Alfabeta - anno VII - n. 68 - gennaio 1985

Mensile di informazione culturale Edizioni Cooperativa Intrapresa Via CaposiJe, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo IIl/70 • Printed in ltaly taslt Gennaio 1985 Numero 68 / Anno 7 Lire 4.000 SuEizensteins,u Godard, su Coppola ~- -,.1 Agenzie per la comunicazione pubblicitaria in Mi/ano e Modena Attr1buz1onee falso ~;!~!,~ • Provecl'artista Ba • - • L 1···<:tHW:Ki\t}@W&:F:••·•···1a1 • • H si .... "•s;;:"'\:,;•··•:❖•• sir 1 1, ug I e 1n1 .. . . , E. Battisti: Un forte sospetto * A. Lugli: Il collezionista * A. Gargani: Lo schenno cli sconimento:'-' : . C. Boschi: Il Giovedì. Intervista a K. Stockhausen * G. Bompiani: Lupa mannara •' -··;;.•.. Prove d'artista: N. Balestrini: Frankenstein e la ballerina* S. Corclu•: Pretesto Nobel* Da Parigi · ·<~~-~- M. Spinella: Leggende cli Delforno * L. Marinelli: La leNura per De Mauro* P. Càrella: L'onnivora Carter-'-.: ' . J. Snycler: I fratelli e il custode* Testo: V.V. lvanov: Il cromatismo cli Eizenitein (a cura cli T. Nicolescu) • U. Faclini: Paul Celan * R. G•parotti: Il motivo clell' origine * S. BoruNi: La virtù clei moclelli P. Vineis: Etica e scienza* M. Fell'tlris: La magia clei saggi* S. Vaccaro: L'ecologia sociale* M. Cometa: Patire..,..•:v.-,rità E. Mmcitelli: La decisione medica* Ch. Wolter: Bloc-notes cli giovane scrittore* Cfr. * M. Foucault: Uno stit.f.ti·vita • G. De Martino: Gay viandanti * •R. Prezzo: Carmen, l'alterità * C. Castellacci: Parola cli Coppole(:.:••• "·_·- C. Castellacci: Un festival lungo un giomo * D. Trombadori, O. Scab:one: Il problema dell'amnisti• ·='.:.._•.•-' . !_ Giomale dei Giornali: Bhopal * Indice clella comunicazione: Meni e opinioni * Immagini: Segni ri~ • '"". :.·. ~~..

le immagin·di iquestonumero Téluet, Ai't Benhaddu, Taurini... Da Marrakesh a Zagora e oltre, fino a Tamgrut, dove termina la strada e inizia il deserto sconfinante nell'Algeria e da dove le distanze si misurano a giornate di cammino a dorso di cammello. Ci si lascia alle spalle gli splendori delle città imperiali - Rabat, Meknès, Fès - e attraverso l'Alto Atlante e l'Anti Atlante ci si inoltra nella valle del Draa, fiume invisibile, ad aprile già nascosto, quasi cancellato dalla siccità; ma la sua presenza è sotterranea, la si intuisce dalla corrente di palmizi, dalle continue oasi. Così come le popolazioni che abitano queste segrete terre marocchine, i berberi. Terre secche, come le loro montagne, come la pietra dei loro ighrem (gli edifici-fortezza), secche fino ad essere screpolate, come le labbra delle loro donne che con fierezza - a differenza delle donne arabe - mostrano il volto. La memoria tatuata di questi volti, le cicatrici di sole di queste tighrement-fortezze ci spingono oltre, alla ricerca del linguaggio perduto. Tatuaggi sui volti, ricami sui vestiti della gente e sulle bardature dei muli, e soprattutto i segni misteriosi di questa architettura essenziale dalle origini sconosciute. A ben guardare sono segni ricorrenti, persistenti: e se fosse l'affermazione inconscia d'un linguaggio ancestrale, perduto ma riaffiorante autonomamente? A Téluet, 1800 metri d'altezza, una ragazzina della grande famiglia di Masmuda mi introduce nella kasba attraverso la porta principale di Dar Glaui. È l'antica residenza del cai:d, rappresentante del Sommario Eugenio Battisti Un forte sospetto («Attribuzione e falso» 4) pagina 3 Adalgisa Lugli Il collezionista («Attribuzione e falso» 5) pagina 4 Aldo Gargani Lo schermo di scorrimento («Tendenze di ricercaiEpistemologia») pagina 5 Carlo Boschi Il Giovedì. Intervista a Karlheinz Stockhausen («Tendenze di ricerca/Musica») pagina 7 Ginevra Bompiani Lupa mannara (Il cornetto acustico, di L. Carrington) pagina 8 Prove d'artista: Nanni Balestrini Frankenstein e la ballerina pagina 9 Sergio Corduas Pretesto Nobel (12 poesie, di J. Seifert) pagina 10 Mario SpineUa Leggende di Delforno (Transizione - Via Palamanlio - Blu Indigo - Fiaba estrema - Nel nome di Josef K., di C. C. Delforno) pagina 11 Da Parigi a cura di Nanni Balestrini e di Maurizio Ferraris pagina 12 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta~ Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auSegni riaffioranti pascià di Marrakesh. Sono decine di stanze, all'esterno muri cadenti e screpolati, finestre e porte scardinate, tutto in abbandono; ma nell'interno mosaici e miniature, miracolosamente salvaguardati. Nella grande sala di ricevimento - le cui finestre grigliate danno sulla campagna - la pkcola ·berbera racconta. Trecento operai per tre anni hanno lavorato e un pittore ogni giorno ricopriva qualche centimetro quadrato. Nel 1956, alla morte di al Hadi Thami al Glawi, detto il Glaui, l'ultimo pascià di Marrakesh, gli arabi hanno condannato alla rovina lenta e inesorabile questa magnifica residenza, che era rimasto l'ultimo segno visibile d'un'ambizione suprema, ambizione ora sconfitta per sempre. Ma il segno di questa sconfitta, di Luigi Marinelli La lettura per De Mauro (Ai margini del linguaggio, di T. De Mauro) pagina 15 Patrizia Carella L'onnivora Carter (La camera di sangue - The Sadeian Woman, di A. Carter) pagina 16 Jon Snyder I fratelli e il custode (Fratelli - Il custode, di C. Samonà) pagina 17 Ubaldo Fadini Paul Celan (Luce coatta - Poesie, di P. Celan; La poesia come «Atemwende», di L. Samonà; La testa della medusa, di I. Cappelli Porena) pagina 18 Testo: Veaceslav V. Ivanov Il cromatismo di Ejzenstejn a cura di Tatiana Nicolescu pagine 19-21 Romano Gasparotti Il motivo dell'origine («Debole/forte» 12) pagina 23 Silvana Borutti La virtù dei modelli (Modelli archetipi metafore, di M. B/ack; M&dellie analogie nella scienza, di M.B. Hesse; De quoi faut-il s'étonner, di R. Thom; Quelques aspects historiques des notions de modèle et de justification des modèles, di S. Bachelard; Les mots, la mort, les sorts, di J. Favret-Saada) pagina 24 Paolo Vineis Etica e scienza pagina 25 Maurizio Ferraris La magia dei saggi (La magia dei saggi, di S. Zecchi) pagina 25 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma larivista si compone prevalentemente di questa definitiva supremazia araba, deve essere lì - dopo trent'anni e per sempre - a rammentarlo. Ma è un'ambizione sconfitta per sempre, quella berbera? Gli arabi, attraverso un lento e persistente processo di islamizzazione, hanno cancellato da secoli la scrittura berbera, eliminandone anche il ricordo. Resta la lingua viva di questi popoli, gli originali abitanti di queste terre - anzi questa lingua orale è l'unico elemento comune fra tutti i berberi delle regioni nordafricane. E la loro lingua scritta? Questo era l'interrogativo che mi ponevo addentrandomi nella valle del Draa, negli ksar, i piccoli villaggi fortificati in modo da esprimere e vivere l'anarchia tribale berbera. E se questi segni sui