Alfabeta - anno VII - n. 68 - gennaio 1985

e ome ha reagito la 'èultura' italiana all'attribuzione del Nobel 1984per la letteratura a Jaroslav Seifert? In modo confuso, disinformato, e anche politicamente scorretto. Con le dovute eccezioni, gli errori sono stati due: questo Nobel vale poco perché Seifert è uno sconosciuto; questo Nobel vale moltissimo perché Seifert è un grande dissidente. False, per tagliar corto, ambedue le cose. Non è davvero mia intenzione sostenere che i 18 signori di Stoccolma abbiano ignorato motivi politici per l'attribuzione. Quanto alla motivazione ufficiale, essa dice che la poesia di Seifert «con la sua sensualità ardente e la grande ricchezza inventiva offre un'immagine liberatoria dello spirito indomito e della versatilità dell'uomo». Il mio privato pensiero è che tale motivazione potrebbe applicarsi ugualmente a un grande cuoco, il che dico con pari rispetto per i Seifert e per i grandi cuochi. Mi permetto di ripetere che forse, se non si può abolirlo, il Nobel per la letteratura andrebbe assegnato ogni anno a tre scrittori diversi. Dietro l'idea del Nobel sta un concetto di primato o record che risale a ben sorpassate, anche nelle scienze dette esatte, forme di pensiero scientifico ottocentesco. Sarebbe forse umoristico osservare come, essendo stato Alfred Bernhard Nobel l'inventore della dinamite e di altri esplosivi, lo statuto del Premio dovrebbe prima definire il valore e il senso di tale sostanza chimica e di lì proseguire, prevedendo ad esempio swiftianamente un premio, fra gli altri, per l'inventore della migliore arma dell'anno. In un'intervista, Seifert dice di apprezzare lo statuto del Nobel perché «non tiene conto della nazionalità e dell'orientamento ideologico» del premiato; e che intende l'attribuzione a lui anche come il «riconoscimento della straordinaria tradizione poetica ceca di questo secolo». Forse. i poeti rispondono alle malizie altrui con l'ingenuità e con la verità. Seifert è un poeta vero e / orse ciò sarà presto dimostrato anche in Italia. (Il forse dipende dal traduttore e dagli editori.) Se il 'Regime' ha reagito con un PretestoNobel sostanziale dissenso, il 'Dissenso' ha reagito con un eccezionale e ambiguo consenso, esaltando il ruolo politico che avrebbe avuto· (e avrebbe ancora) Seifert. Ebbene, occorre rifiutare tale bivio e cappio, ricordando che questo poeta ha firmato soprattutto le proprie poesie e che ha firmato alcuni documenti politici come poeta al di sopra della mischia. La dimostrazione sta in ciò che intende fare col danaro del Premio: una cosa semplice innocente e bella, che va diritta al nocciolo del problema e che qui non si può dire per non creargli ulteriori ostacoli. Non potendo qui dimostrare che Seifert è un poeta vero e scrivere un saggio su un poeta di cui non esiste volume, voglio accennare a qualche questione che sta a monte della cattiva conoscenza della cultura ceca in Italia. In primo luogo, occorre sapere che i migliori scrittori cechi sono sempre stati ignorati e perfino censurati in patria, ben prima del 'socialismo'. Jakub Deml docet (è un grandissimo prosatore degli anni Trenta), ma ciò vale anche per il noto Jaroslav Hasek. E l'inizio di tale misconoscimento può risalire a Macha (morto nel 1836). Voglio dire che non occorre regime o dissenso alcuno per porsi la questione. In particolare, non occorre davvero parlare di russificazione, perfino linguistica, secondo il parere di alcuni intellettuali in patria e fuori. La russificazione è semplicemente impossibile. Quel paese è molto ortodosso in politica estera e troppo repressivo nella politica culturale interna. Ma che cosa scriveva durante una ben altra occupazione, quella nazistica, il pittore e scrittore Josef Capek (fratello del noto Karel)? «Che ci potrebbe essere, in questo infelice paese, di più brutale dell'oppressione tedesca? - Evidentemente, quella ceca! Sapete voi lì, dall'altra parte del sole, che noi qui dobbiamo vivere senza colpa una vita svergognata?» Noi italiani abbiamo poi un'opportuna locuzione sui papisti; e qualcuno disse «Chi ha orecchi per intendere, intenda». Boemia e Moravia, paesi di lin-. gua ceca, si trovano in Europa occidentale, e non sono paesi «dell'Est». Ciò è da intendersi sia geograficamente