e ome spiegare, a chi non ha esperienza diretta, la sottile problematica dell'attribuzionismo (oggi in declino come ricerca accademica), e la dialettica ormai decennale fra conoscitore che si serve dell'analisi formale, ed erudito che si appoggia esclusivamente sui documenti? I commenti che ho letto ed ho sentito (con poche eccezioni dovute a grandi conoscitori o storici} circa le sculture attribuite a Modigliani sono totalmente scoraggianti, e un intervento come questo avrà pochissimo consenso. Va detto, anzitutto, che specialmente nella storia dell'arte tutte le conoscenze che abbiamo sono ipotetiche e provvisorie. Infatti già l'interpretazione d'una data, scritta in calce a una tavola o esibita in caratteri monumentali su una facciata, richiede la scelta fra un gruppo di alternative, quali: a) la data si riferisce al compimento dell'opera, b) al suo inizio, c) alla sua commissione, d) è unicamente commemorativa di un evento cui in qualche modo l'opera stessa è associata, e) o peggio ripete la data d'un dipinto o d'un edificio anteriore, imitato o copiato. La firma di un artista può poi tanto indicare l'autografia del dipinto, quanto essere l'avallo per un prodotto di bottega. Non è il caso di dare esempi per le situazioni su esposte, basterà ricordare che il punto e) tocca importanti dipinti medievali toscani e senesi, determinando perduranti discussioni sulla priorità di alcune scuole locali, che il punto d) è rappresentato, in primis, dalla 'data' del Tempio Malatestiano di Rimini, che la firma come avallo ad opere di aiuti è un espediente frequentemente usato da Giovanni Bellini. Che fare in questi casi? Quan~o è possibile si ricorre ad altri documenti, che però sono anch'essi ambigui. Decenni passarono, in molti casi, fra un lascito testamentario e il compimento degli affreschi cui esso era destinato; gli inventari successivi non registrano se nel frattempo un originale venne sostituito da una copia (quelli della famiglia Pio, che purtroppo non ho ancora pubblicato, indicano che il S. Giovannino Battista attribuito a Caravaggio, della Capitolina, venduto nel Settecento, rimase sempre appeso alle pareti in quanto sostituito da una copia}. Quello che giudica, dunque, scegliendo entro i depositi di un museo, sulla facciata d'una cattedrale adorna di sculture, nelle aste antiquarie, è l'occhio del conoscitore. Cioè l'abitudine a certe strutture formali, la sensibilità a qualità materiche, se si vuole inconsciamente annusate, acquisite mediante una lunga e attenta frequentazione di altre opere analoghe. È un mestiere rispettabilissimo, come dimostrano sia i risultati positivi sia gli errori compiuti (se in buona fede). Servendosi solo dell'occhio (addestrato storica- ....., mente) si possono catalogare, con .s approssimazioni singolarmente ~ precise, spesso entro un quinquenc:i... nio, e con individuazioni topogra- ~ fiche a livello non solo di regione, ~ ma di città e talvolta, come per la -~ ceramica, di quartiere, migliaia di s::: ~ manufatti, con la rapidità d'un co computer. ~ L'attribuzionismo ha però dei li- ~ miti, resi espliciti dalle discussioni, ~ ad esempio, su Giorgione e scuo- l la. Anzitutto, c'è la tendenza ad ~ espandere o a limitare le oscillaUnfortiri•sos EugenUJBattisti p o zioni d'una personalità artistica (come d'altronde accade negli esami della calligrafia). Nel secondo caso Picasso, ma anche Michelangelo e Tiziano, se non fossimo soccorsi da documenti, risulterebbero , ridotti ad un· terzo, o meno, di quello che oggi conosciamo. E, in genere, è più facile errare nell'attribuzione d'un grande maestro, che ha possibilità di svolte e di autocritiche impreviste, che in quella d'un secondario pittore. Il mercato antiquario, ovviamente, favorisce anzi spesso'richiede una espansione attributiva, e poiché il compenso d'una expertise è connesso percentualmente al valore dell'opera giudicata, la tentazione (magari dopo una perdita al gioco, è il caso ben noto di un celebre storico) di dir sì, invece che no o nì, è forte. Il conoscitore, inoltre, con la sua esperienza storica e filologica, può aiutare un falsario (ciò che sembra essere avvenuto nel caso di un dipinto, alla National Gallery, attribuito a Giorgione) facendogli compiere abili e corrette integrazioni. Siamo però a un livello delinquenziale. Nel caso delle teste di Modigliani, a Livorno, l'errore è stato favorito da due diversi elementi. Il primo è la presunzione che l'origine del ritrovamento garantisse l'autenticità del manufatto. Il secondo è la mancanza d'una conoscenza adeguata delle sculture di Modigliani, eseguite in un periodo sicuramente di ricerca, di mutamento stilistico e di influenze esterne. Di per sé queste due condizioni, rischiose, non portano a una catastrofe: c'è anzi il caso parallelo e ben noto (anche se non citato dalla stampa) del ritrovamento d'un frammento, autentico e tecnicamente comprovabile come tale, della Pietà Rondanini di Michelangelo negli scavi dell'area dove esisteva il suo studio a Roma; avvenimento che se fosse stato connesso a un oggetto posto nel mercato antiquario avrebbe creato infiniti sospetti, e che invece è autentico. Vor;ei aggiungere, però, un forte sospetto nei riguardi