muri, sugli ighrem - gli scarni ma ornati Salvo Vaccaro L'ecologia sociale (Ecologia della libertà - L'anarchismo nell'età de/l'abbondanza, di M. Bookchin) pagina 27 Ernesto Mascitelli La decisione medica pagina 28 Michele Cometa Patire la verità (Attraverso i villaggi - Phantasù;n der Wiederholung, di P. Handke; Dostoevskij e la filosofia, di S. Givone; Il problema della sofferenza «inutile» - La cognizione del dolore, di Autori vari) pagina 29 Christine Wolter Bloc-notes di giovane scrittore (1 vecchi odori nell'aria di Berlino Est, di A. De Carlo) pagina 29 Cfr. pagina 31 Miche! Foucault Uno stile di vita. Conversazione con René de Ceccatty pagina 32 Gianni De Martino Gay viandanti pagina 33 RoseUa Prezzo Carmen, l'alterità pagina 34 Claudio Castellacci Parola di Coppola. Intervista a Francis F. Coppola pagina 35 Claudio CasteUacci Un festival lungo un giorno pagina 36 • Duccio Trombadori Il problema dell'amnistia. Domande a Oreste Scalzone pagina 37 Giornale dei Giornali Bhopal pagina 38 collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che if criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di prepa-, razione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo edifici-fortezza - fossero la conservazione inconscia dell'antica fin- • gua scritta? Così come i tatuaggi, i ricami sulle coperte, sui tappeti e sugli akhnif, il mantello di lana nera dei Glaua? Questa ipotesi permetteva di capire meglio, da un lato, la colonizzazione politica e culturale degli arabi - che ricoprono imperiosamente le proprie moschee e case con i segni grafici dellapropria lingua e impediscono ai b-erberila sopravvivenza della loro scrittura. Ma cominciavo anche a capire me- • glio la forza di questa resistenza e persistenza inconscia, la forza della lingua negata che sopravvive autonomamente nei segni ancestrali di questa architetturapovera e ripetitiva, quasi ossessiva. A Essauira - una cittadina che Sidi Mohammed ben Abdallah fece costruire alla fine del Settecento da~'architetto francese Cornut, quasi una fantasia europea su un tema marocchino - forse comincio a trovare risposta ai miei interrogativi. Nella biblioteca-museo di questa cittadina della costa atlantica rinvengo alcuni testi a stampa che sono il tentativo di ricostruzione della scrittura berbera per sempre scomparsa. La mia ipotesi non sembra infondata, il confronto è possibile. E se i segni di una lingua attraversassero inconsapevolmente gli individui, come ilfiume Draa sotto terra, invisibile ma riaffiorante attraverso altri segni di vita, le palme, gli alberi, e i tatuaggi, i ricami, gli ornamenti architettonici essenziali delle ksar? E se questa fosse una memoria futura della lingua berbera negata e soppressa? Antonio Ria Indice della Comunicazione Mezzi e opinioni pagina 38 Le immagini Segni riaffioranti a cura di Antonio Ria alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Comitato di direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione: Carlo Formenti, Maurizio Ferraris, Bruno Trombetti Art director Gianni Sassi Cura redazionale: Marisa Bassi (AER-Milano) Edizioni intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Coordinamento marketing: Sergio Albergoni Pubbliche relazioni: Monica Palla Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

e ome spiegare, a chi non ha esperienza diretta, la sottile problematica dell'attribuzionismo (oggi in declino come ricerca accademica), e la dialettica ormai decennale fra conoscitore che si serve dell'analisi formale, ed erudito che si appoggia esclusivamente sui documenti? I commenti che ho letto ed ho sentito (con poche eccezioni dovute a grandi conoscitori o storici} circa le sculture attribuite a Modigliani sono totalmente scoraggianti, e un intervento come questo avrà pochissimo consenso. Va detto, anzitutto, che specialmente nella storia dell'arte tutte le conoscenze che abbiamo sono ipotetiche e provvisorie. Infatti già l'interpretazione d'una data, scritta in calce a una tavola o esibita in caratteri monumentali su una facciata, richiede la scelta fra un gruppo di alternative, quali: a) la data si riferisce al compimento dell'opera, b) al suo inizio, c) alla sua commissione, d) è unicamente commemorativa di un evento cui in qualche modo l'opera stessa è associata, e) o peggio ripete la data d'un dipinto o d'un edificio anteriore, imitato o copiato. La firma di un artista può poi tanto indicare l'autografia del dipinto, quanto essere l'avallo per un prodotto di bottega. Non è il caso di dare esempi per le situazioni su esposte, basterà ricordare che il punto e) tocca importanti dipinti medievali toscani e senesi, determinando perduranti discussioni sulla priorità di alcune scuole locali, che il punto d) è rappresentato, in primis, dalla 'data' del Tempio Malatestiano di Rimini, che la firma come avallo ad opere di aiuti è un espediente frequentemente usato da Giovanni Bellini. Che fare in questi casi? Quan~o è possibile si ricorre ad altri documenti, che però sono anch'essi ambigui. Decenni passarono, in molti casi, fra un lascito testamentario e il compimento degli affreschi cui esso era destinato; gli inventari successivi non registrano se nel frattempo un originale venne sostituito da una copia (quelli della famiglia Pio, che purtroppo non ho ancora pubblicato, indicano che il S. Giovannino Battista attribuito a Caravaggio, della Capitolina, venduto nel Settecento, rimase sempre appeso alle pareti in quanto sostituito da una copia}. Quello che giudica, dunque, scegliendo entro i depositi di un museo, sulla facciata d'una cattedrale adorna di sculture, nelle aste antiquarie, è l'occhio del conoscitore. Cioè l'abitudine a certe strutture formali, la sensibilità a qualità materiche, se si vuole inconsciamente annusate, acquisite mediante una lunga e attenta frequentazione di altre opere analoghe. È un mestiere rispettabilissimo, come dimostrano sia i risultati positivi sia gli errori compiuti (se in buona fede). Servendosi solo dell'occhio (addestrato storica- ....., mente) si possono catalogare, con .s approssimazioni singolarmente ~ precise, spesso entro un quinquenc:i... nio, e con individuazioni topogra- ~ fiche a livello non solo di regione, ~ ma di città e talvolta, come per la -~ ceramica, di quartiere, migliaia di s::: ~ manufatti, con la rapidità d'un co computer. ~ L'attribuzionismo ha però dei li- ~ miti, resi espliciti dalle discussioni, ~ ad esempio, su Giorgione e scuo- l la. Anzitutto, c'è la tendenza ad ~ espandere o a limitare le oscillaUnfortiri•sos EugenUJBattisti p o zioni d'una personalità artistica (come d'altronde accade negli esami della calligrafia). Nel secondo caso Picasso, ma anche Michelangelo e Tiziano, se non fossimo soccorsi da documenti, risulterebbero , ridotti ad un· terzo, o meno, di quello che oggi conosciamo. E, in