatti si può andare con la mente di fronte al vasto strazio della bomba sul treno di Natale? Al nome di chi nasconde il nome, l'identità, la coscienza e che vive una realtà distinta e opposta a quella degli uomini. Infatti mi pare che noi, in un plurale più o meno casuale come quello dei morti sul treno, abbiamo sofferto molto di quella bomba, non tanto come per un attacco allo stato e alle sue istituzioni, quanto per un'esplosione tra uomini vivi e veri nell'ultima cultura: di avere un corpo, motivazioni, orari, percorsi una volta ancora da uomini; non del tutto arresi, non spogliati di una scadenza, la più banale, di libertà e quindi di per sé contrari al supersistema. E allora gli agenti immunitari di questo, scattati in circolazione magari automaticamente, si sono scagliati contro quegli impertinenti viaggiatori carichi di infezione. Proprio come agenti di servizio segreto o no; comunque legati fra loro in vari ruoli di dipendenza e tuttavia vitali alla conservazione della stessa superiore salute. Non per niente le immagini, i discorsi, le considerazioni più convincenti a proposito di quest'ultima strage sono stati quelli delle cronache e delle riprese dirette degli interventi di soccorso. In tutto quel tragico teatro nel quale niente appariva come un atto esterno, portato là dentro per un'esercitazione, ma proprio e solAccademia GuHuso Guttuso non c'entra; si è soltanto adeguato a una situazione in apparenza vantaggiosa:salvarsi l'anima senza disdegnare Mammona; predicare la 'rivoluzione' convivendo con il nemico di classenel territorio del mercato da sempre più favorevole alla continuità. Non ci vedo nulla di male, come mi pare del tutto giustificata la grande paura provocata in Guttuso dal Sessantotto, per esempio, quando poté credere che la «predica» si trasformasse in verità. Non si può invece accettare che si eviti di chiamare le cose con il loro nome. Nella storia della borghesia trionfante d'Europa ci sono centinaia di Guttuso, in tutte le nazioni, che hanno fatto pulitamente il loro mestiere. Che nella storia di un partito rivoluzionario e in nome della classe operaia, che si presume realistae figurativa, possa trionfare l'ideologia che le si oppone, in nome della continuità perbenista, è evento singolarissimo, che apre imbarazzanti . spiragli sulla debolezza della sinistra. Ma dire «debolezza» è usare un eufemismo. Chi abbia visto la mostra dei progetti architettonici elaborati nella Mosca degli anni Venti e abbia in mente che cos'è l'architettura staliniana intende perfettamente che cosa si vuol dire. Gettare troppa luce su queste vicende terribilipuò sembrare crudele, ma non si può non sospettare che a qualcosa laposizione di Guttuso possa essere servita e continui a servire. Per esempio a demonizzare altri artisti autenticamente comunisti e a bloccare la ricerca respingendola ai margini insieme a ogni altra istanza di mutazione che ogni movimento elabora e propone, negli Usa come in Italia. Queste le probabili intenzioni. Naturalmente gli esiti debbono essere considerati modesti o nulli. La Antonio Porta ricerca non si ferma per così poco, non si è mai fermata e quando invece si è affermata ha gettato nel ridicolo i suoi oppositori, anche sul piano del mercato. Per fare un esempio recente e scottante: mentre in Italia si tentava di sminuire se non di ridicolizzare Modigliani, sul mercato di New York alcune sue opere battevano ogni precedente record di valutazione. Allora, chiederà qualcuno, perché dedicare queste righe e questo spazio a un fenomeno tutto sommato ripetitivo e di scarso rilievo internazionale? Semplice: perché sono andato a vedere la mostra denominata «Grandi opere» (Salone delle Cariatidi, Palazzo Reale di Milano, aperta fino al 24 febbraio). Ecco, non si può far finta di niente, non si possono più accettare simili sbalorditive mistificazioni. Piero Dorazio ha giudicato da pittore e da par suo tali «grandi opere» e ha meritato più di un plauso (Cfr. «Il maestro delle apparenze», in Corriere della Sera, 2 gennaio 1985.) Ma non basta. Occorre uscire dal castello dei fantasmi, almeno nel territorio dell'arte se non riusciamo afare nulla per quello della politica pura. Giù le mani dal/'arte, vien voglia di dire, e tenetevi la vostra Accademia. Rassicuratevi come volete ma che non sia permesso rimescolare le carte in questo modo. Ma non è sempre successo? E allora a che serve tanta indignazione? È vero, è sempre successo. Allora è necessario dare un segnale adesso che la tanta agognata vittoria neoborghese non c'è stata. E cerco di spiegarmi meglio. Mi è capitato di essere a Parigi poco tempo fa e di poter vedere una mostra emblematica in un luogo emblematico: la pittura tedesca dell'Ottocento fino alle soglie del- /' espressionismo, allestita nelle sale restauratedi uno dei più suggestivi