Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

Maurice Blanchot L'inf'mitointrattenimento trad. di Roberta Ferrara Torino, Einaudi, 1977 pp. 576, lire 10.000 Jacques Rolland «Simone Weil ed E. Lévinas: de-creazione e dis-inter-esse» relazione al convegno ContinenteSimoneWeil. Esplorazioni (Reggio E., 11-12novembre 1983) Alessandro Dal Lago «L'etica della debolezza. Simone Weil e il nichilismo» in Autori vari Il pensierodebole a c. di G. Vattimo e P.A. Rovatti Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 259, lire 16.000 Simone Weil «L'agonia di una civiltà nelle immagini di un poema epico» e «L'ispirazione occitanica» trad. di Giancarlo Gaeta in In formadi parole Manuale secondo Reggio E., Elitropia, 1983 pp. 363, lire 18.000 N on c'è dubbio che il pensiero di SimoneWeil, in questi ultimi tempi oggetto di un sorprendente e per certi versi inaspettato interesse, possa essere considerato una sorta di stenografia concettuale di alcuni problemi del Moderno. I capitoli di questo straordinario itinerario mentale descrivono una vera e propria esperienza interiore, dominata dalla costellazione concettuale, plurima e contraddittoria, del desiderio impossibile, della sventura (malheur), della rinuncia e dell'attesa. È stato Maurice Blanchot, in un notevole scritto del 1957, «L' affermazione (il desiderio, la sventura)», raccolto in volume nell'Infinito intrattenimento, a considerare per primo queste nozioni come una sorta di percorso fenomenologico, in grado di consentire una piena espressione all'esperienza interiore. In questo contesto il desiderio dell'impossibile e il dolore sono i soli dati comunicabili nel corso dell'esperienza, anzi sono la condizione che realizza ogni comunicazione, posti come siamo sotto il segno della disimmetria e dello squilibrio dei rapporti umani. La Weil pone il dolore e la sventura, accompagnati dai loro correlati attivi, attenzione e attesa, oltre ogni loro connotazione•meramente mistica, al grado zero di ogni esperienza umana - sono l'aurora del dicibile. Apparentemente sembra intendere l'esperienza interiore come esperienza della lucidità e della chiarezza, come possibilità di un pensiero sottoposto, ancora una volta, alla metaforica della luce e del vedere. Una prospettiva, quest'ultima, che Blanchot stesso non manca di sottolineare come destino singolare «di tutto il pensiero occidentale in cui l'essere, la conoscenza (sguardo o intuizione) e il logos devono essere considerati in termini di luce» (L'infinito intrattenimento, p. 339), obbligandoci a «pensare garantiti dalla luce o sotto la minaccia dell'assenza di luce» (ivi,"p. 38). Ma nella prospettiva dell'origine di ogni pensiero, da cui spesso si pone la Weil per valutare il senso e i_risultatidell'attiviturediSimone.Weil tà intellettuale dell'uomo, esso assume l'aspetto meno limpido e meno trasparente di un fondo dal doppio volto, caratterizzato da un dissidio incolmabile e infinito. Da una parte, abbiamo il costante incremento di potenza significante realizzato dal pensiero attraverso lo straordinario sviluppo delle matematiche moderne. Queste ultime sono scienze dei rapporti puri e disincarnati, segni e notazioni abbreviati di una potenza e di una forza tesa a garantire l'adeguato rapporto tra «l'aspirazione del pensiero umano e le condizioni oggettive del suo realizzarsi», in modo da trasformarsi vantaggiosamente in scienza e tecnica. Dall'altra, poste in una lacerante tensione con gli aspetti cartesiani del pensiero, vi sono l'attesa e la attenzione. Con queste due forme affettive Simone Weil vuole giungere al punto in cui il potere sugli uomini e le cose, inteso come libertà di disporne smisuratamente e sotto le mere condizioni della scienza e della tecnica, non costituisca più «la misura di ciò che bisogna dire e pensare» (ivi, p. 162). Blanchot sottolinea l'aspetto apparentemente contraddittorio e paradossale dell'impostazione weiliana per cui pensare l'attesa significa «unire il pensiero a quell'impossibilità di pensare che esso costituisce per se stesso, quasi come un centrò ( ... ). E allora il centro .del pensiero è ciò che non si lascia pensare» (ibidem). Merito del vecchio saggio di Blanchot è l)ver richiamato insieme l'attenzione sul pensare di Simone Weil e sul suo stile nei termini di un'esperienza-limite, che si pone come esigenza radicale un'idea diversa di pensiero oltre che una forma-pensiero diversa dalla tradizione filosofica occidentale. Il pericolo corso da questa impostazione interpretativa è quello di accentuare oltre misura l'aspetto esperienziale e quasi iniziatico dell'opera weiliana, con l'esito quanto mai sterile di un biografismo modulato nei casi migliori (come la Biografia di un pensiero di Gabriella Fiori, ed. Garzanti) sul registro della partecipazione emotiva ma, più spesso, diluito nel