Alfabeta - anno VII - n. 68 - gennaio 1985

Paul Celan Luce coatta trad. di G. Bevilacqua Milano, Mondadori, 1983 pp. 231, lire 20.000 Poesie trad. di M. Kahn e M. Bagnasco Milano, Mondadori, 1976 pp. 239, lire 6.000 L. Samonà «La poesia come 'Atemwende' e 'Il Meridiano' di Paul Celan» in Quadernidi f"dosof1& n. 1, 1978 (Università di ·Palermo) I. Cappelli Porena «La testa della medusa e l'obolo della lingua>> in Studitedeschi n. 1-2, 1982 U na proposta di lettura della liricadi Paul Celan potrebbe senz'altro svilupparsi a partire dalla rilevazione di come il problema che la muòve sia dato.da una concezione della scrittura quale lavoro della rimozione. E in effetti è possibilecoglierenell'operapoetica di Celan il tentativo complesso e fittamente articolato di portare ad espressione tale lavoro e ciò non al fine di risolvere simbolicamente la. conflittualità che in esso con-viene, bensì per percepirne appieno lo spessore di significati e di mosse di vita che lo caratterizza. Si tratta di una vera e propria attitudine sperimentale che si pone a confronto con la scrittura, che tenta di saggiarne la pluridimensionalità, che penetra nel suo spazio aperto e ne percorre i meandri. Il pericolo avvertito da Celan in questo suo dinamismo conoscitivo che si spinge in una sorta di terra dell'incognito è estremamente grave: se la scrittura fosse soltanto rimozione essa non potrebbe che essere documento dell'impossibilità di offrire testimonianze verè, esperienze di verità, e da ciò non potrebbe derivare che silenzio, ammutolimento. Ma di fatto nella parola non occorre unicamente il rimuovere: oltre ad esso c'è l'intero divenire, il muovere delle cose e dei pensieri, che può porsi ·come oggetto di scrittura. Qui può e~ere utile, in questa approssimazione al 'paesaggio testuale' celaniano, il richiamo di G.· Deleuze all'estrema semplicità dello scrivere: i suoi modi possono infatti essere sia quello della riterritorializzazione, della conformazione a determinati codici di enunciati dominanti, sia quello del divenire altro - attraverso la scrittura si diviene e insieme si diventa anche qualcosa di diverso dalla scrittura, in un concatenarsi di metamorfosi. • In questa prospettiva, ci può essere, oltre al lavoro della rimozione, un'altra forma di agitazione che proprio nella scrittura può liberare ciò che non si lascia tranquillamente e compiutamente fissare nella parola: la poesia, per Celan. In quest'ultimo una tale attitudine sperimentale è sicuramente filtrata dalla profonda conoscenza, tra le altre esperienze poetiche, delle opere di Rilke e Trakl, ma indubbiamente l'orizzonte di sensibilità della sua ricerca è segnato in maniera decisiva dalle 'lacrime', dalle 'macerie' e dalla 'cenere' che come in Todesfuge (una delle poesie più note di Celan, che lo stesso poeta decise di non continuare a leggere in pubblico per rispettarne l'ombra che ne accompagna le parole) testimoniano dell'avvenuta catastrofe, dell'orrore innominabile, della morte che come 'maestro tedesco' regalò 'tombe nell'aria' anche ai suoi genitori ebrei. Se è vero che affrontare un fenomeno poetico nelle sue molteplici valenze significasoprattutto tentare di guadagnare alcuni degli innumerevoli substrati molecolari che su piani diversi e in forme varie ne delineano la fisionomia, allora il PaulCelan condurre a ciò che si rifiuta alla parola; solo dove si schiude questa sfera del muto nel suo potere indicibilmente puro, può scoccare la scintilla magica fra la parola e l'azione movente, dove sta l'unità di questi due momenti ugualmente reali. Solo la direzione intensiva delle parole dentro il nucleo del più profondo ammutolire raggiunge la vera efficacia» (Lettere 1913-1940, Torino, Einaudi, 1978, p. 24). respiro critico non può essere che quello di un passo imprevedibile, che congiunge percorsi tra loro anche estremamente lontani, impegnato in una lettura insistente e con ciò in divenire dei