genere, è più facile errare nell'attribuzione d'un grande maestro, che ha possibilità di svolte e di autocritiche impreviste, che in quella d'un secondario pittore. Il mercato antiquario, ovviamente, favorisce anzi spesso'richiede una espansione attributiva, e poiché il compenso d'una expertise è connesso percentualmente al valore dell'opera giudicata, la tentazione (magari dopo una perdita al gioco, è il caso ben noto di un celebre storico) di dir sì, invece che no o nì, è forte. Il conoscitore, inoltre, con la sua esperienza storica e filologica, può aiutare un falsario (ciò che sembra essere avvenuto nel caso di un dipinto, alla National Gallery, attribuito a Giorgione) facendogli compiere abili e corrette integrazioni. Siamo però a un livello delinquenziale. Nel caso delle teste di Modigliani, a Livorno, l'errore è stato favorito da due diversi elementi. Il primo è la presunzione che l'origine del ritrovamento garantisse l'autenticità del manufatto. Il secondo è la mancanza d'una conoscenza adeguata delle sculture di Modigliani, eseguite in un periodo sicuramente di ricerca, di mutamento stilistico e di influenze esterne. Di per sé queste due condizioni, rischiose, non portano a una catastrofe: c'è anzi il caso parallelo e ben noto (anche se non citato dalla stampa) del ritrovamento d'un frammento, autentico e tecnicamente comprovabile come tale, della Pietà Rondanini di Michelangelo negli scavi dell'area dove esisteva il suo studio a Roma; avvenimento che se fosse stato connesso a un oggetto posto nel mercato antiquario avrebbe creato infiniti sospetti, e che invece è autentico. Vor;ei aggiungere, però, un forte sospetto nei riguardi degli artefici delle burle di Livorno. La vicenda, pubblicamente, si è svolta come sappiamo. Ma potrebbe avere avuto un altro esito. Il ritrovamento, ad esempio, di due teste nel fosso, e l'accettazione di esse da patte di un gruppo, cospicuo e onesto, di storici, sulla base della loro provenienza e d'una reciproca affinità (dovuta come ora sappiamo ad abile falsificazione di stile}, potrebbe essere stato pianificato da un buon conoscitore del mercato antiquario per avallare, a causa di simili stilemi, l'autografia d'una terza testa da 'ritrovare' più tardi, il cui valore sarebbe stato enorme. Forse solo il convergere di due burle parallele ha distrutto questo intrigo, che da strane testimonianze scritte e orali (come que!Ja presentata alla televisione da F. Zeri) mi sembra niente affatto ipotetico. Il raggiro, in tal caso, sarebbe stato pianificato con molta abilità, e distrutto (per caso?) da una burla studentesca. P er concludere, l'occhio dà, in genere, un giudizio esatto, ma solo se i dati fornitigli sono genuini e non ci sono suggestioni ingannevoli. Per questo si usano radiografie, riflettografie e ora lastre impressionate da graduali tempi di irradiazione degli strati pittorici, che riesumano giorno per giorno, a volte ora per ora, il processo di costruzione d'una immagine. Nel caso delle teste incriminate l'inganno non è venuto tanto dallo stile (che Argan giustamente ha definito embrionale, a livello di schizzo): esso avrebbe dovuto rappresentare un momento iniziale di ricerca di un artista ancora incerto; l'inganno è venuto dai tecnici che dovevano fornire i documenti di autenticità, cioè una precisa stratigrafia degli scavi nei canali - un archeologo sarebbe inorridito di fronte al procedimento seguito-, una scrupolosa analisi chimica delle superfici delle pietre stesse, una serie di esami, basati su microfotografie, delle tecniche esecutive risalendo agli strumenti usati. Peraltro uno sbaglio attributivo, se non ha conseguenze venali e speculative, è cosa da poco; passato il primo entusiasmo lo si corregge facilmente. La 'falsificazione' dei dati di provenienza d'un manufatto, dovuta a così profonda approssimazione e ignoranza, lascia invece atterriti, pensando che è a questi istituti o personaggi che si affida, anche, la conservazione del nostro patrimonio artistico, cioè •la scelta fra ciò che si deve conservare, e ciò che si lascia demolire. Non intendo soffermarmi, invece, sulla campagna generale, che ha trovato un suo centro di diffusione nel giornale La Repubblica, di diffamazione contro l'arte contemporanea, che sarebbe tanto facilmente falsificabile da essere, per tautologia, un falso essa stessa. Sono idiozie che nascono da malafede e ignoranza e che approfittano dell'ondata attuale di conservatorismo per riesumare forme triviali di accademismo, anni fa sostenute dal realismo socialista. Chi non ha mai visto un Mondrian può ritenere che si tratti di sole righe orizzontali e verticali messe a caso; intanto il fondo grigio o bianco non è mai eguale; i cosiddetti colori primari cambiano di qualità passando da un dipinto all'altro (invito a esaminarli nelle sale del museo di Amsterdam); le radiografie e spesso già l'occhio umano scorgono innumeri pentimenti e in alcuni casi, addirittura, restano nei dipinti incompiuti le tracce d'una sperimentazione preliminare fatta anche con strisce di plastica adesiva, per stabilire un corretto proporzionamen to. Certo, copiare Mondrian sembra facile se lo si conosce solo attraverso cattive riproduzioni a colori. Un altro aspetto non trascurabile, e sottaciuto, è che spesso un artista contemporaneo, come è il caso del diffamatissimo Fontana, si serve di una sequenza di tele, e non d'un dipinto unico, come forma di espressione e comunicazione; un falso difficilmente può inserirsi in modo omogeneo, o dialettico, in queste serie. Mentre poi si discute clamorosamente di falsi contemporanei (vedi i Modigliani) che sono rapidamente individuati, poco si discute dei falsi antichi, o peggio ancora dei semifalsi, cioè delle opere malrestaurate o quasi completamente rifatte. Ho visto un restauratore dipingere con una rapidità incredibile un perfetto paesaggio veneto settecentesco già con le tracce dell'invecchiamento man mano che il colore si fermava sulla tela. Un'ultima parola di commento. I falsi invecchiano assai male. Dopo due o tre generazioni risultano evidentissimi. Sono infatti, anch'essi, interpretazioni storiche e come tali legati a un'epoca. Il Donatello dei critici ottocenteschi non è il nostro e così presunti capolavori del Quattrocento vengono, automaticamente, trasferiti nell'altra sezione di museo, ad essi riservata, quella dell'Ottocento; e non più come falsi o copie, ma come libere imitazioni. Abbiamo chiesto ad alcuni teorici de~'arte di discutere da più punti di vista questioni varie: i criteri del- /' attribuzione secondo lo stile, l'accertamento dei materiali con nuove tecnologie, il falso nella storia e nelfepoca attuale della riproducibilità tecnica più avanzata, i tipi di speculazione del mercato, ecc. Nel numero 67 scorso abbiamo pubblicato R. Bossaglia, F. Menna, A. Boatto.

