Cfr. Douglas Kellner Herbert Marcuse and the Crisis of Marxism Houndmills Basingstoke Macmillan Publishers Ltd, 1984 pp. XII-505, ls 22,50 (hardcover) ls 8,95 (paperback) Il pensiero e l'opera di Marcuse continuano ad avere negli Usa una straordinaria attualità sia pure all'interno della ristretta cerchia degli studiosi appartenenti all'area della New Left: nel corso degli ultimi cinque anni - ossia del periodo di tempo trascorso dalla scomparsa del filosofo nel luglio del 1979- si è infatti assistito alla pubblicazione di diversi contributi dedicati alla riconsiderazione critica dell'intera riflessione marcusiana. L'ultimo, in ordine cronologico, è questo studio di Douglas Kellner, docente di filosofia all'Università del Texas nella sede di Austin. Lo scritto si segnala innanzitutto per l'originalità del taglio prospettico adottato: si tratta, infatti, del primo tentativo finora compiuto di considerare l'opera di Marcuse come una risposta in positivo alla cosiddetta 'crisi del marxismo'. Esso, in altri termini, si sforza - con successo - di evidenziare non soltanto il carattere intrinsecamente marxista della riflessione marcusiana, ma anche e soprattutto di rilevare la specificità dei suoi apporti allo sviluppo e al rinnovamento del marxismo stesso. L'autore, avvalendosi quindi della qualificata consulenza di un'ampia schiera di studiosi e di pensatori quali - per citare i maggiori - Klaus Bòhme, Martin Jay, Ernst Bloch e Jiirgen Habermas, nonché della preziosa collaborazione dello stesso Herbert Marcuse, esamina analiticamente l'intero arco della produzione marcusiana dalla tesi di dottorato Der deutsche Kunstlerroman (1922) a La dimensione estetica (1976), avendo cura tanto di coglierne e di discuterne gli elementi di discontinuità, quanto di esplicitarne gli elementi di continuità. Condotta ora con larghezza di mezzi e con grande rigore scientifico, questa ricerca rappresenta un contributo di indubbio valore, anche per l'ampio respiro e ilconsiderevole spessore delle analisi e per l'esauriente trattazione dei problemi affrontati e delle soluzioni proposte. Superando pertanto la cronica tendenza - propria della maggior parte dei contributi scientifici americani- al privilegiamento del livello dell'informazione rispetto a quello dell'analisi teoretica, questo saggio di Kellner si propone come un testo indispensabile a chiunque voglia conoscere Marcuse. Glauco Casarico Silvana Colonna L'orientamento lontano Genova, Lunarionuovo, 1984 pp. 64, lire 7.000 Quest'opera prima di Silvana Colonna sembra destinata a portarci lontano, come accenna il titolo. Lontano dal rumore di fondo della Babele dei linguaggi in cui viviamo immersi, per mettersi invece in una posizione di ascolto così sottile e sofisticata da poter cogliere il linguaggio delle assenze, del vuoto e del silenzio. Al di là dell'ossimoro, si tratta di impalpabili. realtà, di «voci attentissime o volutamente fioche, suoni del sogno o della paura, movimenti accennati di vita o gemiti», come scrive Maurizio Cucchi nella presentaz10ne. «Quella che canta / e divide meticolosamente con le dita / però non è morta: è uscita dalla porta leggera a sinistra», dice una poesia di Silvana Colonna. Ora, «quella che canta» pare quasi un'ombra da inferno dantesco, prigioniera del gelo dalla cintola in giù, «ma il cervello crea immagini e le disfa», tenta di servirsi della poesia per liberarsi dall'orribile cerchio. A sostenere l'immagine di una condizione prigioniera ecco un verso: «qui l'aria arriva da fessure da bisturi e suture», bellissimo e tagliente come i suoi rinvii metaforite ma senza mai recedere cerca di liberarsi, e non vuole venire a patti con quello «che s'era preparato già da prima». Ora, la minuscola creatura «che canta», con la voce che Silvana Colonna le ha dato, per interstizi e invisibili crepe del grande ordito raggiunge un possibile, complice lettore. Ottenere la complicità di un lettore per un poeta è già un risultato notevole, raro in un'opera prima. Antonio Porta Le passage à la singularité Parigi, 25-26 ottobre 1984 Nei giorni 25 e 26 ottobre dell'autunno scorso, si è svolto a Parigi, presso l'Istituto Italiano di Cultura, il convegno «Le passage à la delle attività dell'Ecole des Hal;}tes Etudes en Sciences Sociales. Che cos'è la singolarità?· Unarisposta univoca sarebbe ovviamente contraddittoria, ma possiamo indicarla, in negativo, come quell'oggetto che si era perso di vista nelle scienze umane sotto l'influenza metodica del metodo strutturalista e delle ricerche storiche dedicate ai lunghi periodi. Indagare (e costituire) strutture vaste e profonde, e tempi storici molto estesi, si è in molti casi trasformato in una scarsa attenzione per il singolare, per tasselli anche minimi, ma non necessariamente empirici, che costituiscono la trama delle strutture e il continuum delle periodizzazioni storiche. È così che sociologi, semiologi, filologi, storici e filosofi indagato la funzione della singola- • rità nella storiografia antica - per esempio, il costituirsi della figura dell'eroe come caso singolo esemplare. Quest'ultimo processo è stato sottoposto anche ad altri tipi di analisi, in campi e discipline diverse: l'immagine e il suo divenire ritratto e autoritratto (Arrasse, Bonne e altri); il passaggio della natura morta dal genere alla singolarità riconoscibile (Calabrese); quello dalla fotografia alla istantanea (Imbert); l'hic et nunc in campo musicale (Brandt); sino alla trasformazione del generico nel 'tipico'. Gli stessi linguisti - spesso cultori della generalità e della ricorsività strutturale - si sono concentrati su fenomeni in via di principio legati alla singolarità, come il no- ______________ __..