monumenti dell'Accademia francese, il Petit Palais, massima espressione dell'ondata vincente della ricchezza borghese fin de siècle. Mi ha colpito in quella mostra non tanto la pochezza del pompierismo accademico, ma il momento della sua crisi, segnata da Boklin e Klinger, e, subito dopo, gli annunci dell'espressionismo. Bastava questo passaggio a mettere in c!'isi il consenso di un pubblico assurdo nella sua adorazione del pompierismo, bastava il dipinto di uno scheletro che piscia in un laghetto (Klinger) per far inorridire le anziane signorine presenti. Il luogo, dicevo. Giustissimo rimetterci sotto gli occhi tanta inutilità restaurata perché ci viene restituito un termine esatto di confronto, senza equivoci. Così ho pensato: «Guarda quanti decoratori alla Guttuso, ma come erano più bravi anche dal punto di vista tecni- ;o ... ». Che sia, colpa delle avanguardie, o di Klee o magari di Pollock se Guttl,fSOnon è mai riuscito a dipingere altrettanto bene? Che sia questo il motivo per cui è così scontento dell'arte moderna? Di una cosa infine mi dichiaro certissimo,; che se fosse dipeso dal pittore delle «grandi opere» esposte a Milano, la frattura strepitosa degli espressionisti non sarebbe mai avvenuta e nessuno avrebbe più contrastato il trionfo delle ninfe e dei satiri dilaganti nei giardini del Lussemburgo. Mi ero chiesto, forse ingenuamente, perché mai Renato Guttuso, il «maestro delle apparenze», avesse chiamato «grandi» questi suoi quadri, invece che usare il più classico vocabolo di «grande for-· mato». Ma certo. È proprio in notanto come una bomba tra deglf uomini: per ucciderli e per ammonire con loro tutti i loro simili. Infatti mentre non si è riusciti a spiegare nelle varie dottrine e nemmeno secondo le ragioni della politica perché, come e che cosa esattamente sia accaduto, resta evidentemente vero soltanto il guasto e il numero dei morti. Proprio come se le dottrine, le idee e le politiche non fossero state nemmeno sfiorate dal riverbero e dalle schegge dell'esplosione. E quando anche in sede parlamentare il presidente del Consiglio ha riferito sulla strage e così quando sono state avanzate e poi discusse tante interroga-. zioni e proposte si è rimasti essenzialmente all'interno della solita cronaca nera specialistica per il terrorismo, appena appena distinguendo il terrorismo di strage da altro caratterrizzato per altri effetti. Non c'è stato nessun apprezzabile tentativo di ragionare sui motivi e quindi di risalire al perché e alle idee possibili di quell'assassinio e tutto si è limitato all'espressione di duri propositi di giustizia; della giustizia giudiziaria la quale è solo e soprattutto preoccupata di trovare un colpevole ma più ancome della continuità. Non certo con Caravaggio, non scherziamo, ma con il Petit Palais. A questo punto riallacciandosi a un luogo santo dell'Accademia, i conti tornano e l'indignazione che un poco mi ha preso la mano mi pare eccessiva. Perché cercare i frutti dell'invenzione nel Salone delle Cariatidi, a Milano, entrando, come è d'obbligo, dalla scala esterna? Basta. entrare dalla porta principale del Palazzo e ripensare la mostra degli espressionisti tedeschi, che vi era ospitata al piano terra, o salire due piani di scale e osservare con sempre rinnovata attenzione le opere di grande qualità esposte nel recente allestimento del Museo di Arte Moderna. Non èpoi così difficile distinguere tra Accademia e arte. Pochi giorni fa Maurizio Fagiolo dell'Arco, dichiarandosi solidale con Piero Dorazio, ha definito Guttuso «uno dei miti negativi del- /' Italia post-fascista». Negativo, dunque dannoso. Ma dannoso per chi, mi chiedo. Lo può essere solo per chi brama essere rispettabilmente danneggiato. Anche a costoro sia elargito il cibo della consolazione e non ci costa proprio nulla distribuire le tele, grandi per giunta, di Renato Guttuso. Ma devo sottolineare il «rispettabilmente», perché Guttuso raddoppia la sua riassicurazione con l'abilità del «citazionista»: ti riproduco o rivisito tutta l'arte moderna dentro le mie opere di grande formato e così te la demolisco e tu stai ancora più tranquillo, o mio fedele guardone. Occorre riconoscerlo, l'Accademia non era mai arrivata a tanta 'doppiezza' e sta forse qui il segreto del successo di Guttuso. Ma se questo si chiama «barare», allora l'indignazione ritorna...