P arlando della musica e del mito alla fine di Mitologia 4, Lévi-Strauss istituisce una curiosa corrispondenza sessuale tra il compositore e l'osservatore. Chi ascolta la musica o la narrazione del mito, e vi investe uno o più significati virtuali, sarebbe una specie di creatore in negativo, i cui vuoti vengono colmati dall'autore del brano. Questo perché il non compositore possiede, da parte sua, allo stato latente numerosi significati che vanno a sovrapporsi e ad incarnarsi nei suoni, per cui la musica funziona da elemento scatenante di risposte precise e sovrapponibili, il suono e il senso, cioè la reazione intellettuale e quella emotiva dell'ascoltatore. Un vero accoppiamento, come un matrimonio alchemico di materie opposte. Si può pensare in questi termini anche all'arte figurativa e senza nessuna differenza, nemmeno di cerimoniale, perché l'osservazione è pilotata dallo spessore dei significati che l'artista è riuscito a fondere insieme e in questa griglia chi osserva predispone una serie di risposte che vanno ad aderire agli stimoli visivi. Inoltre l'atto del vedere l'opera può avere un'estensione nel tempo paragonabile a quella dell'ascolto musicale. E in una vera esegesi del discorso artistico che non sia solo ingestione vorace di immagini i due poli artista e osservatore devono intrecciarsi di continuo e separarsi per ampiezza di segno o per risonanza di significato. I due ruoli sono paritetici per LéviStrauss «in quanto ciascuno detiene uno dei due sessi» quindi nessuna tentazione di attribuire una parte attiva all'artista e una passiva all'osservatore. Questa coniunctio si può estendere tout court dall'artista a quella speciale figura di osservatore-fruitore che è il collezionista, ponendo il problema in termini di durata. Il collezionista è certamente un fruitore che ingaggia con l'opera una corrispondenza di segno-significato protratta nel tempo. Accetta e impegna energie anche materiali per una convivenza più lunga con il lavoro, mentre il semplice fruitore delega tutto questo al museo o alle istituzioni pubbliche. Possiamo parlare proprio di persistenza retinica o di un 'ascolto' dell'immagine che ha un'estensione paragonabile a quella dell'esperienza musicale. Ma quello che muta sostanzialmente, oltre il rapporto diretto tra artista e osservatore, è il fatto che la collezione crea una trama complessa che si dipana attraverso le singole opere che la compongono. Certamente la figura del collezionista non ha goduto di una grande fortuna negli ultimi decenni. Vi hanno pesato soprattutto i fondati sospetti sulla privatizzaziùne dell'opera come proprietà sottratta alla fruizione collettiva, ma vorrei chiarire subito che, parlando di collezionismo, alludo prima di tutto a una struttura di conoscenza del lavoro artistico che sta comunque alla base del museo stesso, quando sappiamo benissimo che, sia legata o no a una destinazione privata, la raccolta si delinea sempre secondo gli stessi modelli. Cioè, c'è una 'privatezza' anche in chi colleziona per istituzioni pubbliche, a condiAttribuzione e falso/5 Il collezionista zione che si assuma in prima persona la responsabilità delle scelte e quindi sia fatto salvo il programma, deciso coscientemente e coerentemente e non affidato, come spesso succede, alla totale casualità degli accessi. Il vero collezionista, quello più colto e avvertito, in passato come oggi, ha sempre un disegno in base al quale raccoglie gli oggetti. Quanto più questo disegno sarà chiaro e definito, tanto più ne risulterà decifrabile l'immagine dell'insieme. Che esista uno stile o una 'forma', se così vogliamo chiamarla, del museo, mi sembra di poterlo ricavare tra l'altro dal fatto che sono gli stessi artisti ad accorgersene e ad inventarsi uno 'stile museo', come fanno i concettuali degli anni Sessanta-Settanta con operazioni di accumulo e di registrazione scrupolosa di tracce o di reliquie personali, con cataloghi di eventi e di oggetti o con vere e proprie ricostruzioni imitative di bacheche del museo, in forma di frammenti di vetrine di antropologia o paleontologia. E penso soprattutto al lavoro di Claudio Costa di quegli anni ·e a Herbert Distel, artista svizzero che costruisce, nella tradizione dei musei enciclopedici contenuti in un solo armadio o in un solo stipo, un mobile a più piani con cassetti che riempie ciascuno con un'opera dei principali artisti europei e americani degli anni Settanta (Das Schubladenmuseum, 1976). e redo che tutto questo si possa leggere come un ~enomeno di 'mimetismo', in cui anche il museo viene assunto come elemento di un contesto più generale ridiventato presente, se non altro in modo singolare, trattandosi di una istituzione che tradizionalmente guarda al passato. Ma in più nasce da quella ipercoscienza della destinazione dell'opera che, proprio mentre si nega spazio al collezionismo, sembra essere una delle preoccupazioni dominanti degli artisti degli anni Sessanta-Settanta. Si verifica, paradossalmente, che l'opera sia già pronta per la sua destinazione fin dalla sua fase ideativa, cioè sia già museo prima ancora di essere museificata. Allo stesso modo sono stati mutuati schemi formali da discipline parallele, come la semiologia o lo strutturalismo, tanto che una revisione di tutto il periodo cosiddetto concettuale andrebbe riproposta con nuove denominazioni di 'arte semiologica', 'arte strutturalistica', 'arte antropologica'. Certamente, gran parte della produzione artistica del Novecento deve essere riconsiderata per il carattere di 'stile collezionistico' che manifesta proprio a partire dalle avanguardie e dal surrealismo in particolare. Un museo presentificato è già nel paesaggio di frammenti riuniti nei dipinti metafisici di De Chirico, così come c'è l'idea di accumulo e di stratificazione progressiva nel collage dadaista e surrealista. Il Merzbau di Schwitters è una Wunderkammer del Novecento, il luogo e la stanza dove si lasciano depositare gli oggetti più diversi e l'assemblaggio surrealista è una forma di ordine del caos, lasciato ad obbedire alle sue stesse leggi, in cui frammenti, parole o brandelli Adalgisa Lugli di immagini vengono semplicemente messi a contatto. È la vicinanza, cioè il gesto dell'artista, che crea le analogie. E fa parte essenziale del gioco un altro elemento tipico del museo, cioè lo spaesamento e lo sradicamento dell'oggetto, distolto da un contesto e portato in un altro. Di questo procedimento si erano serviti largamente i collezionisti enciclopedici delle Wunderkammern, estraendo frammenti dalla natura e dall'arte, cioè dalla produzione artistica antica e contemporanea e facendoli convivere insieme. Si diceva che il collezionista è un tipo speciale di fruitore che si affida alla durata dell'opera, anzi ingaggia con essa una specie di 'sfida' sul suo valore. Certamente l'effetto del suo lavoro travalica quello del semplice fruitore. Il collezionista può essere 'logografo' e scrivere una sua storia esemplare attraverso gli oggetti, dando giudizi di valore attraverso le sue scelte. Può riflettere gli orientamenti critici di un determinato momento o comunque operare lui stesso secondo le linee di una critica parallela. Forse per il Novecento l'esempio più alto di questa forma di collezionismo è la raccolta di opere dell'avanguardia russa