=---uestiodni.i.piccolo Gianfranco Bettetini La conversazioneaudiovisiva Milano, Bompiani, 1984 pp. 202, lire 25.000 Francesco Casetti Un'altravolta ancora. Strategiedi comunicazione e forme di sapere nel teler.Jmamericano in Italia Torino, Eri, 1984 pp. 214, lire 10.000 Jordi Pratt, Nora Rizza, Patrizia Violi, Mauro Wolf La ripresadiretta Torino, Eri, 1984 pp. 187, lire 5000 N elle ricerche sulla comunicazione audiovisiva, •e in particolare sul cinema e sulla televisione, esistono alcuni miti e alcuni luoghi comuni che sono duri a morire. Due indagini compiute per conto della Verifica programmi trasmessi (una sorta di ufficio studi della Rai appositamente • incaricato dalla segreteria del Consiglio di amministrazione e in contatto con la Commissione parlamentare di Vigilanza, e diretto da Nicola De Blasi e Giancarlo Mencucci) ce ne mostrano un paio, e ne propongono una definizione che cambia radicalmente le carte in tavola in materia. La prima, curata da Francesco Casetti, e con la partecipazione di un gruppo di ricercatori quali Fausto Colombo, Raffaele De Berti, Paolo Lipari, Alberto Negri e Dario Piana, si occupa del telefilm americano in Italia. Qui, il mito è offerto dal semplice fatto che il telefilm appare, nell'ultima stagione televisiva, come il carattere dominante della tv: colui che ha cambiato brutalmente gli indici dì ascolto di emittenti private e pubbliche (soprattutto in favore delle prime), ma anche colui che ha mutato i gusti del pubblico e orientato la televisione a un modo specifico di raccontare .delle storie: appuntamenti in serie, episodi di durata più limitata rispetto al film, narrazione povera e personaggi stereotipi. Il luogo comune, invece, è che il telefilm americano sia un prodotto di basso livello culturale, ripetuto all'infinito su una precisa traccia che costituisce un 'genere', e articolato pertanto su contenuti semplificati e intellettualmente banali, In particolare, del telefilm si è sempre messo in luce l'aspetto di rigidità contenutistica e macrostrutturale (quella che, infatti, è sempre stata la base del concetto di 'gé9ere': una tipologia di racconti, una tipologia di contenuti, una tipologia di personaggi o ruoli, una tipologia di situazioni classiche). La ricerca curata da Casetti, invece, tenta un avvicinamento diverso al telefilm americano. Innanzi tutto perché evita program- ~aticamente di pronunciare _giud_i: zi di valore anticipati e, piuttosto che tentare di rispondere alle ovvie e inutili domande come «perché piace?» o «perché ha successo?» questo tipo di pro~amma, prova invece a costruire una mappa dei meccanismi di funzionamento sia dei telefilm (ciò che i telefilm dicono, e dunque l'insieme delle conoscenze che se ne ricava) sia della fruizione dei telefilm (come i telefilm costruiscono un simulacro della loro fruizione, e dunque l'insieme delle competenze che essi attivano). S tabilita cosl la distinzione fra conoscenze e competenze •(ripeto: ciò che si ricava dal telefilm, e ciò che viene attivato nel fruitore del telefilm), si passa poi a identificare un modello combinatorio più complesso. Non tutte le conoscenze sono infatti uguali, e non tutte le competenze sono dello stesso tipo. E ancora: a determinate competenze corrispondono puntualmente nel programma specifiche conoscenze. PsT e,1s SI Casetti nel saggio introduttivo e poi gli altri autori, nei rispettivi contributi, segnalano una griglia generale di corrispondenze. A tre tipi di competenze (il saper inquadrare, che è una operazione classificatoria consistente fra l'altro nell'individuazione dei tratti distintivi del testo, nel loro collegamento e nella proiezione dell'insieme su tutto il testo; il saper unificare, che è invece una operazione definitoria consistente nel saper sopprimere il superfluo, nel raccogliere i tratti essenziali e comuni, nel riassumerli in una proposizione generale.; il saper distribuire, che è una operazione ordi~a!rice C<?nsiste_nte nel frammentare il testo in segmenti, nell'ipotizzare relazioni fra di essi, nell'individuare i criteri di concatenazione) corrispondono tre tipi di conoscenze. Al saper inquadrare corrisponde la: conoscenza del genere, che viene identificato in rituali (come i soggetti tipici o gli atteggiamenti dei soggetti) e formule (quali i Omar Calabrese contenuti canonici). Al saper unificare corrisponde la conoscenza dell'argomento, che viene identificato nel nucleo principale della storia (il personaggio principale, l'azione principale, l'ambiente principale). E infine al saper distribuire corrisponde la conoscenza della trama, che viene identificata con il riconoscimento del peso dei segmenti, della trasformazione di un segmento in un altro, della forma della struttura complessiva del racconto. Fissata cosl una griglia generale, che consente di dare un ruolo e un peso specifico,a ciascuna,com- .. ,.. I ,J 1 ~. che fungono da segnalatori dei modi di produrre il telefilm e dei modi per decifrarlo. Fra tali nodi testuali, De Berti sottolinea la sigla, il prologo (che anticipa spesso la sigla), e l'epilogo (che produce il segnale di lettura morale o ideologica), nonché ovviamente i nodi già ben conosciuti dalla critica tradizionale che sono le «scene chiave» (del tipo 'duello' nel western) e gli stessi personaggi. In più, vengono analizzati come nodi testuali anche alcuni momenti apparentemente solo tecnici, ma che invece guidano il riconoscimento del «stiamo vedendo un telefilm»: il NON RISPONDO A ~ESSUNA DOMANDA , SE PRIMA 1-JON 111 SONOCONSULTATO COL MIO AVVOCATO' .M, ~p .