ra di affermare un'autorità. Per tutti quelli che hanno parlato o scritto dal cerchio dei poteri dominanti in realtà era stato soltanto lacerato il tessuto dell'ordine a loro sottomesso, mentre per noi era stata dilaniata un'altra volta una cultura. Loro potevano credere a nemici e a ribelli, mentre noi potevamo pensare ai custodi e ai maestri di quell'ordine così duramente imposto. 11 terrorismo di strage ha una concezione del potere come autorità sacra e indiscutibile, padrona assoluta di vita e di morte. Quale può essere oggi questo potere per il quale si consumano tali sacrifici? Non è più tanto quello della 'patria', dell'ordine glorioso della storia della nazione e a prescindere dalle ideologie e dottrine che lo venerano e lo esaltano, è in realtà quello unico e vero del capitalismo nazionale e inter11 titolo della mia conferenza tenta, con la sua figura etimologica, di pensare in lingua italiana un termine tedesco così come esso si presenta in alcuni punti decisivi dell'opera di Holderlin e di Heidegger. Questo termine è il sostantivo Stimmung. Se è vero che pensare noi lo possiamo soltanto nel linguaggio, se, come diceva Wittgenstein, ogni interrogazione filosofica può essere presentata come interrogazione sul significato delle parole, allora la traduzione è uno dei modi eminenti in cui l'uomo pensa la sua parola. Ora, come ebbe a notare una volta un grande filologo, la parola tedesca Stimmung è appunto una di quelle che si sogliono definire intraducibili. «Ciò non vuol dire - continua lo stesso filologo - che frasi come in guter Stimmung sein non si possano facilmente tradurre con l'italiano essere di buon umore o col francese ètre en bonne humeur; che die Stimmung in diesem Zimmer non si possa tradurre con l'italiano l'atmosfera di questa stanza; e Stimmung hervorrufen, creare una atmosfera; die Seele zu Traurigkeit stimmen come disporre l'anima alla tristezza, ecc.; manca però nelle principali lingue europee un termine che esprima l'unità dei sentimenti che uq uomo prova faccia a faccia con ciò che lo circonda (un paesaggio, la natura o un suo simile) e fonda insieme il dato oggettivo con quello soggettivo in un'unità armoniosa. «... Un italiano non può dire 'l'umore di un paesaggio' né 'la sua atmosfera', mentre il tedesco potrà parlare sia della 'Stimmung di un paesaggio' che della 'mia Stimmung'. Inoltre la parola tedesca richiama costantemente gestimmtsein, 'essere· in accordo' che, implicando una certa solidarietà e consenso con qualcosa di più vasto, la distingue dal semplice 'stato d'animo'». L a parola Stimmung, come è evidente dalla sua prossimità a Stimme, voce, appartiene in origine alla sfera acustico-musicale. Essa è collegata semanticamente a parole come il latino concentus e temperamentum, o il greco armonia, e vale in origine intonazione, accordo, armonia. Da questo significato musicalè si svolge, senza però mai perdere completamente contatto con il senso originario, il significato moderno di «stato d'animo». Si tratta cioè di una parola il cui significato si è spostato, nel corso del tempo, dalnazionale, della sua bomba nucleare e cosmica, delle sue fortezze auree, dei suoi eserciti di dipendenti e di manodopera, delle sue province tributarie, delle sue colonie di sterminati giacimenti da sfruttare. Il terrorismo di strage si sente autorizzato e riconosciuto pur dopo tutte le accorate smentite, le condanne che ha avuto nella storia e nella scienza e anche nei linguaggi, nei canti, nei proverbi ma, quando vengono sottomesse e sottratte le verità delle culture che lo hanno negato, esso riprende e si investe di nuova fobia. Infatti dove ci sono sudditi ci sono angeli sicari e ci sono banditi ribelli. I primi se la prendono con il gregge, i secondi mirano singolarmente ai sovrani. Quando non ci sono culture e scuole c'è sempre un maestro solitario che si autoinveste, e per se stesso e per il mondo e che vuole impartire lezioni decisive. È la sfera acustico-musicale - cui lo legava la sua prossimità con la voce - a quella psicologica. Non sarà inutile riflettere qualche istante su questo spostamento di luogo. La storia della cultura umana non è spesso infatti altro che la storia di tali spostamenti, di tali dislocazioni, ed è proprio perché non si fa attenzione ad essi che spesso l'interpretazione di categorie e concetti del passato dà luogo a tanti fraintendimenti. Un semplice esempio chiarirà quello che intendo. Sappiamo che amore si dice, in greco, ér6s. Tuttavia per noi l'amore è un sentimento, cioè qualcosa che, per definizione, non è chiaro che cosa sia, ma che appartiene però indubitabilmente alla sfera psicologica, all'esperienza interiore di un individuo psico-somatico. Sappiamo invece che, per i greci dell'età arcaica, Éros era un dio, cioè qualcosa che apparteneva non alla psicologia umana, ma alla teologia. La trasformazione implicita nel passaggio da ér6s ad amore non attiene tanto alla fenomenologia dell'amore, singolarmente costante, quanto al suo migrare da una sfera all'altra. In questa migrazione, il pantheon degli dei greci o - più tardi - la trinitarietà del dio cristiano, si sono spostati dentro di noi: questa dislocazione della teologia è ciò che chiamiamo psicologia. Ed è a questa dislocazione che dobbiamo fare attenzione quando