riunita da Costakis a Mosca a partire dal 1946. Costakis non è un critico e nemmeno un artista, ma raccoglie dipinti, sculture, disegni, oggetti ai quali nessuno _inquel momento dava più importanza, nemmeno gli stessi autori talvolta o i loro eredi. Salva numerose opere dalla distruzione e riunisce nella sua casa di Mosca la grande collezione costruttivista che nessun museo sta organizzando in quel momento. In questa opera paziente di scavo e di ric~rca ha al suo fianco due protagonisti del movimento, R6dcenko e la Stephanova, e poi via via altri artisti, quasi tutti in gravi difficoltà materiali, ma soprattutto molfo provati e sfiduciati dal grande silenzio che si è fatto intorno a loro. Con loro il collezionista istituisce un progetto comune e si incarica di costruire un'immagine della collezione che rispecchi il più fedelmente possibile la visibilità e il tramando della ricerca artistica. Senza dubbio siamo di fronte al caso pressoché unico di un'indagine condotta attraverso le opere e in loro effettiva presenza, escludendo completamente il critico. Un collezionista e un artista più o meno a distanza di dieci anni dalla fine del movimento ne ripercorrono i momenti più salienti in totale assenza di qualsiasi sistemazione storica. Credo che questa sia una collezione su cui dover meditare proprio per lo scrupolo sottile con cm e riuscita a scavare nel movimento, salvandone tutta la progettualità, gli esperimenti, anche quelli marginali, le personalità minori, in una parola tutto il sommerso. Certo lo sperimentalismo delle avanguardie dovrebbe insegnare molto al collezionismo e alla museografia contemporanei, proprio ad andare oltre l'opera finita e a recuperarne i materiali. Non mi risulta che tutto questo si faccia se non in misura molto ridotta. L a raccolta, quando è organizzata con cosci_enticriteri di valore estetico e critico, riesce comunque ad aggiungere molto alle opere. Intanto perché rinsalda i loro legami e mette in rilievo le differenze, che è quello che normalmente fa il critico, ma in più le visualizza come la riflessione di una metà nascosta e simmetrica. In realtà la collezione va prima di tutto letta come un testo che può avere rotture logiche e frantumazioni sintattiche, ma che obbedisce a una logica comunicativa. È una scrittura fatta di oggetti e perciò una scrittura geroglifica. L'osservatore è invitato a percorrere questo alfabeto materiale e comunque è fruitore di questa opera ulteriore che è la collezione, che è naturalmente un'opera mediata, perché l'autore non è 'faber', ma utilizza artefatti già esistenti. Il collezionista è stato sempre cosciente di questa sua funzione metalinguistica e qualche volta ha tentato, rimontando da un gradino all'altro, di recuperare la manualità e il livello creativo primario che le è connesso. Ma sono casi isolati, molto più frequenti in passato quando la collezione era prima di tutto uno strumento di lavoro e quando, attraverso la manipolazione dei materiali, nelle officine-laboratorio dei collezionisti-scienziati o di principi curiosi come Francesco I de' Medici, si perseguiva un ampliamento delle conoscenze. Collezionisti molto vicini a quel prototipo perfetto di collezionista che è l'Eduard Fuchs esemplificato da Benjamin nel suo noto saggio, un collezionista-studioso che attraverso la raccolta allarga i propri interessi e modifica il proprio quadro culturale. Certamente chi colleziona accetta di esprimersi per metafora e in questo senso giustifica il suo appropriarsi di un feticcio, cioè di un oggetto dotato di un grande potere simbolico, tanto da poter sostituire un tutto. Egli è nella condizione infinitamente ambigua di possedere e di essere posseduto nello stesso tempo. Può essere come il folle di un villaggio primitivo che scambia il proprio corpo e la propria voce con quella di un animale della foresta. Ma nello stesso tempo detiene l'opera, è artefice del suo destino e autore delle associazioni che può costruire intorno ad essa. In questo senso può costituire una minaccia per l'opera stessa e anche secondo questa linea mi pare che andrebbe riletto l'atteggiamento sempre diffidente delle avanguardie nei confronti del museo. Intanto perché molte opere vorrebbero nascere orfane e a molti artisti il confronto non piace. Basti pensare a quell'istituto ormai consolidato che è la retrodatazione e che gioca ampiamente proprio sul fatto a cui accennavo prima, l'inesistenza di documentazione e di archivi sul contemporaneo e comunque la falsa coscienza che la storia si sta ancora scrivendo e che è necessario ogni tanto farle chiudere un occhio. N egli anni Sessanta-Settanta, quando avevano peso le polemiche sulla mercificazione dell'arte e sull'accumulo di oggetti del mondo capitalistico, molti esponenti dell'arte povera decidevano di disinteressarsi completamente della destinazione delle loro opere, lavorando sull'effimero, sulla non durata e sulla deperibilità. E c'è da stupirsi che questo aspetto così nuovo e importante della ricerca artistica venga oggi completamente censurato nei tentativi di storicizzazione del movimento come quello della mostra terminata da poco a Torino («Continuità dell'avanguardia», alla Mole Antonelliana). Proprio quando l'arte povera si appresta ad entrare definitivamente nel museo, per coerente realismo mercantile si scelgono le opere più durature, quelle in cui si avverte di più il peso della materia e in cui le novità sono già diventate monumento. Credo che finalmente le avanguardie del Novecento abbiano fatto la pace col museo. E vorrei aggiungere ancora che, posta la necessità di avere in qualche modo una visione dell'arte per fare una collezione (i collezionisti enciclopedici avevano comunque una precisa idea del mondo e la volontà ferrea di catalogarlo in tutti i suoi aspetti, le regole e le eccezioni, il bello e il mostruoso), mi chiedo se possa esistere una collezione coerente, come insieme e quindi come immagine, fuori dell'avanguardia. Solo il discorso sintatticamente e strutturalmente conseguente della sperimentazione può offrire il materiale più utile per una raccolta altrettanto compatta di indagini. Al di là di questo può essere molto difficoltoso tenere insieme la poi~ verizzazione degli esperimenti. In questo senso il Novecento potrebbe essere di nuovo l'età dell'oro della collezione. La seconda considerazione è che in antico come oggi la collezione è una rappresentazione che ha bisogno di un teatro, di un luogo e delle sue quattro pareti per essere mostrata e che dentro questo contesto come dentro il teatro si verifica una piena perdita dell'identità e una distruzione delle barriere tra il mondo inglobato nella collezione e l'io (del collezionista e del fruitore) raccolto come perno o come elemento che quella continuità fa scattare. Ma sempre in termini di finitezza. Mi domando se invece il .,,,._ vero paradigma della collezione .s non vada ricercato più a monte, in ~ quel complesso e affascinante tea- l::l... tro della preprogettualità che è lo ~ studio dell'artista. Qui i materiali -. .si compiono un passo indietro e tor- c::s i:: nano a quella dissoluzione caotica ~ precreatrice che lasciava al colle- 0-0 zionista antico l'illusione di essere ~, come Adamo nel Paradiso Terre- ~ stre, colui che dà il nome alle piante e agli animali.