degli artefici delle burle di Livorno. La vicenda, pubblicamente, si è svolta come sappiamo. Ma potrebbe avere avuto un altro esito. Il ritrovamento, ad esempio, di due teste nel fosso, e l'accettazione di esse da patte di un gruppo, cospicuo e onesto, di storici, sulla base della loro provenienza e d'una reciproca affinità (dovuta come ora sappiamo ad abile falsificazione di stile}, potrebbe essere stato pianificato da un buon conoscitore del mercato antiquario per avallare, a causa di simili stilemi, l'autografia d'una terza testa da 'ritrovare' più tardi, il cui valore sarebbe stato enorme. Forse solo il convergere di due burle parallele ha distrutto questo intrigo, che da strane testimonianze scritte e orali (come que!Ja presentata alla televisione da F. Zeri) mi sembra niente affatto ipotetico. Il raggiro, in tal caso, sarebbe stato pianificato con molta abilità, e distrutto (per caso?) da una burla studentesca. P er concludere, l'occhio dà, in genere, un giudizio esatto, ma solo se i dati fornitigli sono genuini e non ci sono suggestioni ingannevoli. Per questo si usano radiografie, riflettografie e ora lastre impressionate da graduali tempi di irradiazione degli strati pittorici, che riesumano giorno per giorno, a volte ora per ora, il processo di costruzione d'una immagine. Nel caso delle teste incriminate l'inganno non è venuto tanto dallo stile (che Argan giustamente ha definito embrionale, a livello di schizzo): esso avrebbe dovuto rappresentare un momento iniziale di ricerca di un artista ancora incerto; l'inganno è venuto dai tecnici che dovevano fornire i documenti di autenticità, cioè una precisa stratigrafia degli scavi nei canali - un archeologo sarebbe inorridito di fronte al procedimento seguito-, una scrupolosa analisi chimica delle superfici delle pietre stesse, una serie di esami, basati su microfotografie, delle tecniche esecutive risalendo agli strumenti usati. Peraltro uno sbaglio attributivo, se non ha conseguenze venali e speculative, è cosa da poco; passato il primo entusiasmo lo si corregge facilmente. La 'falsificazione' dei dati di provenienza d'un manufatto, dovuta a così profonda approssimazione e ignoranza, lascia invece atterriti, pensando che è a questi istituti o personaggi che si affida, anche, la conservazione del nostro patrimonio artistico, cioè •la scelta fra ciò che si deve conservare, e ciò che si lascia demolire. Non intendo soffermarmi, invece, sulla campagna generale, che ha trovato un suo centro di diffusione nel giornale La Repubblica, di diffamazione contro l'arte contemporanea, che sarebbe tanto facilmente falsificabile da essere, per tautologia, un falso essa stessa. Sono idiozie che nascono da malafede e ignoranza e che approfittano dell'ondata attuale di conservatorismo per riesumare forme triviali di accademismo, anni fa sostenute dal realismo socialista. Chi non ha mai visto un Mondrian può ritenere che si tratti di sole righe orizzontali e verticali messe a caso; intanto il fondo grigio o bianco non è mai eguale; i cosiddetti colori primari cambiano di qualità passando da un dipinto all'altro (invito a esaminarli nelle sale del museo di Amsterdam); le radiografie e spesso già l'occhio umano scorgono innumeri pentimenti e in alcuni casi, addirittura, restano nei dipinti incompiuti le tracce d'una sperimentazione preliminare fatta anche con strisce di plastica adesiva, per stabilire un corretto proporzionamen to. Certo, copiare Mondrian sembra facile se lo si conosce solo attraverso cattive riproduzioni a colori. Un altro aspetto non trascurabile, e sottaciuto, è che spesso un artista contemporaneo, come è il caso del diffamatissimo Fontana, si serve di una sequenza di tele, e non d'un dipinto unico, come forma di espressione e comunicazione; un falso difficilmente può inserirsi in modo omogeneo, o dialettico, in queste serie. Mentre poi si discute clamorosamente di falsi contemporanei (vedi i Modigliani) che sono rapidamente individuati, poco si discute dei falsi antichi, o peggio ancora dei semifalsi, cioè delle opere malrestaurate o quasi completamente rifatte. Ho visto un restauratore dipingere con una rapidità incredibile un perfetto paesaggio veneto settecentesco già con le tracce dell'invecchiamento man mano che il colore si fermava sulla tela. Un'ultima parola di commento. I falsi invecchiano assai male. Dopo due o tre generazioni risultano evidentissimi. Sono infatti, anch'essi, interpretazioni storiche e come tali legati a un'epoca. Il Donatello dei critici ottocenteschi non è il nostro e così presunti capolavori del Quattrocento vengono, automaticamente, trasferiti nell'altra sezione di museo, ad essi riservata, quella dell'Ottocento; e non più come falsi o copie, ma come libere imitazioni. Abbiamo chiesto ad alcuni teorici de~'arte di discutere da più punti di vista questioni varie: i criteri del- /' attribuzione secondo lo stile, l'accertamento dei materiali con nuove tecnologie, il falso nella storia e nelfepoca attuale della riproducibilità tecnica più avanzata, i tipi di speculazione del mercato, ecc. Nel numero 67 scorso abbiamo pubblicato R. Bossaglia, F. Menna, A. Boatto.
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