traduciamo ér6s con amore, se non vogliamo cadere in equivoco. Per questo il provenzale amor - e anche l'amore degli stilnovisti - che si trovano sul crinale fra teologia e psicologia, danno luogo a così frequenti fraintendimenti: non è chiaro, infatti, se quel che abbiamo davanti sia un cerimoniale religioso-soteriologico o un'avventura amorosa in senso moderno. Voi comprendete perciò quanto sia importante determinare il luogo in cui dobbiamo situare nel nostro caso la Stimmung. Nel par. 29 di Sein und Zeit, Heidegger presenta la Stimmung - che il traduttore italiano rende con «tonalità emotiva» - come il «modo esisten- • ziale fondamentale» attraverso il quale il Dasein si apre a se stesso. In quanto porta originariamente il Dasein nel suo Da, l'esserci nel suo ci, essa compie, infatti, la «rivelazione primaria del mondo (die primiire Entdeckung der Welt)». Ciò che in essa è in questione riguarda quindi innanzitutto non il piano antico - ciò che possiamo conoscere e sentire all'interno del persino da credere che quel tale maestro di morte, appena dopo aver messo la bomba dentro lo scompartimento e appena intravisto il gruppetto casuale degli alunni che lo occupavano, abbia detto tra sé e la sua sicurezza magistrale: «Così impareranno!». Cos'è che avrebbero dovuto imparare? A non pretendere di cambiare la vita; ad accettare una lunga soggezione alla morte come immutabilità. La repubblica non è diventata l'incontro delle culture, dei conflitti, delle proposte: la casa di vetro per tutte le trasparenze, verifiche, osservazioni. Si può dunque ben dire che non è la società che sia bloccata, come molti sociologi e politologi cercano di farci credere; ma che piuttosto la presenza di un potere molto autoritario e addirittura arcaico è così impenetrabile e inagibile da non ammettere nemmeno più la circolazione delle mondo, gli enti intramondani - ma il piano ontologico - l'aprirsi stesso del mondo. (Nei termini di Wittgenstein, potremmo dire: non come il mondo è, ma che il mondo è, ovvero ancora: non ciò che si dice in proposizioni all'interno del linguaggio, ma che il linguaggio sia.) Pertanto, scrive Heidegger, «essa non viene dal di fuori né dal di dentro», ma «sorge nell'esserenel-mondo stesso». «Essere in una Stimmung - aggiunge Heidegger - non comporta alcun riferimento primario alla psiche: non si tratta di uno stato interiore che si esteriorizzerebbe misteriosamente per colorire di sé cose e .persone». Il luogo della Stimmung - potremmo dire - non è né nell'interiorità né nel mondo, ma al loro limite. Per questo, l'esserci, in quanto è essenzialmente ........ la sua stessa apertura, è sempre già in una Stimmung, è sempre già emotivamente orientato; e questo orientamento è anteriore a ogni conoscenza cosciente come a ogni percezione sensibile, a ogni Wissen come a ogni Wahrnehmen. Prima che in ogni sapere e in ogni percezione sensibile il mondo si apre dunque all'uomo in una jtimmung. «Solo perché ontologicamente propri di un ente - scrive Heidegger - che ha il modo di essere dell'essere-nel-mondo in ·una situazione emotiva, i 'sensi' possono essere 'affetti' e 'aver sensibilità' per ciò che si manifesta nell'affezione». Più che essere essa stessa in un luogo, potremmo dire, allora, che la Stimmung è il luogo stesso dell'apertura del mondo, il luogo stesso dell'essere. La Stimmung, tuttavia, portando il Dasein nell'apertura del suo Da, scopre nello stesso tempo al Dasein il suo essere gettato in questo Da, il suo essere sempre già consegnato ad esso. Lo scoprimento originario del mondo che ha luogo nella Stimmung è, cioè, sempre già svelamento - dice Heisue stesse élites. Questo paese è pieno di mafie, camorre, bande, correnti, massonerie, clientele, spie, agenti, truffatori, eccetera perché i vari ambienti delle sue società non sono rischiarati dalla luce delle culture, ma celati e sottratti dal buio peso del non diritto, della dipendenza e della soggezione. Il terrorismo cosiddetto di sinistra o ribellista, che tanto spazio ha avuto negli ultimi dieci anni, aveva una sua cultura e cercava proprio di dilagare all'interno di culture maggiori, e anche di interpretarle e di guidarle. Ma esso è stato spietatamente messo allo scoperto dalla coscienza e dal giudizio civile e politico di quelle masse tra le quali cercava rifugio e adesioni. Ed è per questo che è balzato netto all'evidenza sopra i fili della verità, isolato e senza possibilità di nessuna presa. Il terrorismo delle stragi invece <legger - di una Geworfenheit, .di un essere-gettati, alla cui struttura inerisce un'essenziale negatività. Nel par. 40 di Sein und Zeit, analizzando l'angoscia come Stimmung fondamentale, Heidegger precisa i caratteri di questa negatività. Innanzitutto, anche qui ciò che l'angoscia rivela non è un qualche oggetto intramondano