· 1,1 eolt'e r 1 =r CA?IS-Co.1/ =~ SergioStaino ponente narrativa del testo telefilmico e un ruolo e un peso specifico a ciascuna delle operazioni di lettura previste dal testo stesso, è evidente che dall'assemblaggio dei dati emergano alcune conclusioni sul modo di operare del telefilm nell'immaginario collettivo. Casetti, ad esempio, mette in luce il fatto che il telefilm americano non punta poi troppo sulla ste-· reotipizzazione dei contenuti, quanto piuttosto sulla regolazione delle competenze e delle relative conoscenze necessarie alla comprensione dei telefilm. Prevale, come dice Casetti, un «sapere di quadro»: il che, aggiungiamo noi, è funzionale alle necessità di durata nel tempo e di disattenzione fruitiva di questo tipo di programma. Una seconda osservazione viene da Raffaele De Berti (col capitolo Segnali): il telefilm, per rispettare quel meccanismo descritto poco sopra, non è un blocco rigido, ma irrigidisce alcuni «nodi testuali», montaggio analitico, la soggettiva, lo sguardo in macchina, il flashback, il flash-forward, la voce fuori campo. Sulla questione della netta prevalenza degli sfondi, del «sapere di quadro», ritorna anche Paolo Lipari nel capitolo Falso movimento, la cui tesi è la seguente: il telefilm ha una apparenza terribilmente frenetica, variata e ritmata, e sembra rappresentare un universo di oggetti, personaggi, situazio- ,,,.. . . . rum contmuo movimento; ma m realtà il movimento è falso, e sotto di esso riposa la «quiete» situazionale più assoluta, fatta di stereotipi, formule e schemi dati una volta per tutte. Infine, Fausto Colombo con Déja vu si occupa del tipo di memoria attivato dal telefilm, e, constatando il generale effetto di già visto che se ne ricava, ne conclude che essa è probabilmente tipica di una generale attitudine epistemologica della società di massa contemporanea: alla conoscenza inrmo tensiva, l'ampiezza e la rapidità dell'universo dei mass-media fa sostituire la conoscenza estensiva, dove dunque sono giustamente più necessarie le capacità di inquadramento degli oggetti in generi e specie che non le nozioni approfondite sui fenomeni individuali. Come si vede, nella ricerca curata da Casetti la conclusione generale è che il telefilm sia teso alla produzione di un «sapere di quadro». Tanto è vero che i ritmi ossessivi sono appunto apparenti, e il numero delle varianti resta funzionale al migliore mantenimento del quadro stesso. Mi soffermo soprattutto su questa fra le varie conclusioni perché mi riguarda personalmente. Nella ricerca viene spesso citato un mio lavoro dedicato per l'appunto al problema delle varianti e del ritmo del telefilm, e gli autori si dichiarano sostanzialmente d'accordo, pur nella diversa terminologia, con le tesi lì esposte. Io, invece, . ho l'impressione che siano sostanzialmente in disaccordo. In ogni passaggio della ricerca, infatti, si sostiene che la 'poetica' delle variazioni anche minuscole agli stereotipi è funzionale al mantenimento di un «sapere di quadro». A me pare, al contrario, che l'irrigidirsi del quadro sia funzionale all'emergere di una «estetica della variazione». Altrimenti se ne dovrebbe inferire che: se a qualcuno piace Dallas, gli piace perché . dice sempre la stessa cosa, ovvero perché il pubblico è come i bambini e vuol farsi ripetere la medesima storia all'infinito. E se invece il pubblico fosse adulto, e il quadro generale servisse da tavolo di gioco necessario, e . il piacere fosse invece nel minuscolo, nel particolare, nella variante? Due punti di vista opposti, come si vede. Ma solo nella conclusione, perché sul metodo e sull'inquadramento dell'indagine mi pare che il lavoro di Casetti e compagnia sia assolutamente esemplare. ' orniamo un momento al metodo. Si sarà notato che la ricerca appena descritta analizza il testo non solo in quanto enunciato, ma soprattutto in quanto macchina che contiene al proprio interno un simulacro di comportamento pragmatico, il comportamento dello spettatore. Nel campo della analisidel testo letterario è questa una tesi ampiamente ricorrente: da Ihwe, ad Eco, a Greimas e a molti altri ancora si è spesso cercato di ritrovare una fisionomia astratta e teorica per il Lettore in quanto operazione decifratoria del testo proposta dal testo come strategia. Nel campo del cinema e della televisione, invece, analisi di questo tipo non sono state fatte con frequenza. Il vuoto è stato riempito recente- , mente da un libro di Gianfranco Bettetini, La conversazione audiovisiva, che è tutto puntato sul rapporto esistente fra testo audiovisivo e spettatore astratto previsto dal testo stesso. La matrice teorica è duplice:da un lato c'è sicuramenteEco di Lector in fabula con la sua idea di Letfore Modello; ma·dall'altro c'è invece tutta una tradizione linguistica francese, a partire da Benveniste_perfinire a Greimas1 c~einvece di occuparsi dell'esistenzadi
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