Tendenze di ricerca/Epistemologia Loschermdoiscorrimento Già nel manifesto per l'incontro di Palermo relativo a « Il senso della letteratura» (8-10 novembre 1984) era dato il sottotitolo «Tendenze della ricerca oggi in Italia». È questo l'argomento successivo di una serie di scritti (e di incontri da decidere) che incominciamo qui: esteso alla ricerca nelle arti, con dibattito inizialmente avviato già, e nella musica, è anche esteso alla ricerca epistemologica sui problemi comuni agli altri campi. Diamo per cominciare un intervento di Aldo Gargani, che è un anticipo sui materiali di Palermo, perché letto nel convegno; esso, che si presta bene al nuovo sviluppo, è completo anche in se stesso; e diamo alcune dichiarazioni di Stockhausen. (Il Supplemento letterario nel numero di febbraio prossimo darà da parte nostra gli atti dell'incontro «Il senso della letteratura», con indice completo, testi scritti e a voce degli interventi teorici - o stralci, in una misura comune a tutti di 4-5 panze, di persistenti discrepanze e divisioni. Di fatto, egli non vede il mare o i ciuffi d'erba sulì'argilla attraverso una concezione o una teoria; piuttosto egli vive la fatica e la sofferenza del loro confronto. Lui non sta lì sospeso tra la dottrina referenzialistica dei linguaggi, per cui la parola combacia con la cosa, e la dottrina delle descrizioni e delle versioni plurime, alternative del mondo. Piuttosto, qualunque cosa creda, egli la proietta sulla scena della realtà naturale. Ma non la proietta per compiere mitologiche verificazioni; semplicemente la proietta e soffre questo confronto. È piuttosto come se teorie e scene naturali si proiettassero l'una sull'altra tracciando la linea lungo la quale egli è uno spettatore soffecartellealmassimo-, campioni del- I/./: //('/ ' /:\/' le letture di testi letterari, e il resoconto registrato completo della discussione. Inizialmente sarà data una proposta dei direttori di Alfabeta che hanno coordinato la riunione di Palermo.) L e teorie, i concetti ai quali si paga il proprio debito nello svolgimento delle pratiche intellettuali, vengono portati e insieme non vengono portati nelle circostanze ordinarie della nostra vita; quando per esempio si va a fare una passeggiata in riva al mare. Vorrei dire: un uomo è anche un essere naturale, e non nel senso che sia genuino o autentico di fronte a se stesso, ma che sia visto proprio all'opposto come un essere affastellato di concezioni, di teorie che sono anche dentro di lui, ma che non sono uno specchio di qualcosa di cui egli sarebbe il portatore limpido e vigile. Piuttosto, egli va in giro per le strade, incontra persone, va in riva al mare in una giornata di sole e avverte il peso, l'aggravio che appartiene né alla vita come tale, né alle teorie e credenze come tali, ma al punto del loro incontro. Questa esperienza, che gli dà malessere, egli la percepisce tutt'al più con la coda dell'occhio, abitualmente per fugarla frettolosamente, con l'aggiunta di un profondo sentimento di colpa per la sola circostanza di averla intravista. Diventerà rigido, pallido di fuori, stravolto all'interno come se fosse incorso in un incidente stradale. In sostanza, aspetta che quella situazione abbia termine, con la stessa depressione che si esperimenta durante le festività. Ora, le festività sono contingenze difficili per gli uomini, perché V) essi sono destinati a viverle come il .s lascito di credenze e pratiche di cui ~ si sono perse la sensazione interna ~ e la direzione di verità. Andando in ~ giro, visitando un posto, andando -., in riva al mare egli crede, tutti lo -~ credono, che la realtà naturale sia ~ fusa con il sistema delle concezio- "" :io oO 'O ni, _dottrine, credenze. Mà questa fusione è una finzione; se egli guardasse meglio, se tutti guardassero ~ meglio, egli vedrebbe, tutti ve l drebbero che quelle situazioni so- ~ no altrettante esperienze di discrerente. Uno spettatore che ha l'esperienza che tutto sia sopravvenuto da sé. No, la scena naturale non serve da riferimento, né da banco di verifica, ma è lo schermo sul quale si accavallano e scorrono stili, concezioni; sul quale scorre, per così dire, tutta lagrafica del pensiero umano. Il mare è il mare in questa dolorosa linea di confronto, e una concezione, un concetto sono una concezione, un concetto lungo la medesima linea. Ognuno è se stesso ma lo è, stranamente, proprio in questo confronto che è inaspettato perché sopravviene da solo. Paradossalmente, ogni cosa e ogni teoria ricevono una fisionomia indipendente proprìo perché non stanno lì da sole, ma perché stanno lì esposte allo spaesamento di quel confronto. I o credo che questa sia l'ultima occasione di verità per gli uomini, in questo scorrere delle scene naturali, degli eventi e delle teorie e concezioni gli uni di fronte alle altre come nel giro astronomico dei corpi celesti. La parola non dice le cose, e non le descrive, e d'altronde la cosa non comanda il linguaggio; quello che però è vero è eh qualcuno, qualche uomo, sta lì in mezzo, come un soggetto che soffre, e non si può dire altro, non più di questo, perché egli si trova Aldo Gargani sulla linea corrente tra l'una e l'altra, che non.divide, e non separa, ma semplic~mente gli dà pena. È, forse, a questa particolare postazione degli uomini che risalgono la nozione di sogget1o e quella del sé. Voglio dire, l'uni :a ancora trattabile, esente da_in0enuità e da illusioni. Comunque, è certo, l'uomo la prova, qualcuno almeno la prova. Si potrebbe dire che sullo specchio del mare in una luminosa giornata scorrono teorie, stili, modi di approccio, interpretazioni. In linea di principio scorrono o possono scorrere tutti. Ma ciò che oggi scorre per qualcuno che ci vada e ci si affacci è intanto il sentimento della differenza e del distacco. Qualunque cosa creda o abbia creduto, egli ora proietta Moby Dick e lo vede scorrere, oppure proietta La Mer di Debussy, e la vede scorrere. Prende ora il mare come la cosa che fa una dolorosa differenza tra Moby Dick e La Mer. Al tempo stesso prenderà distanza o si accorger~ di quanto lui, che scruta e osserva, sia cambiato. Quel mare ha l'effetto di farlo sentire diverso da se stesso, perché egli incontra ora, oggi, difficoltà a convertire il mare in Mohy Dick o nella Mer. Non è che lui si ricordi o avverta di essere più dal lato o in prossimità del primo o della seconda; perché egli soprattutto percepisce ora la dolorosa esperienza di entrambi. Se volesse, e non è detto che lo voglia, potrebbe da quell'occasione, che è casuale, trarre una sorta di iniziazione al proprio sé. In ogni caso, tutto il suo essere consiste nel soffrire quella differenza, ossia quella circostanza per cui il mare pur essendo rimasto il mare, lo stesso mare, ha scalato per così dire una varietà di interpretazioni, di modi di descriverlo e di sentirlo. Ma non è d'altronde che il mare sia qualcosa di diverso o di più di quello che semplicemente è, e cioè quel fattore o quella condizione che ha scalato la moltitudine di applicazioni intellettuali alle quali è andato soggetto. Il mare non è la descrizione naturalistica del mare, né il mare è l'espressione del mare, né il mare è l'espressione del palpito o del grido della nostra anima nella rappresentazione del mare. Il mare è invece lo schermo di scorrimento di questi approcci e oggi l'uomo ha l'incerto ma unico avvertimento di sé unicamente lungo quella linea divisoria. Lui, se si prende in maniera diversamente seria da quella convenzionale, cioè se non si limita ad apparire rigido e pallido, deve soffermarsi su quella divisione e discrepanza, che gli sopravviene come per caso, ma che è anche tutto ciò in cui ora, oggi, consiste. Appartiene a un passato