determinabile. «Il davanti-a-che dell'angoscia - scrive Heidegger - è completamente indeterminato ( ... ) Perciò l'angoscia non ha occhi per vedere un determinato qui o là da cui si avvicina ciò che la minaccia. Ciò che caratterizza il davantia-che dell'angoscia è il fatto che il minaccioso non è in nessun luogo ( ... ) esso c'è già, ma non è in nessun luogo; è così vicino che ci opprime e ci mozza il fiato, ma non è in nessun luogo. Nel davanti-a-che si rivela il 'non è nulla e in nessun luogo' (nirgends)». Nel punto stesso in cui il Dasein accede dunque all'apertura che gli è più propria e, nell'angoscia, si pone davanti al nuovo in quanto mondo, quest'apertura si rivela f. . sempre già traversata da una negatività e da un malessere. Se - come scrive Heidegger - il Da sta ora l davanti al Dasein come «un inesorabile enigma», ciò è perché la Stimmung, scoprendo l'uomo come sempre già gettato e consegnato alla sua apertura, gli svela, insieme, che egli non si è portato da sé nel suo Da. «Essendo - scrive Heidegger, - il Dasein è gettato, non si è portato da se stesso nel suo Da ( ... ). Esistendo, esso non risale mai indietro al suo essere gettato( ... ). Poiché esso stesso non ha posto il fondamento, esso riposa nel suo peso, che la Stimmung gli svela come un carico». Proprio perché il Dasein è aperto al mondo in modo tale che egli non è mai padrone della sua apertura, questa apertura al mondo ha il carattere dello spaesamento. «L'angoscia - scrive Heidegger- va a riprendersi l'esserci dal suo sentirsi a casa propria nel mondo e ha perciò innanzitutto il carattere dello spaesamento» (del non sentirsi a casa propria: zu Haus). Qui dovete pensare a un testo poetico che Heidegger ha costantemente in mente mentre scrive Sein und Zeit, e, cioè, le Elegie Duinesi di Rilke. Già nei primi versi della prima elegia, dopo l'apparizione tremenda dell'angelo, Rilke scrive che «gli animali sanno che noi non siamo a casa nel mondo interpretato (wir nicht sehr verliisslich zu Haus sind in der gedeunon ha cultura, non dibatte, non discute, non vuole ragione né seguaci perché sa di essere capito, protetto e già in qualche modo celebrato dal rigore collerico «dei superiori» come dal lamento della povera gente abbattuta. Il terrorismo di strage non è quindi riconoscibile per una sua cultura, per un suo progetto e per un suo particolare sistema di relazioni e di comunicazioni. Esso è un maestro muto che sta pronto all'ombra e all'ordine non tanto della cultura quanto della potenza dell'autorità dominante. Quindi non è possibile descriverlo, incontrarlo, decifrarlo, inseguirlo e raggiungerlo, ma è necessario, per arrivare a guardare il suo feroce e informe piedistallo di ferro, entrare nelle stanze e nelle ragioni del potere. teten Welt)». E, nell'ottava elegia, evocando l'idea dell'Aperto - das Offene - in cui l'animale guarda con tutti i suoi occhi, Rilke scrive che «noi non abbiamo invece mai davanti a noi il puro spazio, dove i fiori sbocciano senza fine ( ... ) sempre è per noi Mondo e mai il danessuna-parte senza non (Nirgends ohne nich)». e erchiamo ora di ricapitolare i caratteri di questa Stimmung, di questa apertura originaria al mondo che costituisce il Dasein, e - se possiamo - di situarne il luogo. La Stimmung è il luogo dell'apertura originaria del mondo, ma un luogo tale che non è esso stesso in un luogo, ma coincide col luogo proprio dell'essere dell'uomo, col suo Da. L'uomo - il Dasein - è questa sua apertura. E, tuttavia, questa Stimmung, questo accordo originario e questa consonanza fra Dasein e mondo, è, insieme, una dissonanza e una scordatura, un essere-spaesati e gettati. L'uomo è, cioè, sempre già anticipato dalla sua stessa apertura al mondo. Perché, chiediamo ora, l'apertura della Stimmung ha questo carattere di scissione e di dissonanza? Che cosa è in gioco in essa? Che cosa si tratta di accordare e di intonare, se la sola «intonazione» possibile ha la forma di una dissonanza? Riflettiamo un momento sul carattere fondamentale, sul carattere di arché che Sein und Zeit assegna alla Stimmung e all'angoscia in quanto Stimmung fondamentale. Un solo stato d'animo, una sola passione, una sola Stimmung ha nell'antichità un simile privilegio e un simile carattere di principio: il thaumazein, la meraviglia, che secondo un'antichissima e costante tradizione è l'arché del filosofare. Notiamo, innanzitutto, di passaggio, una differenza fondamentale: l'apertura originale appartiene per i greci alla sfera ottica - thaumazein è theiisthai, guardare -, mentre, per Heidegger e, in generale, per noi moderni, essa si situa nella sfera acustica (Stimmung da Stimme, voce). Questo è il debito della modernità con l'ebraismo, in cui la rivelazione è sempre un fenomeno acustico. Ricordate che nella Bibbia si legge: «L'Eterno parlò a voi dal fuoco. Voi udiste una voce di parole, ma forme, figure non ne avete vedute, tranne la voce». In che senso dobbiamo'intendere il carattere acustico della Stimmung e il suo rapporto con la me-