testi celaniani: un passo critico che s'inoltra per le . vie irregolari e spesso irriconoscibili di una città linguistica sconvolta da continui crolli ed esplosioni. A tale proposito si può ricordare ciò che L. Wittgenstein dice del lin.: guaggio - «Il nostro linguaggio può essere considerato come una vec- .. chia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, edi case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari, e case uniformi» (Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1974, par. 18)-perimmaginare a quale stravolta forma di vita possa rinviare l'architettura disastrata dell'opera di Celan, mossa da una disperata volontà di dire e dalla profonda e tormentata consapevolezza del rischio implicito in tale volere. La lirica celaniana esprime appunto l'esperienza dello sviamento provocato da un perturbamento inaudito: il velamento della parola che essa esibisce nel suo dire, l'oscurità che l'avvolge, sono l'effetto di un tentativo di combinare insieme i frammenti di significato (che schizzano via come centrifugati dalla pagina segnata dalla 'traccia inconfondibile' della violenza) con la 'casa-prigione' di un lingùaggio che pretende di fissare l'esperienza dividendo 'il sì dal no', che non dà • 'ombra sufficienté', è quindi veri- ·tà, •alle 'migranti parole'. e ome·ha recentemente sottolineato I.' Cappelli Porena, vive in Celan la piena e dolorosa coscienza che tutta la sua 'poesia' (Dichtung), intesa come cammino verso l'aldilà della parola, si regge inevitabilmente ancora sulla 'tecnica' (Kunst) della parola stessa concepita come radicale proces- .so di astrazione dalla pluralità inesauribile della vita; la tensione a comunicare, a rivolgersi ad un Tu, non può evitare di passare per la miseria delle convenzioni, delle misure di scambio, dei luoghi comuni - in questo senso, comunicare l'orrore di un evento intollerabile può significare apportare altre ferite, altre violenze, a corpi già violati ed offesi; ma l'unica via, nonostante tutto ciò, è sempre quella della parola, anzi della controparola, dello scardinamento dell'uso abituale dèi termini come di un porre fine (e fini) ai ritmi di un colloquio. Ed è così che proprio la lingua 'morta' dell'inorganico può essere assunta in questo tracciato di pensiero come ciò che rende possib,ilelo svolgersi di un dialogo, il risveglio di una comunicazione. Già T.W. Adorno ha splendidamente osservato sul linguaggio delle poesie di Celan che «esse imitano una lingua al di sotto di quella impotente degli uomini, anzi di ogni lingua organica, imitano la morta lingua della pietra e della stella. Vengono accantonati gli ultimi rudimenti dell'organico; conquista tutti i suoi diritti ciò che Benjamin notò in Baudelaire quando disse che la sua lirica è senza aura. L'infinita discrezione con cui procede il radicalismo di Celan UbaldoFadini è un accrescitivodella sua forza. La lingua di ciò che è privo di vita diventa ultima consolazione sulla morte che ha perduto ogni senso. Non soltanto si può seguire il passaggio all'organico attenendosi ai temi; nelle creazioni chiuse si può ricostruire la via che va dall'orrore all'ammutolire. Con lontana analogia al procedimento seguito da · Kafka nei confronti della pittura espressionistica, Celan traspone in procedimenti linguistici la disoggettualizzazione del paesaggio, che avvicina questo all'anorganico» - (Teoria.estetica, Torino, Einaudi, 1977, p. 538).. Ma di questa lettura adorniana vale anche sottolineare il richiamo a W. Benjamin, soprattutto per quanto concerne l'indubbia affinità tra la 'metafisica del nome' del filosofo tedesco (in cui il verbo creatore di Dio residua una lingua muta e senza nome che attraversa il naturale, destinato ad essere raccolto nei segni conoscitivi dell'uomo) e la riflessione celaniana sul linguaggio. E del resto altri interpreti sottili della poetica di Celan annihilente del reale (ché è sempre insieme