Il senso della letteratura / 14 DialogotraMallarmé e unredattorediAlfabeta A lfabeta. Buongiorno Maestro. La disturbo? Sono qui per quell'intervista. Mallarmé. L'intervista sul cappello a cilindro? sul cosiddetto «haut de forme»? A. No no, Maestro! Sul senso della letteratura! M. Peccato. Quell'affare scuro, assolutamente soprannaturale che l'uomo ha cominciato a mettersi in testa ... Quante cose da dire! Richiederebbe un'opera intera, compatta, numerosa, astrusa, in parecchi volumi... Ci medito da tanto ... A. Sul cappello, Maestro? M. Pensi che ha spazzato via i diademi, le piume, le capigliature persino. E non si fermerà. A. Maestro ... , se permette vorrei ricordarle.. . M. Il mondo finirà, ma non certo lui. Forse, chissà!, è esistito da sempre allo stato invisibile. Del resto, chi mai lo vede oggigiorno? Tutti ci passano vicino, ma è chiaro che nessuno lo vede. A. È proprio così. Nessuno lo vede. Soprattutto oggi che, a differenza dalla sua epoca, nessuno o quasi porta più il cappello. È quindi giustissimo quello che lei dice. Se permette, vorrei però passare all'altro argomento, quello più serio. M. Guardi che per me l'argomento cappello è serissimo. Vuole una cosa da tenere tutta per sé? Ebbene, il cappello è il motivo centrale, benché nobilitato, sollevato di tono (di forma), di una mia poesia. Ma nessuno - tranne, forse, adesso, qualcuno - nessuno l'ha visto. A. Nessuno ha visto il cappello? M. Diciamo che nessuno ha vi-. sto il cappello quale è stato da me introdotto, nella sua forma alta, «haut de forme», in una delle mie poesie. A. Interessante. Ma qui siamo già forse nel cuore del nostro argomento. Se nessuno l'ha visto, vuol dire, non è vero?','che c'era una, certa oscurità... Intendo, non per la strada ma nella sua poesia... La sua celeberrima oscurità, Maestro ... M. Già. A. Quella per cui alcuni si disperano, altri si irritano e tanti ridono ... Non è forse n, in quell'oscùrità, che lei ripone il senso della letteratura? Della sua, per lo meno, che gli esperti reputano la più profonda di tutte ... M. Senta. Quando lei scrive è sicuro di scrivere proprio quello che ha in mente? A. Beh, in un certo senso sl, anche se so che è difficile esprimere compiutamente il proprio pensiero. M. Quindi una parte - piccola o grande che sia - di quello che lei vorrebbe dire rimane inespressa. ~ A. Penso di sl, penso proprio di .s ~ sì. ~ M. Allora lei ammette che ci sia '<:!- ~ """4 ~ 1 ~ ~ ~ una parte del suo pensiero che si sottrae - per sua natura propria - alle parole, una parte naturalmente non significabile. A. Eh sl, devo proprio ammetterlo. M. Bene. Allora ascolti. La i.: poesia, il verso e, in genere, tutta ~ la grande letteratura, anche in ;g_ prosa - giacché vi è sempre verso 1:1 là dove vi è tensione di stile -, il verso dunque mira a produrre, e cioè a presentare, proprio quella parte n, la parte non significabile, segreta - significante chiuso e sigillato -, che abita il fondo di ognuno. E lo fa mantenendone intatta la natura: vale a dire, la sua non significabilità in ·termini di discorso. Per cui l'oscurità, quellà che alcuni - del resto in base a certe mie affermazioni - hanno chiamato oscurità, non corrisponde altro che a un uso diverso del linguaggio, impegnato a presentare non la parte chiara - il discorso vi basta - ma quella parte che il discorso è impossibilitato a dire. Non si tratta, naturalmente, di portare alla luce, e cioè di mettere in chiaro, significati oscuri, bensl di riuscire ad articolare all'interno I I ' j .J I I ( f del discorso, ma senza ridurvelo, quanto, per sua stessa natura, è fuori del discorso, dato che non ha significato né può mai accedere al significato. Rispetto reciproco, da una parte e dall'altra. A. • È straordinario. È proprio tutto if contrario non solo di quanto si proponevano i romantici ma addirittura di quanto si prefiggeva un~.certa scuola degli inizi di questo secolo: i surrealisti, si chiamavano. M. Infatti - almeno per i romantici. Quanto agli altri, quelli che lei ha chiamato i «surrealisti» (che orribile appellazione!), non so proprio. A. Sì sl! è così. Il grumo emot1Stefano Agosti vo dei romantici o l'inconscio dei surrealisti si manifestavano in quanto discorso, venivano insomma fatti rientrare nell'universo dei significati. Le loro operazioni - identiche nel fondo - comportavano, in teoria oltre che nel fatto, il passaggio dall'informe alla forma, dall'oscurità alla chiarezza. Dire che un uomo passeggia con la propria testa in mano, è un discorso chiaro, non è vero? Invece lei, mi par di capire, lei mantiene oscura l'espressione stessa, la forma del discorso. Tutto il suo discorso sarebbe (è) invaso da quell'oscurità che secondo lei costituisce il fondo autentico di ciascuno di noi. È cosi? M. Più o meno. Interessante comunque quello che lei dice sui ro- ·--- Cade/o mantici e gli esponenti di quell'altra scuola. Vedo con soddisfazione che la scienza del