raviglia e con gli altri pathe della filosofia greca? Heidegger stesso mette in relazione la sua trattazio-' ne della Stimmung con la teoria dei pathe nella Grecia classica, sottolineando come la prima trattazione sistematica delle emozioni non sia stata condotta nell'ambito della psicologia, ma nella retorica di Aristotele. Ora, nella retorica di Aristotele, la trattazione delle passioni è condotta naturalmente all'interno di una teoria del discorso convincente, e quindi in stretta relazione al linguaggio. Ma l'intuizione di questa prossimità fra passioni dell'anima e linguaggio, fra pathos e l6gos, caratterizza anche la più ampia riflessione che il pensiero greco postaristotelico ha dedicato al problema: quella degli stoici. Si deve a Crisippo la formulazione radicale, per noi a prima vista sconcertante, secondo cui le passioni, in quanto sono in relazione essenziale al l6gos, possono prodursi soltanto nell'uomo. L'uomo incorre nelle passioni, perché è un animale parlante; è un animale appassionato, perché è un animal rationale. Le passioni non sono infatti in alcun modo, secondo gli stoici, un fenomeno naturale, ma una forma di crisis, di giudizio, e, quindi, di discorso. Fatte queste premesse, esaminiamo ora la definizione che gli stoici danno della passione: essa è pleonazusa orme é ypertéinousa ta cata ton 16gonmétra. La traduzione corrente dà: impulso eccessivo, che trasgredisce la misura del linguaggio. Ormi viene da 6rnymi, che ha lo stesso etimo del latino orior e origo e significa: «scaturisco, nasco, origino». La definizione presenta quindi uno scaturire, una origine che sorpassa la misura del linguaggio. Altrove gli stoici dicono di questa ormi che essa è apeithls logo, «inconvincibile col linguaggio» e affermano che ogni pathos è biastic6n, violento. Ma che cosa è in questione in questo scaturire e in questa violenza? Se ricordiamo che, per gli stoici, il pathos non è un elemento naturale irrazionale ma è legato al l6gos, allora ciò che esercita violenza non può essere qui che il linguaggio stesso, l'origine eccessiva non può che essere quella del linguaggio stesso. Nei frammenti degli stoici che ci sono stati conservati, noi non troviamo in nessun luogo un'affermazione così esplicita, eppure essa è la sola che non contraddica le premesse della loro teoria delle passioni, dell' «animale razionale» come unico «animale appassionato». In ogni caso, come la Stimmung, nel momento stesso in cui conduce il Dasein nella sua apertura, gli rivela il suo essere spaesato in questa, così la teoria stoica delle passioni fa segno verso una sconnessione, un eccesso che si produce nel rapporto fra l'uomo e ciò che gli appartiene più in proprio: cioè il l6gos, il linguaggio. P ossiamo, a questo punto, formulare la seguente ipotesi: la teoria delle passioni, delle Stimmungen, è da sempre il luogo in cui l'uomo occidentale pensa il proprio rapporto fondamentale col linguaggio. Attraverso di essa, l'uomo occidentale - che definisce se stesso come ani- .,.., mal rationale, il vivente che ha il c:s .s linguaggio - cerca di cogliere l'ar- ~ thros, l'articolazione stessa fra vi- ~ ~ vente e linguaggio, fra z6on e 16- °' gos, fra natura e cultura. Ma que- ....,. _9 sta connessione è, nello stesso ~ tempo, una sconnessione, questa :g articolazione è, nella stessa misu- ~ ra, una disarticolazione: e le pas- °' 'O sioni, le Stimmungen, sono ciò che i.: si produce in questa sconnessione, ~ ciò che rivela questo scarto. l E se la voce è- secondo un'anti- ~ ca tradizione che definisce il !inguaggio umano come f oné énarthros, voce articolata - il luogo in cui avviene questa articolazione fra vivente e linguaggio, allora ciò che è m questione nella Stimmung, ciò che s'inscena nelle passioni, è, potremmo dire, !'in-vocazione del linguaggio, nel duplice senso di situazione in una voce e di richiamo, di vocazione storica che il linguaggio rivolge all'uomo. L'uomo ha Stimmung, è appassionato e angosciato, perché si tiene, senza avere una voce, nel luogo del linguaggio. Egli sta nell'apertura dell'essere e del linguaggio senza alcuna voce, senza alcuna natura: egli è gettato e abbandonato in questa apertura e di questo abbandono deve fare il suo mondo, del linguaggio la propria voce. Se torniamo, a questo punto, al testo di Heidegger da cui siamo partiti, allora tanto il tema della Stimmung che il comparire, nei paragrafi successivi di Sein und Zeit, di una Voce della coscienza, si illuminano in modo nuovo. La connessione etimologica fra Stimmung e Stimme, vocazione e voce, acquista qui il suo senso proprio. Nella stessa apertura originaria