che sembrerebbe irrecuperabile - ma il passato non andrebbe appunto preso sul serio? - che lui dica il mare o che il mare dica per lui. Ciò che voglio dire è che l'una o l'altra cosa è un muoversi, un partire per qualche parte, e invece lui deve stare dove si trova. E perché bisognerebbe sempre partire, muoversi, agitarsi, andare da qualche parte, anziché rimanere dove si è? Verrebbe voglia di dire: che egli rimanga lì, di fronte a quel mare, che è tutto il mare dei suoi interrogativi, disagi e inquietudini senza forma. Per questo appunto egli è propenso a schivarli, perché non hanno forma. Può allontanarsene pallido e stanco, come se fosse invecchiato di colpo, o può prendere la decisione di soffermarvisi. La forma, se sorgerà, non sarà il programma di una forma, ma sarà l'impronta della sua fermata. «Io non so neanche come sia arrivato a tutto questo» potrebbe egli dire un giorno di fronte al mare; e così comincerà a scavare la sua orma. Per quanto possa apparire strano, comincerà a fare, ad essere attivo, proprio mentre ritiene di aver rinunciato a qualunque intrapresa, di essersi arreso. Sì, perché si tratta di ritornare su di sé mentre contemporaneamente si ha l'impressione di disperdersi nei fiocchi della propria cenere. Ciò che di fatto appare irreale è la tenuta temporale lineare delle teorie, delle concezioni, delle dottrine, perché l'esperienza di fronte alla quale è messo quell'uomo lungo la spiaggia è la circostanza che i nostri pensieri prima o poi diventano falsi. E non perché essi abbiano cessato di combaciare con la realtà, perché in effetti non c'è mai stato il momento nel quale hanno comba- • ciato, così come non c'è nemmeno stato quello in cui avrebbero cessato di farlo. Voglio dire che qualunque momento potrebbe egualmente prestarsi al loro combaciare così come al loro divergere. e iò di cui bisogna prendere atto è la continua, ininterrotta frantumazione di idee, concetti nel fluire dei granuli del tempo. In un certo senso è come se certe idee e concetti diventassero prima o dopo falsi senza essere stati prima veri (nell'accezione in cui essere vero significava corrispondere ad una cosa o designarerigidamente qualcosa). La supposta permanenza e compattezza di essi dipendeva dalla stessa immagine lineare, assoluta, rappresa del tempo che promana da ciò che chiamiamo 'idea', 'concetto' o 'teoria'. Ma nell'esperienza effettiva dello scorrimento di idee, concetti e teorie in presenza degli eventi, delle realtà naturali che avevano suscitato il compito di essi, gli uomini possono ora avvertire quella discrepanza del tempo che è la stessa cosa della esperienza della divisione di loro rispetto a loro stessi. Per cui, anziché la presenza di concezioni o di teorie, gli uomini a un certo punto accertano solo tracce di sé, e della lontananza che nel frattempo - c'è sempre un 'frattempo' - hanno preso da sé. Io vado dunque lungo la spiaggia, rivedo la medesima spiaggia, i medesimi pini che nonostante siano logorai:i dalla salsedine continuano a protendersi verso il mare come a un'amante che li abbia sempre respinti. È il medesimo mare e sono i medesimi pini, ma sono anche differenti perché sono tutto il passato delle stratificazioni che le mie idee, i miei concetti vi hanno sovrapposto nel corso degli anni. In realtà, se li prendo seriamente, l'esperienza che ne faccio è quella della differenza e dello spaesamento che mi impongono. Se potessimo immaginare che parlassero, direbbero qualcosa come: «Hai detto questo una volta su di noi, e poi hai anche detto quest'altro, e poi ancora quest'altro, e noi siamo le tracce di tutta la tua differenza». Io allora non vedo qui il mare o i pini o qualsiasi realtà naturale o un evento attraverso una concezione, una teoria; propriamente non vedo qualcosa, ma esperisco delle velocità coesistenti che corrono parallele lungo una linea nella quale avverto la mia vita come una consumazione. Le dottrine, le concezioni (nonostante la loro compattezza e lisciatura) non comandano la visione di quello che succede, non guidano la propria applicazione alle cose e agli eventi, ma subiscono, ad opera dei dintorni che le circondano nella circostanze della vita umana, un destino: la loro conversione nella natura di tracce, di lontananze in cui gli uomini avvertono l'allarme del proprio sé. Per quanto possa costituire un sacrificio intollerabile, l'unica oc-

MAMNI BALESTRIMI CI EL I 7 ,on etti • 7 di segni tuto Italiano • franceH 400 copie numerate Lire 15.000 Edizioni Tam Tam 1984 ( fuori abbonamento) ADRIÀMO SPATOLA IMPAGIMAZIOMI Scritti critici sceltl • riprodotti nella forma grafica originai• (1961-1980) Pagine 96 Lire 16.000 Edizioni TamTam 1984 ( fuori abbonamento) TAM TAM 1985 Abbonamento a 12 numeri di cui 8 monografici più di 450 pagine di poesia contemporanea Lire 42.000 Abbonamentoai 1011 4 faaclcoll della rivista Lire 14.000 Effettuare l'ordine mediante vagila postale Intestato a TAM TAM C.P. 28 42020 San Polo d'Enza (RE) specificandola causale del versamento casionedi riflessionecheoggiagli uominirimane è quelladiprendere atto del fluiree rifluireincessante delle concezioni,teorie, opinioni intraccedellalontananzadi séa sé cheessiesperiscono- oppure,fingonodi nonesperireabbandonan• dosialloraallavarietàdellefigure pallidee stravoltedellapropriadeformazione. È ora, vorreidire, di prendere coscienzadel vincoloche stringe l'usodelsimbolismoaldestinoche vienesegnatoin ognigranulodel tempo.In ogninuovaoccasioneo istanzachesopravvienen, on·siriesce a ripeterequelloche è stato detto prima, perché il problema chesorgenon è quello di ripetereo disostituireunaversionedelmare; vorreidire: il problema è addirittu• raquellodinonripeterenemmeno piùquelcompito,se questosicredevache consistessenel dare una descrizioneavendodi miraun oggetto. Il fatto essenziale è, invece, quellodel sopravvenirsetessodella circostanza - il fattocheunacirco• stanzasopravvenga- che impone di dareespressionenon ad un og• getto,maallalontananza,alladif• ferenzaincuivienea trovarsiogni uomorispettoad ognipostazione finoalloraraggiunta,in cuiperaltro consistetutta lavitadelsuosé. Nonsiscrivecomese,conilpassar del tempo,vergandouna proposi• zionedopol'altraallafinesi com• pletasseil libroeh~descriveilma• re. Questolibro non si compone nellamanieraincuivieneriempito dallefirmedei visitatori l registro di unmuseoo di un istitutodi cultura. Potreianchedire:nessunogget• to ci ha maifattocambiareideao concezionep;iuttosto,lacircostan• za è sopravvenutaa partire da un'esperienzadi lontananzadi noi a noistessi.Nonsonostatiforse il rnare, i musei,le gite familiarila domenica, icinema,i teatri,ipranzial ristorante,nonsonostatiquesti i templidei piaceriche si tra• smutanoin inquietudine,disperazionee sofferenza'N? onsonostati il mare, i ristoranti,le gite altrettanterelazionididisagioe disofferenzadiunuomoconunaltro,dei figliconipadri,diunamoglieconil marito, di un ragazzocon i suoi fratelli?Queste realtà naturali e questi eventi non sono mai stati realiper se stessi,masonoesistiti come il tramitedi questidifficilie talvoltadurirapportiche gli uomini intrattengonotra loro e con se stessi. Il simbolismoletterarioè il precipitatochimicodi questerelazioni. M a ora bisognerebbeche tuttoquestononfossepresonel sensocheun nuovo bisognoinduceciascunodi noi a ridefiniresestesso,lecose,ilmondo. Questosarebbeun fraintendi• •mentoe ancheun viziodi forma, perché la parola 'bisogno'finisce percoprire nasconderperoprio ciòchedeveesserechiarito.E poi soprattuttpoerchélaparola'bisogno'èuna parolapersestessaemi• nentemente splicatrice come tale ingannevoleU. na parola, cioè, cheproprioperché è unae indivisa ha l'effetto di condensarein un fondamentocausale,saldoe