manierismo agiografico e paraesistenziale che è un modo di leggere immediatamente, con effetto di doppia riduzione, la biografia come pensiero e il pensiero come una sorta di biografia intensificata, valorizzata e approvata nel suo valore di verità esemplare dalla sanzione di una vita autenticamente vissuta. È invece importante che la figura intellettu~le della Weil, anche se straordinariamente intessuta di elementi che ne fanno un pensiero vissuto, sia comunque restituita allo spessore teorico proprio della sua meditazione. D a que~ta angolazione il pensiero vissuto assume più facilmente e più correttamente i tratti di una compiuta esperienza filosofica e culturale; non certo la caratteristica nai've di un pensiero incompleto e sottoposto alle contingenze della biografia, ma l'~indiscutibile e rigorosa esigenza» di u~ pensiero che - come ha sottolineato Jacques Rolland in una densa relazione tenuta al con- _vegnosu Continente Simone Weil. Esplorazioni, organizzato dall'Istituto E. Mounier a Reggio EmiRiccardo De Benedetti lia nel nov~mbre 1983- è capace di imporci il confronto con le categorie che lo costituiscono. Un confronto di questo tipo è stato appunto condotto dallo stesso Rolland quando ha posto in relazione, ovviamente differenziandole, la nozione di dis-inter-esse in Lévinas e quella di de-creazione nella Weil.. La posta in gioco è sembrata la nozione di passività verso cui l'etica levinassiana e quella weiliana conducono pur da angolazioni differenti. La Weil è alla ricerca di un linguaggio ché possa esprimere compiutamente la condizione di separatezza radicale sperimentata dall'uomo moderno nella sua relazione con gli altri. Ma come per il Benjamin delle Tesi di filosofia della storia il nanetto della teologia muove i fili del fantoccio materialista, così per la Weil il linguaggio teologico è, inversamente che la metafora benjaminiana, il fantoccio che esprime l'idea dell'Altro, l'Estraneo al di fuori e al di sopra di noi. Dio è la figura di questo rapporto, è l'immagine dei nostri rapporti con gli altri. Se, per un consenso imperscrutabile dato alla propria autolimitazione e al proprio ritrarsi, Dio è capace dell'unico atto di gratuità amoroso in grado di lasciarci essere, questo atto esige, per la Weil, una contropartita che sia altrettanto gratuita, la de-creazione appunto. È questo il punto di remissione dell'essere creaturaComes le a Dio, di un essere che deve la propria esistenza a una volontà estranea e che quindi, attraverso una sorta di abdicazione al diritto di dire io, restituisce il debito della propria esistenza. Per Rolland sembra questo il momento comune a Lévinas e alla Weil, dove per il primo si tratta di pensare radicalmente l'apertura dell'io individuale capace di relazionarsi ad altri: passività, vulnerabilità del soggetto, sensibilità come «pura esposizione di sé», essere ostaggio nelle mani di altri, sono tutte espressioni che indicano il rivolgimento dell'io-creatura verso la radice del proprio essere o, nel linguaggiodi Lévinas, il movimento di dis-inter-esse dell'io nei confronti d'altri. Rolland non ha mancato di sottolineare, oltre la sinonimia delle due nozioni, il senso diverso che pure i termini conservano nei due autori. La condizione radicalmente etica descritta da Lévinas non permette nessun salto al di là del prossimo e quindi la sua prospettiva è sottoposta alla proibizione di «ogni desiderio mistico di contatto con Dio, ogni mistica speranza di 'pervenire davanti alla presenza stessa di Dio'» (un ritegno che affonda le sue radici nell'ebraismo: Mosè riceve le tavole della Legge da un dio che gli volta le spalle). L'accentuazione mistica che secondo Rolland la Weil dà della decreazione, specie nei Cahiers, quel desiderio di «voler essere tutto» in Dio e nella infinita gioia del suo essere al contrario di Lévinas, rimargina la «ferita della sovversione dell'io, perché questa sovversione era da sempre orientata verso un punto di arrivo migliore ·del punto di partenza - come se la sovversione dell'io fosse solo il suo modo di cadere in piedi»., Resta comunque acquisito il cuore stesso della riflessione weiliana, dove la doppia destinazione della condizione umana può benissimo essere espressa dalle parole di Joe Bousquet (la Weil era andata a trovare lo scrittore nel 1941 nella sua stanza di rue de Verdun a Carcassonne dove, invalido, accoglieva i suoi numerosi amici artisti e poeti; Bousquet ricevette in quell'unico incontro con Simone una sua poesia dal significativo titolo Necéssité): «L'uomo è libero: libero, cioè, di annullare il suo corpo col suo spirito e di legare il suo spirito al suo corpo, come in ciascuno di questi stati che si invertono egli si possiede interamente; la·sua libertà consiste nell'entrare in circuiti d'attrazione opposti o anche contraddittori». Certo, una libertà limitata da quei due verbi (annullare e legare), che la rendono più simile all'accettazione della necessità che non al progettarsi smisurato e onnipotente di ogni azione che si dice libera. 