sia culturalmente. Si Sergio Corduas leggano Teige, Holan, Hasek, Kundera, Hrabal (tutti tradotti in italiano). Si scoprirebbe che la sola idea di una russificazione, o meglio sovietizzazione, di un Seifert o Holan (poesia), un Eban (musica), Jira (pittura), Hrabal (prosa) Canzone sulla guerra (1965, frammento) Strozzate la guerra, che le donne possano sorridere e non invecchiare così rapidamente come invecchiano le armi. La guerra però dice: Io sono! Sono dal principio, non v'è mai stato attimo in cui non fossi. Sono vecchia come la fame e come l'amore. Io non mi sono creata, ma il mondo è mio. E lo distruggerò. Ciarpame lunare (1978, frammento) esercitare il proprio dono teatrale, ma bisogna sapere che gli impedimenti vengono aggirati (alludo al samizdat), che l'attesa e il silenzio possono favorire - che non sembri cinico - una crescita (è il caso di Skacel, grandissimo poeta moraNeppure la luna, che oggi entra in punta di piedi nel quadrangolo della mia finestra, è la stessa. Nel momento in cui la toccò il piede d'un uomo, era già morta. Era morta alcuni minuti prima, appena sulla sua fredda nudità cominciarono a posarsi gli uomini con i loro macchinari. Ciò che oggi vediamo nel firmamento è ormai solo un satellite morto e le ganasce dei suoi crateri digrumano il nulla. Ruota ancora attorno alla nostra Terra, ma come senza senso, come alla creazione del mondo, compreso quel ciarpame di ferro che hanno lasciato lì ife lici Americani. (da: Jaroslav Seifert, 12 poesie. Appendice al n. 3 di In forma di parole, Ed. Elitropia, iffcorso di stampa) cade da sé, facendosi male e accompagnata da una risata. L'op-· pressione è cosa amarissima, ma nulla, se non il genocidio, può arrestare la poesia in un paese ove essa è letta da tutti. Bisogna protestare, e vigorosamente, se a Havel viene impedito brutalmente di vo), che non è giusto automaticamente attribuire valori a uno scrittore perché emigrato. (Perché gH Editori Riuniti hanno pubblicato qualche anno fa un inutile libro di uno scrittore emigrato, invece di uno dei tanti capolavori che attendono, dagli anni Venti in poi? Per amor di democrazia, cioè di dissenso automatico?) Chi sa perché, io trovo sempre sul comodino dei migliori scrittori cechi, anche impediti, i migliori scrittori russi. E poi: non è forse vero che la poesia e l'arte nascono in quel paese in stretta connessione con la gente e col costume di vita? Occorre allora domandarsi se il lettore è russificato. Il costume di vita del lettore medio è centroeuropeo, occidentale. E casomai, se un modello di vita va affermandosi, è quello americano (cosa che personalmente mi preoccupa): seconda casa, weekend in campagna, magliette con scritte inglesi. Ciò che fermenta a Praga è il problematico incontro-scontro fra «normalizzazione ceca» (e non russa, anche se dalla Russia voluta), modello americano (soprattutto nei giovani, che lo copiano dai tedeschi) e persistente vitalità del modello di vita praghese, ex absburgico. Questo è ciò che sostituisce l'antica e oggi impossibile cultura 'boema' (cecopraghese, tedesca di Praga, ebraica). Una sorta di schizofrenia, dovuta agli interventi, diversi tra loro, di Russia sovietica e America. Seifert non ignora affatto tali cose, ma le vede necessariamente col distacco di chi, come ha detto nell'intervista, intende scrivere un'ultima raccolta di versi e poi 'finire'. Del resto Seifert, a 83 anni, non ha chiuso la sua relazione d'amore con Praga e con la morte. Il settimo rondò per Mozart a Praga di Seifert (1951) ha dato al sottoscritto traduttore le seguenti rime: Praga - piaga - maga. Ciò comincia nell'Ottocento, come ho già detto, e Seifert può dirsi - lui, il cantore di Praga - il poeta antiPraga, proprio perché predica l'antica virtù consolatoria della poesia. Così, c'è un solo motivo di preoccupazione nelle forme di slang provenienti dall'America che si diffondono fra i giovani (a Seifert interessano molto i giovani): se un ragazzo in abbigliamento 'punk' va in discoteca, viene chiamato 'pankac' (punk-pank + suffisso animato maschile). Ma leggerà, questo pankaé, i poeti suoi che sono, compreso il Nobel, e soprattutto i poeti suoi che saranno? Io credo che dipenda anche da noi qui.

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