surreale). Certo, vivere nella parola che è anche tecnica, vale a dire artificio che rappresenta oggettivamente un processo d'im- .poverimento dell'esperie.nza, per tentare la via dell'espressione e della comunicazione (la 'poesia') è una condizione di tormento e. di strazio. Ma è proprio a questo pun- . to che si deve fare particolare attenzione: il cammino verso il Tu, verso l'affermazione piena della vita (là dove si ha il tempo in cui il sasso si adatta a fiorire e i cuori finalmente possono battere: dove infine è «tempo che sia tempo»), comporta che il poeta si debba volgere «contro la parola, contro il suo uso abituale, contro la sua 'Kreaturlichkeit'» per restituirle paradossalmente, «con quest'opera di 'fissazione', di pietrificazione» (Cappelli Porena), la vita. D al complessoteoricoraffigurato da queste enunciazioni benjaminiane interessa particolarmente cogliere che è proprio l'azione attraverso la parola che • permette di raggiungere l'indicibile, ciò che si rifiuta alla parola: questa «purissima eliminazione dell'indicibile» è la forma stessa «per agire all'interno» di quel linguaggio che è insieme «comunicazione del comunicabile e simbolo del non-comunicabile»; il silenzio è quindiper_cosldire già da sempre dentro la parola ed è questa rilevazione che produce prima smarrimento per il poeta Celan e poi la presa di possesso.della sua vita da parte della notte (che lo riduce come se avesse addosso soltanto la «sua prima pelle» macchiata di «voglie» e di «segreti»): Siamo evidentemente vicini (ma insieme anche lontani) da quella tradizione mistica ebraica che considera la parola umana come una risposta al silenzio di Dio e che vive E eco quindi che il tono 'cupo' la 'tragica libertà' di creare la parodel procedere celaniano, che la nel vuoto provocato dall'abbansi distende e si rischiara «alla dono divino come un incessante luce dell'utopia» (im Lichte der pericolo di fallimento totale (delUtopie), deriva dal fatto che non l'uomo e dunque anche di Dio: il c'è altra alternativa alla parola che riferimento è qui all'esilio dellapavela che l'ulteriore velamento della rola di A. Neher, alla sua lettura parola stessa che cela, vale a dire della libertà umana come drammaun'operazione di pietrificazione li- tica espressione del silenziodi Dio, beratoria di ciò che si ritiene sem- di quel silenzio che ha trovato una pre e comunque direttamente e conferma estrema nell' 'avve11i~;; } perfettamente comunicabile e che mento-limite' di Auschwitz). - '" :. come la stessa Cappelli, Porena e G. Schiavoni, e in Germania soprattutto W. Menninghaus, hanno giustamente rilevato come una delle proposizioni-chiave della particolare filosofia benjaminiana del linguaggio - «La lingua non è mai soltanto comunicazione del comunicabile, ma anche simbolo del non-comunicabile» (W. Benjamin, Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini, in Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1962, p. 67) - sia effettivamente 'presente' in tensione nel testo complessivo del poeta di Czernowitz, là dove si afferma «che dice verità chi dice ombra»; in questa prospettiva, che si potrebbe definire come un'ottica del conturbamento, ci si esprime quindi così: «Parla - / Ma non dividere il sì dal no. / Dà alla tua sentenza anche il senso: / dalle l'ombra», in termini tali cioè che sono di per sé indicativi del carattere intimamente trasgressivo dell'operare celaniano, in cui si realizza il dissolvimento dei tradizionali ordini architettonici che regolano la costruzione testuale nei modi intimamente 'paranoici' (per dirla con Canetti) del sempreuguale e della riduzione dello scorrere ininterrotto dei segni e dei sogni ad un unico senso, ad una sola maschera che pretende di rappresentare un qualche radicamento dell'essere umano e un presunto ordinamento generale del mondo. Celan si serve, in breve, delle parole non per nominare un senso predeterminato, bensì per eluderlo, per