Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

/ELIA L/ELIA Catalogo 1983-84 Giorgio Messori & Beppe Sebaste L'ULTIMO BUCO NELL'ACQUA racconti brevi pp. 102 Lire 8.000 Amelia Rosselli APPUNTI SPARSI E PERSI poesie eframmenti pp. 151 Lire 10.000 Livia Candiani FIABE VEGETALI prosa e poesia pp. 87 Lire 10.000 Carlo Bordini PERICOLO poema pp. 76 Lire 8.000 abbonamento all'intero catalogo . Lire 30.000 fuori collana: Igor Patruno PASSAGGI romanzo - pp. 83 Lire 9.000 nel prossimo catalogo: Patrizia Vicinelli NON SEMPRE RICORDANO Enzo Crosio FERLINGHEffi BAR Peter Bichsel STORIE SULLA LETTERATURA Marco Papa LE BIRRE SONNAMBULE Roberto Parpaglioni MARIANNA LA PAZZA Redazione e vendita per corrispondenza: AELIA LAELIA Casella postale 181 42100Reggio Emilia e.e. postale 10577427 Distribuzione: C.I.D.S. ViaContessa di Bertinoro, 15 00162Roma, tel. 06-4271468 Incontri internazionali di teatro anno quindicesimo lncontroazione 84 28 novembre-2 dicembre Europa: nuova danza Programma Giovedì 29 novembre ore 21.15 Video-film e introduzione a cura di Leonetta Bentivoglio (materiali: Pina Bausch e theatre de I'arche) Venerdì 30 novembre ore 21.15 Folkwang Tanzstudio Essen (Germania) Susanna Linke: «Solo performances» ore 17.00 Seminario a cura di Leonetta Bentivoglio Sabato 1 ° dicembre ore21.15 Compagnie de danse L'Equisse - Parigi «Terre battue» «Les noces d'Argiles» Coreografie di Joelle Bouvier e Regis Obadia ore 17.00 Seminario a cura di Leonetta Bentivoglio Domenica 2 dicembre ore 21.15 Valeria Magli: «Pupilla» - Milano Informazioni: laboratorio teatrale universitario Palermo Vicolo Sant'Uffizio, 15 - Palermo Tel. 091/322264 ore 16.00-20.00 prima che fossero trascorsi una diecina di giorni. 1 Naturalmente, non mancano esempi, seppure minoritari, di opposte abitudini, come fra i Mongoli e i Caraibici che davano subito i loro morti in pasto rispettivamente ai cani e ai pesci carnivori. D'altro lato, in occasioni del tutto particolari quali le epidemie del III secolo a.C., anche i Romani gettavano precocemente i loro morti nelle acque del Tevere (A. De Bernardi-P. Baima Bollone, «La dimostrazione della realtà della morte nel suo divenire storico», in Giornale di Batteriologia, Virologia ed Immunologia, 1969, LXII, PP. 915-46). È però solo relativamente da poco, a cavallo dei secoli XVIII e XIX, che la possibilità della morte in sepolcro pare angosciare maggiormente, tanto da essere tema costante non solo del teatro e della letteratura, ma anche delle deposizioni testamentarie, in cui venivano spesso espresse precise e dettagliate precauzioni riguardo al destino del corpo, da rispettare rigorosamente dopo la morte. Tali precauzioni consistevano, da un lato, nel lasciare trascorrere un lungo periodo di tempo prima della sepoltura e, dall'altro, nell'essere lasciati intatti nel proprio letto per tale periodo e, per taluni, nell'essere sottoposti anche alla scarificazione o alla imbalsamazione, che così diventava, da mero strumento di conservazione del cadavere, un mezzo comune di verifica della morte. Tale funzione di verifica è d'altra parte rintracciabile, secondo alcuni storici, anche in alcuni riti della sepoltura quali la «conclamatio» (chiamare ripetutamente a voce alta il nome del defunto), l'uso della toilette funebre, l'abitudine di lasciare il viso scoperto e il cordoglio con le sue manifestazioni rumorose. Proprio negli anni in cui si diffonde il panico di essere sepolti vivi comincia ad affermarsi l'idea che l'accertamento della morte debba essere effettuato da un medico, e l'esigenza di stabilire norme razionalmente articolate riguardo al periodo di osservazione dei deceduti. In Francia, nel 1740, l'Accademia delle Scienze raccomandava la visita necroscopica e l'attesa di 2448 ore prima dell'inumazione. Nel 1792, tutta la disciplina funeraria, che in precedenza competeva alle I autorità religiose, passò all'ufficiale di Stato civile. In Lombardia, con l'editto del 1762, si stabilì che «i morti entro quattro giorni di:malattia, compresi quelli di morte subitanea, non possono chiudersi in cassa ( ... ) prima delle 40 ore dopo seguita la morte, e quelli ctie muoiono di altro male, o dopo quattro giorni di malattia, non possono trasportarsi prima delle 24 ore». Il