__ _____________ ___._______________ --1 me proprio o gli hapax collettivi, Arei/media (Coquet, Fabbri e altri). Fondo P.P. Pasolini Con il patrocinio di Ministero dello Spettacolo Ministero degli Esteri Ministero dei Beni Culturali Ministero della Cultura di Francia presentano • • • <<... con le armi dellapoesia... >> Parigi 1 ottobre1984 - 6 gennaio 1985 PEUGEOT TALBOT ITALIA ci, e una poesia, esemplare, che così disegna la figura del sogno: «io credo vada avanti tutto il pomeriggio I e a un certo punto ti butti per lungo in mezzo al terrazzo / e gridi adagio regolarmente/ spingendo in fuori i miei calcagni nel vuoto I insomma come rigato di sangue/ con possibilità di sopravvivenza minima», dove si impone la forza di quei «calcagni» spinti fuori nel vuoto dalla violenza dell'altro, del reale. Non viene pronunciata mai la parola destino e giustamente, sarebbe come non dire nulla. Vi sono invece, in alcuni passaggi, ben delineate le figure della ripetizione e della noia di quanto di precostituito ci sovrasta. Da questi vincoli il linguaggio della poesia timidamenSponsor culturale singularité: histoire et estétique», organizzato da J.C. Coquet, P. Fabbri e J. Peti tot nel quadro dell'insegnamento di A.J. Greimas e si sono incontrati per avviare una sorta di processo di riabilitazione della singolarità. Il caso singolo, l'evento particolare, si possono ovviamente intendere in molti modi e con vari metodi: Miche! De Certeau, con un'analisi della storiografia cinquecentesca, e Pietro Montani, che muoveva dalla Critica del giudizio di Kant, hanno sottolineato nelle loro relazioni come il caso singolo sia in grado di porsi come premessa di una teoria generale; Alessandro Dal Lago e Pier Paolo Giglioli hanno invece discusso intorno alla legittimazione, piuttosto recente, della singolarità in campo sociologico (microsociologia, etnometodologia); antichisti come Loreau, Durand, Pellizzer, Calarne, hanno Le corps inflammable Paris, P.O.L., 1984 pp. 254, ff 78 M.F. La 'rentrée' letteraria parigina è stata contraddistinta dall'uscita quasi simultanea di due libri molto attesi. Uno, L'amant di Marguerite Duras (Minuit) bello come si poteva sperare, l'altro Le diable en tete di Henry Bernard Levy (Grasset) deludente come si temeva. Ma la rentrée di quest'autunno segna anche la comparsa di alcuni giovani autori particolarmente interessanti, quasi stesse per finire il lungo sonno del romanzo francese. Tra questi, Patrick Lapeyre ha subito attirato l'attenzione della stampa specializzata con il suo primo romanzo, Le corps inflammable. La sua storia, perché ci deve sempre essere una storia, ha un che di impossibile, di irraccontabile. P., giovane attore ingaggiato per recitare il ruolo di Perceval in un film di spionaggio, scopre nel nome che gli hanno assegnato il marchio illeggibile del suo destino. Il film non verrà terminato, P. diventerà l'impiegato molto ordinario di una banca francese a Londra. Ma non si sfugge facilmente al nome di Perceval e quello che poteva essere l'inizio di una carriera tranquilla all'estero si trasforma presto in un inseguimento allucinante. Riassumendo così la storia si manca evidentemente l'essenziale, non tanto il suo significato quanto ciò che la rende insensata: tutte le intensità subdole che la perturbano, la rompono, l'accelerano, al punto d'aver l'impressione di assistere alle sequenze di un viaggio mentale in acido, mentre la scrittura resta sempre molto pura, lo stile sobrio, fluido. Colpisce anche l'uso di corsivi, di maiuscole inattese, di espressioni astratte che passano come frecce lungo il racconto, come se una strana luciditàvisionaria scavasse ogni emozione per farle rendere il suo frammento di pensiero. Ed è proprio l'emozione la questione di questo libro ambizioso. Lo si direbbe il récit della lotta tra le emozioni che ci distruggono perché troppo personali, e le sensazioni che invece ci miracolano, la nostra parte impersonale, questo respiro celeste che non ci fa perdere la forza di perseverare. Patrick Lapeyre è visibilmente un maniaco della sensazione vera (non nasconde d'altronde il suo debito verso Peter Handke e Wim Wenders). Ma la sua attenzione anomala, tutta tesa a fissare istanti di realtà, avvenimenti minimi, ha cancellato ogni tipo di risonanza e di memoria identificatoria. Anche l'uso metaforico, ormai asignificante, senza referenza, serve soltanto da ritmo melodico, da indice perché nella frase possa apparire, strana promessa, una specie di luce cruda. «Reste l'idée (le pollen sur une autoroute déserte).» Giorgio Passerone
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