evitarne, come in Kafka, la stabilizzazione definitiva e la presa } . nella sua 'borghese'-convenzionali- Ma questo silenzio è per Ceiàn tà mortifica irreparabilmente Patto costitutivo :della.stessa parola, nel • stesso della comunicazione (e si ri- suo aspetto di non-segno, sovradecordi: se oggi venisse un uomo al . terminato; di questa parola ci si demando, con la barba di· luce dei • ve servire per comunicare·, per inpatriarchi, dovrebbe soltanto bai- c6ntrare,· e la poesia vuole raccobettµre se volesse parlare di questo gliere l'esperienza di vita ton contempo). tròparole che conducono appunto È con.questa·consapevolezza di . all'incontro con un Tu: ma, ànco-• essersi incamminato per la «via del- ra, «la poesia è sola. Sola e in caml'impossibile» - come si dichiara in mino. Chi la scrive rimane in dono Der Meridian (1960), il discorso di a.lei», cosìCelan in Der Meridian, 'ringraziamento' per la consegna e poi la poesia «è spesso un discordel 'Buchnerpreis', in cui si può rin- so disperato» e in effetti impossibitracciare l'enunciazione di una ve- le. Ma è forse proprio questa sua ra e propria poetica - che Celan impossibilità il segno autentico delaffema la prossimità al silenzio del- la sua stessa possibilità: il luogo la sua lirica, il fatto cioè che la poe- della poesia è l'impossibile. E allosia mostra (e non può non mostra- ra ci si può avvicinare agli ultimi re una 'forte tendenza all'ammu- testi del conturbamento poetico cetolimento'; ma la poesia si erge, laniano, aiutati dalle fini versioni come sottolinea Celan, anche «al di un interprete attento come G. margine di se stessa», in quanto è Bevilacqua, in cui si realizza «un costituita dalla sua stessa comples- inaudito processo di introversione sità e oscurità: la poesia non proce- del mondo» (Cappelli Porena) che de da «una buona natura e da una si spinge fino alla 'fuoriuscita' dal buona volontà» (Deleuze), ma de- proprio stesso 'io': «il mondo da riva da una violenza subita dalla riprodurre balbettando» si rivela parola (e dalla sua 'carnalità'). infine per questo 'io' come del tutQui si deve ancora rinviare alla to illeggibile. «Illeggibilità di queformulazione 'estrema' dell'opera- sto / mondo. Tutto doppio. / Gli tività dell'«eliminazione dell'indi- orologi poderosi / danno ragione cibile» sviluppata da Benjamin, la all'ora eccedente, / rauchi. / Incacui opera era del resto familiare a strato nel più profondo di te / tu Celan, e che permette di avviarsi smonti da te stesso I per sempre.» verso la comprensione di quella Ma forse si smonta da se stessi perdialettica dicibile/indicibile all'in- ché «è tutto diverso» (es ist al/es temo stesso della parola che carat- anders) da ciò che comunemente si terizza in maniera stupefacente la pensa, forse ci sono ancora vie che lirica celaniana; dell'argomentare conducono là dove «il nome Ossip benjaminiano va soprattutto tenu- ti viene incontro, tu gli racconti / ~ to presente, in questa prospettiva, quel che già sa, lo prende, te lo .s ciò che si esprime con radicalità in prende, con mani,/ tu gli stacchi il ~ una lettera a M. Buber del 1918: braccio dalla spalla, il destro, il si- ~ «... vedo continuamente che la nistro, / attacchi i tuoi al posto loro, ~ purissima eliminazione dell'indici- con mani, con dita, con linee, / - -. ,9 bile mi pare coincidere esattamen- quanto divelto, si salda di nuovo-/ c::s ~ te con lo stile veramente obiettivo, eccoli, prendili, eccoli entrambi, / ~ sobrio e spoglio, e delineare la re- il nome, il nome, la mano, la mano, ~ !azione tra conoscenza ed azione I ecco, prenditeli in pegno, / lui ~ appunto all'interno della magia !in- prende anche questo, e tu hai / di ~ guistica. Il mio concetto di stile e nuovo ciò che è tuo, ciò che era ~ modo di scrivere obiettivo e insie- suo». Ma bisogna smontare da se l me altamente politico è questo: stessi. ~

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