letterario - giacché solo la scienza ne può assicurare un approccio pertinente, non divagatorio - ha fatto un considerevole progresso. Ai miei tempi, la speculazione sulla letteratura era solitamente del tipo intuitivo, anche per la mancanza d'un armamentario adeguato. Quando ho praticato questo genere sono stato costretto, per non incorrere nello stesso errore, a crearmi tutta una strumentazione personale, relativa a quella che ho voluto chiamare la scienza dei segni. Ma per non inaridire il tutto, ho appoggiato il genere a una sorta di lirismo teso, ellittico, a forte evidenza sintattica, che mi sembrava potesse corrispondere a un genere nuovo, che di fatto non credo sia ancora nato: il «poema critico». Ho pensato anche, un istante, a un lavoro di linguistica pura. Ne avevo abbozzato l'impianto in quanto «metodo»: proprio nel senso in cui Descartes adopera questo termine. Per tornare comunque alle sue osservazioni, vorrei precisare che l'oscurità di cui lei parla non è qualcosa di informe, di compatto, zoccolo monolitico e inintaccabile sotteso ai processi discorsivi, o polla d'acqua buia cui attingere per irrorare di una qualche tenebra il vano strato di intelligibilità del discorso ordinario (ammetto che l'immagine del calamaio da ( I \ I ( cui prelevare la goccia della Notte abbia creato più confusione che al- •tro) ... A. Mi scusi, ma credo che proprio in questo equivoco sia caduta una scuola italiana di poesia che si richiama incessantemente a lei: ermetici, venivano detti... M. Ah ... Sono desolato... Comunque, nòn si tratta di questo. Si tratta invece della struttura d'un rapporto sottratto al discorso comunicativo ma presente alla coscienza quasi con la precisione di una formula algebrica. A. Credo di capire. Ma non potrebbe farmi qualche esempio? M. Volentieri. Supponga che la sua coscienza registri, in una data situazione, una dualità come unità, oppure la compresenza di due oggetti diversi in quanto potenzialmente costitutivi di un terzo oggetto, oppure l'istanza, latente, di un determinato stato (mentale o fisico) all'interno di un altro stato o di una serie di stati, e cosl via. In tutti questi casi, quello che abbiamo chiamato il discorso, e che corrisponde a una certa struttura logica (convenzionale) organizzativa del mondo, il discorso - ripeto - si trova letteralmente impotente. Ma non il verso (la letteratura) -:- che si potrebbe anche definire, a questo punto, nei termini d'un'interrogazione radicale incessantemente posta al linguaggio. Come vede, distinguo fra linguaggioe discorso, nel senso che quest'ultimo sfrutta solo una parte delle possibilità insite nel primo. Immagini allora, ad esempio, che io costruisca una frase ove un determinato indice pronominale sia suscettibile di applicarsi a due diversi elementi della proposizione; oppure che una circostanziale oscilli, indecidibilmente, fra un completivo di nome e un completivo di verbo; o ancora che io designi - senza nominarlo mai - un oggetto tramite una serie di definizioni inclusivedi denominazioni di altri oggetti fra loro relazionati, ecc. ecc.; ebbene, in tutti questi casi, e cioè attraverso tutte queste operazioni, avrò prodotto situazioni di senso del tutto coerenti rispetto a quei dati iniziali della coscienza cui accennavo prima, ma del tutto estranee rispetto ai contenuti normalmente veicolati dal discorso e che si definiscono come «signifi<;ati».Pensi anche alla possibilità di fabbricare proposizioni che, sotto l'involucro d'un significato usuale o addirittura indifferente (c'è tutto da guadagnare a sviare il pigro, soddisfatto che niente, lì, lo riguardi direttamente, a prima vista), sviluppino, grazie ali'uso di speciali parole-cerniera, più percorsi di senso, non virtuali ma realmente attuati dentro la grammatica e il lessico... A. Ah ... le poliisotopie... Anche Rimbaud ... M. ... oppure, sempre per fare esempi un poco più complessi, che l'oggetto soggiacente a una trasposizione figuri, nello stesso componimento, in quanto lettera di una seconda trasposizione il cui oggetto rinvia alla prima, e che tutto il componimento non sia perciò altro che la mensurazione-neutralizzazione della distanza che intercorre fra oggetti reciprocamente lontanissimi e, per ciò stesso, fra classi... A. Maestro, quello che lei dice, quello che lei fa, è prodigioso. Ma se ho capito bene, il senso prodotto da tutte queste straordinarie operazioni sul linguaggio, e a cui il discorso fa da supporto senza contenerlo ... M. Supporto indispensabile, è una garanzia ... A. Appunto. Quel senso lì, dunque, non le pare più un prodotto della sua poesia che non della poesia in gene~e? M. Guardi: ogni epoca; o, se preferisce, ogni autore di una certa levatura, ha mirato più o meno a questo che le sto dicendo. Pensi solo agli istituti tradizionali del verso: alla rima, che l'alessandrino1 in mani esperte, tende a pro-
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