cadavere, inoltre, doveva essere lasciato «a letto, fornito di coperte adatte alla stagione, colla possibile pulitezza, a finestre chiuse se sarà d'inverno» (De Bernardi-Baima Bollone, p. 922). Analoghe disposizioni si andavano diffondendo un po' ovunque. Così, nello Stato sardo-piemontese prima, e nel Regno d'Italia poi, v.ennestabilito che il seppellimento non potesse avvenire prima di 24 ore dal decesso e di 48 in caso di morte subitanea o improvvisa. Tali sono, del resto, i tempi previsti ancora oggi dal nostro Regolamento di polizia mortuaria, quando l'accertamento della morte non si compia con l'ausilio strumentale e in casi del tutto particolari, quali il prelievo di orgapi a scopo di trapianto terapeutico. Sempre negli ultimi anni del Settecento, in Germania venivano istituiti i «vitae dubiae asyla» (il nome non lascia ~ncertezzesui problemi dell'epoca!), dove il cadavere, fino all'instaurarsi dei fenomeni putrefattivi, era s'ottoposto a osservazione, magari, con l'ausilio di campanelli legati alle estremità,' come sistema di allarme per segnalare eventuali movimenti del corpo. Come si vede queste pratiche sembrano tutte dettate non tanto da particolari concezioni della morte, quanto dalla immediata preoccupazione di definirla e diagnosticarla attraverso criteri e metodi certi, prima che l'intervento dei fenomeni putrefattivi la renda oltre che certa anche ovvia. Processo o evento Considerata la. morte prevalentemente in senso negativo, come assenza di vita, sua cessazione, estinzione delle funzioni vitali, il momento del trapasso è stato fatto coincidere ora coh l'esalazione dell'ultimo respiro, ora con la cessazione del battito cardiaco o, talora, dell'attività neuromuscolare. Se i mezzi usati fin dall'antichità erano il non opacamento dello specchio, l'immobilità del filo o della fiammella di candela posti dinanzi alla bocca del soggetto, successivamente, e ancora oggi - sulla base di più approfondite conoscenze fisiopatologich,e-, maggiore attenzione è stata posta alla presenza o meno del battito cardiaco, nella convinzione che «cor primum vivens, ultimum moriens» - questo nonostante i problemi relativi almort, Parigi 1802, p. 162). Il passaggio dalla vita alla morte non è quindi fatto istantaneo (evento), ma graduale (processo), che si realizza attraverso fasi successive, giacché la mòrte dell'intero organismo umano («dissolution of the whole organism»), rappresentata dalla morte biologica, non coincide, ma anzi è preceduta u.ecessariamente dalla morte dell'individuo («dissolution of the organism as a whole»), cioè dalla morte clinica, mentre singole cellule, o gruppi, possono continuare a vivere più a lungo, senza che questo significhi sopravvivenza della persona in quanto tale. Questo tipo di problema trova per altro un riflesso linguistico nella doppia definizione della parola 'morte' (death) riportata, diversamente da altri, dallo Oxford EnglishDictionary: «1. The act or fact of dying. 2. The state of being dead» (L'azione o il fatto di morire - L'essere morto)i La gradualità del passaggio dalla vita alla morte si è venuta indubbiamente accentuando con il progredire delle conoscenze medicoscientifiche e con l'avvento della moderna rianimazione, che ha permesso il verificarsi di situazioni in . cui è possibile la dissociazione delle attività del noto tripode (cardiaca, respiratoria e nervosa). In altre parole, mentre in passato le tre funzioni vitali erano assolutamente r-·······················, ;Duelettere; idaspedire i i a testessoi ! alfabeta ! ■ Mensile di informazione culturale ■ ■ A chi si abbona entro il 31 dicembre 1984 in omaggio il volume ■ ■ Parole sul mimo di Etienne Decroux ■ ■ Edizioni del Corpo, Milano ■ ■ Abbonamento per un anno (11 numeri) Lire 40.000. ■ ■ Inviare l'importo a Cooperativa Intrapresa ■ ■ Via Caposile 2, 20137 Milano ■ Conto Corrente Postale 15431208 .. ■■■Campagna abbonamenti 1985■■■_. l'apprezzamento e obiettivazione dei movimenti cardiaci: è solo dei primi decenni dell'Ottocento il diffondersi dell'ascoltazione cardiaca, e dell'inizio del nostro secolo la registrazione dell'attività elettrica del cuore mediante l'elettrocardiografia. Si cominciano intanto a porre le basi scientifiche dell'antica intuizione che la morte non è punto