11 tema della necessità e della debolezza nell'etica di Simone Weil è affrontato da Sandro Dal Lago nel saggio «L'etica della debolezza. Simone Weil e il nichilismo», compreso nel volume collettivo Il pensiero debole. Nella prospettiva aperta da questa lettura, decidersi per il dissolvimento del corpo nello spirito e, viceversa, intensificare il legame che quest'ultimo mantiene con la materia, sembra comunque una falsa alternativa. Che si tratti di affermare la capacità di affrancarci dai processi naturali o di consentire a essi per meglio controllarne gli esiti, ci troviamo sempre abbandonati alle cieche leggi del reale. Lo spazio di questi problemi è quindi occupato dal lacerante «d~~lismo di partecipazione e distacco» che caratterizza tanta parte del pensiero moderno (utile a questo proposito l'inedito accostamento tra la Weil e Max Weber offerto dal saggiodi Dal Lago). La posizione di scelta tra estremi sperimentl11adall'uomo moderno non è solo una condizione d'esistenza individuale ma una sorte e un destino che si allargano fino a comprendere la società umana nel suo insieme e il tempo storico in cui essa emerge f si spegne. Testimoni~nza di questa riflessione weiliana sulla storia della civiltà occidentale sono, insieme agli altri saggi politici raccolti in Ecrits. h_~tq,Jques et poJitiques, i due articoli «L'agonie d'une civilisation vue à travers un poème épique» e «En quoi consiste l'inspiration occitanienne?», pubblicati originaria:mente dalla rivista di Jean Ballard Cahiers du Sud nel 1943, in un numero speciale dedicato a «Le génie d'Oc et l'homme mediterranéen>>. I due saggi (ora molto opportunament~ tradotti in In forma di parole, manuale secondo, e corredati da due lettère dello stesso periodo che testimoniano dell'inte-· resse di Simone per le correnti mistiche a carattere dualistico non solo cristiane ma anche musulma- ' ne, come quei «Fratelli della purezza» i cui testi Henry Corbin stava allora cominciando a studiare sistematicamente) descrivono con l'aiuto della Chanson de la Croisade contre les Albigeois, un poema epico·medioevale, la lotta di sterminio condotta dall'Occidente cristiano contro l'eresia albigese. È al lavoro, in questa particolare vicenda storica, la forza - mai stanca e vacillante - dell'opposizione e del fronteggiamento reciproco dei simili in seno alle formazioni sociali. Un confronto destinato a non esaurirsi mai e che al massimo può condurre all'instaurarsi di un ordine privo di armonia perché fondato sull'espulsione, l'esclusione e la messa al bando di ogni diversità a vantaggio di una omogeneità riduttiva e semplificatrice. La crociata contro gli Albigesi è ancor più significativamenteposta all'origine stessa dell'idea di Occidente come luogo e area geografica, ma ancor più spirituale e morale, in cui la forza ha ottenuto piena e sovrana legittimità. Lo spazio dell'Occidente è il luogo politico per eccellenza dove la coesione sociale e l'attenuazione del conflitto avvengono nell'unica .forma della composizione delle forze e dell'alchimismo delle violenze (basti ricordare il ruolo che la soppressione delle guerre di religione ricopre nella costituzione del politico in Hobbes). , Il tempo della storia':è il tempo della forza, dell'esercizio variamente modulato di un potere che rende gli uomini cose, non solo dal lato di chi patisce la violenza ma anche di chi è costretto ad esercitarla. L'illusione dei progetti di mutamento sociale che la Weil vedeva elaborarsi nel suo tempo, e a cui non aveva mancato di dare la propria appassionata e ctjtica adesione, era quella di colloc1re il Bene da realizzarsi in un diverso ordinamento delle cose Uflilane,in una cronologia, in una successione temporale di event~parziap che di fatto degradavano ti Bene a forza tra altre forze, contaminandolo nello spazio che l'Occidente offriva all'intolleranza e alla rottura .di ogni antico senso della misura. Può essere - come quakuno ha affermato - che il conflitto descritto dalla Weil sia l'estrema semplificazione di una lotta finale tra bene e male, spirito e materiai- che in fondo poco ci riguarda ,e che non ci è consentito di utilizzare nella concreta valutazione dei conflitti reali tra uomini e potJn che sconvolgono la Storia - e il sospetto lanciato sui sacri principi dell'89 può risultare sgradevole e fastidioso. Ma un pensiero che, come l'angelo di Benjamin, guarda all'indietro verso i detriti di quella che è pur sempre la nostra storia, può risultare più utile e meno illusorio di ogni altra verità della storia cercata nell'ipostasi dei suoi principi.

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