Modernoe individualità Louis Dumont Homo aequalis. 1. Genesi e trionfo dell'ideologiaeconomica trad. di Guido Viale Milano, Adelphi, 1984 pp. 347, lire 20.000 Giacomo Marramao Poteree secolarizzazione. Le categoriedel tempo Roma, Editori Riuniti, 1983 pp. 231, lire 14.000 I n Homo aequalis (uscito da Gallimard nel 1977 - l'autore ne ha annunciato un secondo volume), Louis Dumont propone un'analisi del moderno che ne accentua la discontinuità nei confronti delle società tradizionali e, soprattutto, ne difende il potenziale emancipativo. Ridotta all'essenziale, la tesi di Dumont è che 1. la transizione al moderno sostituisce l'uomo come individuo all'uomo come essere sociale, 2. questa sostituzione è il risultato della separazione dell'economico dal politico. La società tradizionale, naturalmente, non ignora l'individualità. Si tratta, tuttavia, di un'individualità relativa al soggetto empirico, biologico; il soggetto morale, al contrario, appare dotato di attributi inequivocabilmente sociali: fine dell'individuo sociale è mantenere la propria unità conservando l'ordine e l'armonia fra i suoi elementi costitutivi. In altre parole: le società tradizionali sono olistiche, antepongono gli interessi del tutto a quelli delle parti, subordinando il soggetto empirico (individuale) al soggetto morale (sociale). Quanto alla politica, essa altro non è che la forma di tale subordinazione e non può essere dotata di reale autonomia in quanto si presenta come gerarchia sociale fondata su valori che le sono estrinseci (etico-religiosi). Il processo di autonomizzazione della politica dalla religione non è tuttavia di per se stesso in grado di determinare il passaggio dalla società olistico-gerarchica a quella individualistico-egualitaria, anzi: proprio in quanto si è separato dalla morale, il politico ha dato vita alla figura moderna della subordinazione, allo Stato, il quale pretende lo stesso statuto 'totalitario' dell'ordine sociale tradizionale. In breve, è mutata la forma ma non la sostanza della subordinazione sociale dell'individuo. Il processo di autonomizzazione dell'economico produce effetti assai più radicali, perché l'economia si sottrae ai vincoli della morale presentandosi come spontaneamente orientata verso il bene. Dal punto di vista politico, il riconoscimento degli interessi egoistici (del bellum omnium contra omnes) richiede che essi vengano governati dalla macchina artificiale dello °' Stato; l'egoismo economico, al c::s contrario, genera spontaneamen- .5 ' g:> te, naturalmente', la ricchezza ge- ~ nerale, cioè il bene. -.:t- L'azione economica cerca la ~ ..... propria legittimazione ideologica ~ presentandosi come un tipo parti- .e § colare di azione umana che sfugge - alla moralità senza essere contra- ~ i:: ria alla morale. Ma l'azione eco- ~ nomica si autorappresenta anche i:! come rapporto diretto fra indivi- ~ duo e natura, lasciando arretrare g in secondo piano i rapporti interuc::s mani: «Non possiamo dire che l'egoismo diventi la norma, ma possiamo dire che la norma risiede nella prosperità pubblica, cioè essenzialmente nel rapporto tra uomini e cose, in contraddizione con la norma antica, che verteva sui rapporti tra uomini» (Homo aequalis, p. 128). O ffrendo un modello di azione morale sganciata dai rapporti fra gli uomini, l'economia costituisce l'individuo moderno come integrazione di soggetto empirico e soggetto morale. Questo individuo, isolato e astratto dal rapporto sociale, libero nel suo rapporto diretto col mondo degli oggetti naturali, rappresenta il nucleo di una ideologia che si dimostrerà capace di invadere l'intero orizzonte concettuale del moderno. A essa Dumont attribuisce il merito non solo di aver spezzato le forme tradizionali (gerarchiche) della subordinazione, ma anche di opporsi a ogni tentative di reintrodurre il primato dell'essere sociale attraverso nuove forme di dominio politico. L'ammonimento nei confronti delle ideologie politiche che criticano il primato dell'economico è particolarmente severo: «retrocedere l'economia significherebbe probabilmente far rinascere la subordinazione», e, dato che «la subordinazione nella sua forma normale, come valore, è fino a prova contraria estranea alla nostra ideologia», essa «non potrebbe dunque reintrodursi altro che in una forma vergognosa, patologica, cioè come oppressione» (p. 169). "èhe il monito sia ·quirivolto anche alle tentazioni olistiche del marxismo (comunismo come reintroduzione della supremazia del sociale sull'individuo) risulta evidente dal fatto che Dumont dedica tutta la seconda parte del libro al tentativo di accreditare la tesi secondo cui Marx non sarebbe (ad onta delle sue denunce sulla contraddizione fra natura sociale della produzione e carattere privato dell'appropriazione) un sociologo che fa dell'economia, bensl un economista che fa della sociologia. L'asserzione si fonda soprattutto sulle opere giovanili ma