certo, ciòcheinvece è fontediinquietudi• nee diproblemi.No,conlaparola 'bisogno'dovremmoricominciare daccapo,là dovegiànoneravamo soddisfatti.Nondiremoperciòche scriviamoperchéabbiamounnuo• vobisognop, erchéciòavrebbel'a• ria di dire che siamoin possesso dellaragioneo dellacausachecifa farequellochefacciamoe scrivere quelloche scriviamoN. oidobbiamoevitarel'ideadiavere il possessodiciòchecifascriverep, erchélo scriveree il rappresentaresonoil sintomodiciòcheinlineadiprincipio propriononpossediamoP. re• tenderedi sapereperchésiscriveo si rappresentacostituirebbequel• l'eccesso cheha l'effettodi togliere la ragionedi scriveree di rappresentare. Reale è invecel'esperienzanella qualesiamosottrattia quellochesi erao eravamostati,quandoincontriamoquel punto, ed è questoil puntoletterarioe il sensodellalet• teratura, a partiredalqualelepassate scritturee le concezionsicorronovia,e anzichéaprireunvarco si inerpicanoin uncumulodi difficoltàchesonoledifficoltàditratta• re con se stessinel modoin cuici siamo riconosciutifino allora. È quelloil puntoda cui si originail simbolismoc, he si dischiudenella differenzae nell'incessantseopravveniredi sé a sé. Loscrivere,ilrappresentareper immaginoi in frasimusicaloi ggisi possonocogliere,chelosisappiao no,daunamemoriainquieta dJ noi stessi. L'espressione pronuncia questa inquietudine;essa non ha giustificazionoicausealleproprie originie nonhanemmenounpunto terminaleincuiacquietarsiI.nutile pretenderedi andareda qualchepartevistochelaparteversola qualedovremmodirigerci èquella, saràsemprequella,nellaqualein uncertosensogiàcitroviamo.Non è infattichenoiabbiamoun destiQuestitermini,sepretendonodi descriverelasvoltao l'approssimazioneadunostatofinaledi liberazione,di disingannoe di smascheramento,tradisconoancoraun in• gannoo perlomenoun'ingenuità. Il segno,infatti, è significantesoltantodinamicamente,noninrife• rimentoa unacausaodorigine,o a un risultato finale. Non più di quantolaprimae l'ultimaletteradi unenunciatosianoresponsabildiel significatodi esso. 11 simbolismo non descrive nel sensoabitualedeltermine,ma è la ecodelmovimentocheri• suonalungoil tracciatodelledifferenzeedellediscrepanziencuisorge il sédi ogniuomo,diognibambinoe di ogniadulto.In quelcam• po, nelsopravveniredi ognicircostanza,cisonoilvecchio e ilnuovo linguaggioc; i sono il vecchioe il nuovomondo.Il sé di ogniuomo costituisceilcampodi forzechead essiappartiene;vivesoltantonella relazioneche li stringe insieme. Nonpotreiconsiderarequestare• !azionealdifuoridellasofferenzae dell'inquietudinenellequali ogni uomo è destinatoad incontrarsi con se stesso,né al di fuoridella circostanzacheeglisitrovia dover sempre edificarecon ì materiali delleproprierovine. -~'Quadrimestrale delCentrodiRicerca sullaTradizioneManoscrittdaiAutoriContemporaneUi.niversitdàiPavia Nelterzonumero: M.A. Terzoli:Il pozzosepoltodi Ungaretti L. Baldacci: Ruggero Jacobbicritico M. Porro:Le paginemorte.O. Bardazzi:Luciae il corpo O. Lucchini:L'atrarilera.Notesull'Adalgisa(I) Lettereineditedi Sabaa Montale Materialicriticidi E. De Marchi Inlibreria lire8.000 Abbonamentoperunanno(3numeri)Lire22.000 Inviarel'importoaCooperativaIntrapresa ViaCaposile2,20137Milano ContoCorrentPe~tale154'31208 no; piuttostonoi siamoil nostro destino.E ildestino è lavicissitudine dellenostredifferenzeche ha accesolelucisulmare,suglialberi, sullerocce,sui volti degli uomini cheabbiamoincontrato. Non ha senso a questo punto nemmenoaspiraread un nuovo linguaggiose questoimplicassela palingenesdi i un nuovomondoin cui poter sostare.Non ci sarà, in quelsenso,unnuovolinguaggioe, non ci sarà nemmenoun nuovo mondo,perchépropriamentenon è maiesistitoquell'altrolinguaggio chedovrebbechiamarsi'il vecchio linguaggio'~cosìcomenon è mai esistitaquell'entitàchepossachiamarsi'il vecchiomondo'. In questosenso,ogni uomo simbolico, checioè non viva soloper durare, è l'espressiondeocumentariadella coraggiosa violenzaconla qualeha strappatola propria esistenza. È inquestomedesimo senso chesipuòdirenonbanalmente che nonesisteun assettodi metodologiee di regolechediriganoe rendanopossibilel'espressionesignificantenellaletteratura,nell'arte e nellamusica;mache è piutto• stounprocessocriticoa partireda se stessichefinisceper apprestare latecnica,l'intenzionalitaàrtistica, ilsensodellaforma;ciascunoi propri, nonquellideglialtri. I pensierie i desidericheappartengonoal passatodi ciascunoe dell'umanitànon diventanofalsi perché hanno fallito in qualche prova;in questosensononavrebbero nemmenopotutoessereveri per un giornoo per un istante.Si dicenondimenochesonofalsi,ma siccomequestoconcetto è pregiudicatodal riferimentoa teorie,di• reiche il lorodiventarefalsiconsi• stesemplicementneellororisultare scoriee detriti,chead un certo puntovengonodepostiper un'iniziativachenon è dicarattereteorico, cioè sistematicoe deduttivo. Diventanofalsi,maquestotermi• nenondevesuonarecomeun tito• lospregiativop, erchéessosignifica semplicementcehe sono passati. Lagrammaticadellaparola'falso' dovrebbeessereritradottanei terminidellecircostanzeche propriamentenon causano,non pro• ducono,matuttaviasonolecondi• ziohinellequalibalenanogli spo• stamenti,le differenze- un'incessantevarietàdi spostamentei dif• ferenze- del sé il quale,comeun alonedai limiti ndefinitic, irconda ognipersona. Il sénon è ilfondamentoportan• te diquestodecorsodidifferenze di vicissitudini,ma l'estremitàdi uncampodiforzechehannonelsé il puntodi transitoe di scorrimento; il luogoincuipossonocompiersi comeeventi. Il sé non è perciò: <<ÌO penso», ma: «si pensa».In questosenso, «ioci sono»significa«: c'èun pen• siero, una forza di significazione chesiè sviluppatae lacuiestremità è giuntasinoa me».Maanchecosl il sénonsiconfondeconilconcetto di io, perchél'io è la semplicedenominaziondeiunaprovenienzdai significatid,iforzedisignificazione dei quali il sé è un antefattonon storicoodoriginario,mal'antefat• to supposto, il teatrodiconfrontie di differenze. Il sé è il giuoco di tutte le loro differenze,ma anche della loro tracciae memoria.Per questaragioneildestinodelsé è coslstretta• mente legatoallevicissitudindiel simbolismoe dei si temi rappresentativi. I pensiéridiventanofalsiad un certopunto;probabilmentele ragionichenel frattemposonostate addotteper dichiararlitalinonsarannostatebuoneovalideragioni. Restache i pensieriprimao dopo diventanofalsiadontadellecattive spiegazionirecate per spiegarne l'abbandono. El la parola'falso'che è divenuta oggi difficiledatratta• re; difficileprecisamente è la relazionechedi solitosi stabiliscetrailpensiero'falso'e leregioni per dichiararlotale. E questoavvieneproprioperchésivuolestabi• lirelatransizionetraquesteragioni e la nozionedi falso.Ma è questa transizionechepresumeun eccessodi saperedapartenostra.Falso non è unaproprietàdiunpensiero o di unenunciatoallostessomodo in cui bianco è la proprietàdella neve. Un pensieronon è· falso; piuttostodiventafalso.Maoranoi non dobbiamoritenereche lo diventia partireda un'origineo da unacondizionecheloconverteappuntoallasuafalsità.Nonesisteun processodel genere. Un pensiero diventafalsoper far postoad un altropensiero.Unpensierofalso è un pensierochevienecacciato.E vienecacciatodaunaltropensiero che stabilisceuno statodi incom• 1C mensurabilitàconil primo. .i Abitualmentesiritieneche il fal- &e so abbiadietrodi sé lo sfondodi Q. una discussioned, i una procedura ~ argomentativa;e invecequalora questeduecoseesistesseroi,lfalso ·i· continuerebbea sopravvivereN. o, §A il falsorisultae simanifestadifron- ~ te ad unanuovàespressioneche è ~ intransitivae, checonilpoteredel- e: lasuaintransitivitàcomandalade-. I cadenza dell'altro, precedente l pensi ro. l::ì

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