del Dasein compare ora il richiamo silenzioso di una Voce della coscienza, che impone una comprensione più originaria di questa stessa apertura qual era stata determinata attraverso l'analisi della Stimmung. Più tardi, in Was ist Metaphysik e, soprattutto, nel Nach-wort aggiunto alla quarta edizione della conferenza, il recupero del tema della voce è ormai completo. La Stimmung dell'angoscia appare qui comprensibile solo in riferimento a una lautlose Stimme, a una voce senza suono, che «ci accorda - Stimmt - nel terrore del- !' abisso». L'angoscia non è, anzi, altro che die von jene Stimme gestimmt Stimmung, la «vocazione accordata da quella voce». E la voce senza suono è la voce dell'essere, che chiama l'uomo all'esperienza «della meraviglia delle meraviglie: che l'essente è». P assiamo ora al secondo testo sulla Stimmung che ci eravamo proposti di interrogare. Si tratta di uno scritto in prosa di Holderlin che porta il titolo Uber die Verfahrungsweise des poetischen Geistes, che possiamo tradurre: «Sul procedimento dello Spirito poetico»; più precisamente, di una breve appendice a questo testo, che porta essa stessa l'indicazione: Wink fur die Darstellung und Sprache, cenno per l'esposizione ed il linguaggio. Come il titolo suggerisce, Holderlin riflette in questo testo sulla poetica stessa, e ci presenta, per così dire, una fenomenologia dello spirito poetante. Ciò non ha nulla a che fare, però, con quanto tradizionalmente si intende come poetica di un autore. Nell'arte poetica, il poeta pi;ende la sua poesia come tema e ne determina la forma e i contenuti. La poetica si situa nella dimensione di un programma e presuppone, perciò, come già aperto quel luogo del poema e già costituito quell'io poetante a partire dai quali soltanto qualcosa come un programma o un'intenzione possono nascere. La dimensione in cui questo testo ci conduce è più originaria di quella di una poetica, perché ciò che in essa è in questione è l'avvento st'esso della parola poetica, il suo aver-luogo. Ed è in questa dimensione, che non è semplicemente una dimensione di linguaggio, che incontriamo nuovamente, in funzione decisiva, il concetto di Stimmung. Holderlin distingue qui dalla materia e dalla forma dell'opera una dimensione che egli definisce «formalmateriale» o «spiritualsensibile» e che chiama Grund des Gedichts, ragione o fondo della poesia- razo de trobar, potremmo tradurre, riprendendo l'antico vocabolario poetico provenzale (ricordiamo che la lingua tedesca è quella che più fedelmente ha conservato il vocabolario poetico medievale nei termini stessi con cui designa l'attività poetica: dichten e Gedicht derivano dal latino medievale dictare, dictamen, che indicano il centro stesso della composizione poetica). Di questa dimensione, Holderlin dice che essa deve costituire il passaggio ( Ubergang) fra la materia sensibile, ciò che viene espresso e rappresentato e lo spirito (Geist) e l'elaborazione ideale. È solo questo elemento intermedio che, scrive Holderlin, «dà al componimento poetico il suo rigore, la sua saldezza e la sua verità, e lo preserva dal pericolo che la libera elaborazione ideale divenga vuota maniera e l'esposizione espressiva semplice vanità». È per definire questa dimensione che non appartiene propriamente al vissuto né è semplicemente linguaggio, ma costituisce il centro a partire .dal quale soltanto potrà prodursi l'opera poetica, che Holderlin fa intervenire il concetto di Stimmung. L'uomo - egli dice - deve uscire dalla semplice vita, dall'«infanzia originaria», ursprungliche Kindheit e sollevarsi alla pura eco (reine Widerklang) di questa vita e di questa infanzia, che egli definisce appunto come una Stimmung pura e senza materia, stoffl.osereine Stimmung, o anche come un sentimento trascendentale (transzendental Empfindu,:zg). U. Raponi, Segnale, Perugia È in questo momento centrale che si apre lo spazio in cui si situa l'avvento proprio della parola poetica. «Proprio in questo istante - scrive Holderlin - in cui il sentimento vivente originario, purificato fino a diventare pura Stimmung aperta a un infinito, si trova come infinito nell'infinito, come un tutto spirituale in un tutto vitale, è in questo istante che si può dire che viene presentito il linguaggio». E come la vita si era spiritualizzata in pura Stimmung e in puro sentimento, così ora la Stimmung si fa parola viva e reale «dove - scrive Holderlin - spirito e vita sono uguali dai due lati» e, come «opera riuscita e creazione», essa «trova la vita originaria nella forma più alta e conosce ciò che ha trovato». Quanto la determinazione di questa dimensione, in cui soltanto può avvenire la pura parola poetica, sia essenziale per Holderlin, è provato dal fatto che egli, per definirla, sente il bisogno di opporj_a alle categorie proprie del pensiero dei