chiama iri causa anche gli accenni che Marx ha dedicato lungo tutto il corso della sua opera alla società futura. L'individualismo di Marx sarebbe di origine etica, risultato di un 'voto' rivoluzionario che coincide con una ininterrotta tensione emancipativa e che non sarebbe estraneo all'antagonismo di Stato e 'società civile', comune a tutti i fondatori dell'economia politica. In sostanza, secondo Dumont, il processo rivoluzionario delineato da Marx consisterebbe «nella soppressione del politico attraverso una prima fase che lo differenzia e lo isola, e una seconda fase che lo sopprime completamente. Ma qual è il significato di 'politico' qui? È, implicitamente, la subordinazione; nel feudalesimo la subordinazione impregnava tutti gli aspetti della vita sociale: la Rivoluzione l'ha isolata, confinata in una sfera distinta: non resta più che sopprimerla in una libera associazione di uomini, una associazione senza subordinazione né mediazione, ove il tutto non trascenderà più le sue parti, ma sarà soltanto immanente ad esse» (pp. 196-97). Carlo Formenti Qui tuttavia non emerge tanto un Marx individualista, quanto un Marx al di là dell'opposizione olismo/individualismo. E infatti, dopo che la sua tesi è incappata in numerose aporie, Dumont è costretto ad ammettere che la distinzione fra olismo e individualismo non ha radici strutturali nel testo marxiano se non identificandola alla distinzione storica fra società di oggi e società ideale. Con ciò viene in evidenza la debolezza di fondo del lavoro di Dumont: l'assenza di senso storico, per cui la discontinuità fra società tradizionale e moderno è tanto più radicale in quanto è giocata sul piano delle opposizioni strutturali (olismo/individualismo, gerarchia/egualitarismo, rapporti fra uomini/rapporti fra uomini e cose), trascurando gli elementi di continuità dei processi di lungo periodo. Sfruttando la terminologia utilizzata recentemente da Giacomo Marramao (Potere e secolarizzazione, Roma, Editori Riuniti, 1983), potremmo dire che Dumont analizza la genesi del moderno cogliendone gli elementi di laicizzazione ( affrancamento-emancipazione dell'individuo), ma trascurando quelli legati al processo di secolarizzazione (svolgimento-mondanizzazione di un nucleo teologico pre-esistente). E, appunto sul processo di secolarizzazione che si concentra il lavoro di Marramao, aggiungendo ai due volti della modernizzazione evidenziati da Dumont (emancipazione dell'individuo, autonomizzazione del politico dalla morale e dell'economico dal politico) un terzo, fondamentale livello: l'idea di progresso come dispositivo di legittimazione, che garantisce il riconoscimento e l'istituzionalizzazione del mutamento. Anche secondo Marramao i processi paralleli di autonomizzazione dell'individuo e della politica riescono a convergere solo grazie alla mediazione ideologica della «società civile»; tuttavia, secondo questo autore, non è l'economia a esercitare il ruolo più importante in tale direzione, bensì l'evoluzione di un soggetto morale che il cristianesimo ha «secolarizzato» assai prima che l'emancipazione dell'economico ne promuovesse la «laicizzazione»: «Nel crogiolo settecentesco prende fisionomia il destino dimidiato del mondo moderno, implicito nella naturale impoliticità - o politicità solo artificiale - del soggetto occidentale in quanto secolarizzazione dell'interiorità cristiana» (Potere e secolarizzazione, p. 23; cfr. più oltre: «la politica, per riacquistare legittimità, deve scendere a patti con la dinamica dell'interiorità espansa, che sotto le sembianze della Morale preme ormai come 'società civile'», pp. 30-31). Se il politico si rivolge alla società civile per fare fronte a un deficit cronico di legittimazione, non è per richiedere investiture dai nuovi valori di libertà e eguaglianza in quanto tali, ma per sfruttarne la capacità di rappresentare un 'progresso' storico che consiste in una versione utopistico-mondana dell'aspettativa escatologica. Il disprezzo religioso del mondo non legittima solo il dominio dell'uomo moderno sulla materia (l'azione economica), ma anche i suoi progetti per pianificare la storia, il tempo mondano: «la legittimazione di ciò che accade è, dunque, solo apparentemente intrinseca all'accadimento stesso: essa ha sede in una proiezione futurologica del mito prometeico dell'homo faber, nel presupposto, cioè, che senso e significato scaturiscano dalla prassi umana di appropriazione-trasformazione della natura e di pianificazione progettuale del tempo» (p. 39). Un altro punto su cui le tesi di Dumont e Marramao sul moderno possono essere utilmente messe a confronto è la relazione olismo/individualismo. Abbiamo visto come per il primo essa si presenti come opposizione radicale; colta dal punto di vista storico del secondo, ci appare piuttosto come una sintesi dialettica: «Occorrerebbe prendere in esame se, e in che misura, la stessa dimensione ( ... ) di 'autodecisione' e della 'coscienza del Sé' non dipendano - non già anche ma segnatamente - nel mondo moderno da modelli concettuali, codici simbolici e quadri metaforici di eterodeterminazione dell'agire dei 'soggetti' (... ) se, e in che misura, la chiave di questo meccanismo di eterodeterminazione non stia appunto nei pilastri categoriali portanti della modernità: 'progresso', 'rivoluzione' 'e (... ) 'liberazione'» (Potere e secolarizzazione, Introduzione, pp. XXV-XXVI). Il libro di Marramao è interamente dedicato al tentativo di dare risposta affermativa a questi interrogativi, ma tale risposta era già implicita in tutto il grande pensiero sociologico moderno e contemporaneo, da Marx a Luhmann. D enunciando l'aporia di un Marx individualista e olista, Dumont dimostra di non aver capito l'urgenza dell'utopia marxiana: Marx accoglie i valori di libertà e uguaglianza promossi dall'economia moderna, ma ne evidenzia a un tempo il processo di autodissoluzione come forme storicamente determinate. Il moderno (per Marx la società capitalistica) promuove il soggetto empirico della società tradizionale a soggetto morale (a Uomo astratto), ne mette in scena la sfida con la natura, lo emancipa dai rapporti gerarchici, ma lo assoggetta a rapporti sociali che non gli è più possibile riconoscere come tali, in quanto essi stessi hanno assunto l'aspetto di legge naturale. Tuttavia, oggi gli interpreti teorici più efficaci della tesi del moderno come unità di emancipazione e di assoggettamento dell'individuo non appartengono al campo marxista. Come già sottolineavo da queste pagine (cfr. C. Formenti, «La decifrazione del sistema», in Alfabeta n. 55, dicembre 1983), il funzionalismo sistemico di Niklas Luhmann propone un'analisi particolarmente convincente del processo in ragione del quale l'emancipazione dell'individuo si risolve nella sua riduzione ad «ambiente» dei sistemi sociali. Anche in Luhmann la genesi dell'individuo privato funziona da modello per tutti i processi emancipativi che caratterizzano la transizione al moderno. Tuttavia, egli non indica l'origine del movimento in un particolare sistema (politico, economico, religioso) bensl negli sviluppi dell'interazione comunicativa fra gli strati aristocratici dopo che questi hanno perso la funzione di rappresentare il codice simbolico unitario del mondo medioevale. n'inodello di int~azione cui faranno riferimento i codici dei sistemi sociali che verranno via via funzionalmente differenziandosi nasce dalla socialità vuota e gra~ tuita dei salotti di un'aristocrazia degradata a ceto cortigiano (cfr. N. Luhmann, Struttura della società e semantica, Bari, Laterza, 1983). «Soggetti» dell'emancipazione sono quindi i sistemi (politico, economico, ecc.) che vengono differenziandosi, mentre all'individuo spetta piuttosto il ruolo di centro di imputazione delle varie dinamiche sistemiche. I codici dei sottosistemi funzionali (potere, denaro, verità, ecc.) orientano le «libere scelte» dell'individuo, dilatando la loro sfera operativa fino a includere la totalità degli elementi del sistema sociale. Questo olismo dei singoli sottosistemi impedisce che si sviluppi un olismo di ordine superiore: il sistema sociale non può presentarsi come totalità organica perché le pretese totalizzanti dei suoi sottosistemi si fanno reciprocamente barriera, rendendo impossibile la costituzione di un 'centro' o 'vertice' ordinatore. Da questo punto di vista, le teorie di Dumont non sarebbero criticabili solo per l'affermazione della centralità dell'economia ma anche, soprattutto, per quella secondo cui il ritorno a una società olistica coinciderebbe con una regressione a forme totalitarie di dominio politico. In primo luogo, l'approccio sistemico dimostra che la società moderna non ha mai smesso di essere olistica: semplicemente, ha sostituito all'olismo tradizionale, che si autorappresentava attraverso i simboli dell'ordine gerarchico, gli olismi dei singoli codici sistemici. Inoltre, è evidente come, nella sua versione moderna compiutamente realizzata, il sistema politico si identifichi sempre meno con uno Stato cui è delegata la funzione residuale di rappresentare una unità e un equilibrio del corpo sociale ormai impossibili. Potremmo a questo punto concludere con un paradossale rovesciamento della tesi di Dumont: il vero rischio della modernità non è la tentazione di regredire a un olismo che essa non ha in realtà mai superato, bensì quella di persistere sulla via di una individualità tanto ipertrofica sul piano metafisico (pagheremo ancora a lungo le conseguenze della legittimazione del dominio umano sulla natura con i suoi guasti ecologici, culturali e politici) quanto •rachitica sul piano empirico (sul piano cioè dei vissuti individuali concreti che svolgono un insostituibile ruolo di vincolo ambientale al dominio dei sistemi sociali).
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