suoi due amici di Tiibingen: Hegel e Schelling. Egli scrive infatti che e_ssa,come non può essere mera tensione vitale, non può nemmeno essere coscienza e riflessione (perché così andrebbe persa la vita - e qui Holderlin ha di mira Hegel), né una «intuizione intellettuale col suo mitico, plastico soggetto-oggetto» (perché andrebbe allora perduta la coscienza - e qui egli ha di mira Schelling), ma una pura Stimmung, un puro sentimento trascendentale. Per questo è importante che questa Stimmung sia mantenuta pura da ogni intrusione estranea, che, come scrive Holderlin, il poeta «in questo momento non prenda niente come dato, non parta da nulla di positivo, che la natura e l'arte( ... ) non parlino prima che per lui vi sia un linguaggio, vale a dire prima che ciò che ora nel suo mondo è ignoto e senza nome divenga noto e assuma per lui un nome, proprio perché è stato confrontato e riconosciuto concordante (ubereinstimmend) con la sua Stimmung. Se, infatti, prima (... ) vi fosse già in una forma determinata un qualche linguaggio della natura e dell'arte, proprio per questo egli non si troverebbe nella sua sfera d'azione, uscirebbe dalla sua creazione e il linguaggio della natura e dell'arte (... ) verrebbe prima, in quanto non è il suo linguaggio». A nche in questo eccezionale documento della tradizione poetica occidentale, come nel testo di Heidegger che abbiamo appena esaminato, la Stimmung è la condizione perché l'uomo possa, senza essere già sempre anticipato da un linguaggio estraneo, proferire una propria voce, trovare la propria parola. Già all'inizio della tradizione della lirica moderna - nella poesia provenzale, stilnovista e in quella dei Minnesanger - questa condizione era situata in una Stimmung. Che questa si chiamasse Amor, amore, o .Minne, in ogni caso essa designava resperienza della dimora nel principio della parola, la situazione del 16gos in arché. Ciò che nella Stimmung è in questione, è la possibilità, per l'uomo parlante, di fare esperienza del nascere stesso della parola, di cogliere, cioè, lo stesso averluogo di quel linguaggio che, costantemente anticipandolo, getta e destiµa l'uomo fuori di sé in una storia e in una tradizione. Poiché solo se l'uomo potesse cogliere l'origine stessa della funzione significante che sempre lo anticipa, si aprirebbe per lui la possibilità di una parola libera, di un linguaggio che fosse veramente e integralmente il suo linguaggio. Solo in ·una tale parola, il progetto filosofico di un pensiero senza presupposti e quello poetico di una parola assolutamente propria potrebbero trovare senso e realtà. Libertà può infatti significare soltanto libertà dalla natura e dal linguaggio. Se il linguaggio ci liberasse dalla natura solo per gettarci in un destino storico in cui il destinante incessantemente ci anticipa e sfugge, non ci sarebbe libertà possibile per l'uomo. Libertà è possibile per l'uomo parlante solo se egli potesse venire in chiaro del linguaggio e, afferrandone l'origine, trovare una parola che fosse veramente e interamente sua, cioè ymana. Una pa,;ola, cioè, che fosse la sua voce, così come il canto è la voce degli .uccelli, il frinito è la voce del grillo e il raglio è la voce dell'asino. Ma può la Stimmung, diventando Stimme, dare al linguaggio un luogo e, in tal modo, appropriarlo all'uomo, all'animale senza voce? Può l'appassionata vocazione storica che l'uomo riceve dal linguaggio trasformarsi in voce? Può la storia diventare natura dell'uomo? O non si limita essa piuttosto a portare l'uomo di fronte alla sua assenza di voce, alla sua afonia, mettendolo, con ciò, puramente e immediatamente di fronte al linguaggio? Unaprima versione di questo scritto è stata letta al Collegio Ghisleri di Pavia il 27 aprile 1983. 6 bertanieditore Via S. Salvatore Corte Regia, 4 37121 • Verona - Italia -Tel. 045/32686 MARIO GAUIGNA CONOSCENZA E DOMINIO Le scienze della vita tra filosofia e storia post-fazione di Jacques RORer DINO COFRANCESCO DESTRAESINISTRA Per un uso critico di due termlni-c:hlave Destra e Sinistra />,r .,,. w.,o ffltko " - wr,nlttl•clt1'1• ·- ...... WANDA TOMMASI MAURICE BLANCHOT: LA PAROLA ERRANTE Con un saggio Introduttivo di Giorgio Fnncl, DISTRIBUZIONE: RETI REGIONALI 6 bertanieditore MirkoD. Grmek Le malattie all'alba della clvlltà occidentale Ricercheaulla realtà patologicanel mondo greco prelatorlco, arcaicoe claaalco Dai miti di Omero alla scienza ippocratica, l'archeologia di un mondo segnato dalle malattie: l'antichità degli eroi sconvolta da morbi crudeli, dai grandi assassini di cui la storia non parla HansKelsen L'amor platonico Eros omosessuale e volontà di potenza alle radici dell'utopia platonica: una sorprendente incursione di Hans Kelsen nei territori della psicoanalisi MartinJ. 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