assoluto a partire dal quale tutti i processi si arrestano, ma «che la vita organica termina nelle morti improvvise in modo lento e graduale, che queste morti rompono prima l'armonia delle funzioni interne, che esse colpiscono improvvisa- . mente la circolazione e la respirazione, mentre esercitano la loro influenza sulle altre funzioni solo successivamente: all'inizio è l'insieme, successivamente sono i particolari della vita organica, che cessano in questo tipo di morte. ( ... ) «Ecco dunque la grande differenza che contraddistingue la morte di vecchiaia da quella che è l'effetto di un colpo improvviso; nell'una cioè la vita comincia a spegnersi in tutte le parti e cessa in seguito nel cuore: la morte esercita il suo potere dalla circonferenza al centro. Nell'altra la vita si spegne nel cuore, e successivamente in tutte le altre parti: è dal centro alla periferia che la morte dispiega i suoi fenomeni» (Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la interdipendenti (e la cessazionedel1'una comportava necessariamente la cessazione anche delle altre) oggi, in situazioni particolari e per un periodo di tempo più o meno lungo, si ha la possibilità della sopravvivenza dell'una indipendentemente dalle altre, che sono cessate o mantenute artificialmente. Più precisamente, prima, la cessazione dell'attività cardiaca e di quella respiratoria causavano nel giro di pochi minuti l'estinzione anche dell'attività cerebrale e, corrispondentemente, la distruzione cerebrale comportava la cessazione delle prime due. Oggi, invece, la , respirazione e -l'attività cardio-circolatoria possono essere mantenute artificialmente attraverso sussidi . meccanici e/o farmacologici, men- .tre ciò non è possibile per l'attività cerebrale, quando vi sia un danno strutturale massivo dell'encefalo. Di qui la definizione di «morte cerebrale», condizione descritta per la prima volta alla fine degli anni cinquanta e denominata allora «coma depassé» (cioè stato al di là del coma), oggetto in questo ventennio di numerosi studi, ricerche e riflessioni sia dal punto di vista medico, che medico-legale, etico, sociale, legislativo (vedi tra i più recenti e di maggior rilievo i lavori di C. Pallis e J. Korein). La morte cerebrale Si intende per morte cerebrale una condizione in cui è presente un danno cerebrale irreversibile tanto esteso da non consentire alcuna possibilità di recupero, e in cui, nello stesso tempo, è perduta la capacità di mantenere l'omeostasi dell'organismo: funzionalità respiratoria e cardio-circolatoria, controllo della temperatura, equilibrio idro-elettrolitico. Tale situazione, nonostante tutti i sussidi rianimatori, porta inevitabilmente all'arresto cardiaco nel giro di pochi giorni e, raramente, di qualche settimana, come dimostrano i numerosi dati riportati in letteratura. Parlare di morte cerebrale, tuttavia, non significa affermare che ci sono differenti tipi di morte (cardiaca e cerebrale) adattabili allediverse situazioni-prelievo di organi a scopo di trapianto terapeutico, decisione di interrompere la rianimazione, questioni civili e anagrafiche - ma che ci sono diversimetodi di accertamento per definire e diagnosticare il fatto della morte. Naturalmente, l'impiego dei criteri relativi alla diagnosi di morte cerebrale si pone solo in ben precise e limitate situazioni, e cioè in quei pazienti sottoposti a rianimazione nei quali, diversamente da ciò che accade solitamente, il cervello muore prima degli altri sistemi,che sono mantenuti artificialmente. (I dati epidemiologici relativi all'Inghilterra, ad esempio, parlano di 4.000 casi di morte cerebrale suoltre mezzo milione di decessi l'anno). Non ci soffermeremo qui sul dibattito relativo ai criteri per diagnosticare la morte cerebrale, e in particolare sull'utilità o meno di alcuni esami strumentali, soprattutto dell'elettroencefalogramma, che da alcuni è ritenuto indispensabile (es. Italia e Francia), da altri richiesto come importante conferma dei dati clinici acquisiti (Usa) e da altri ancora giudicato irrilevante (es. Canada, Germania, Inghilterra). D'altra parte, una volta stabilito il danno strutturale dell'encefalo, i requisiti cliniciuniversalmente accettati per porre diagnosi di_morte cerebrale sono rappresentati dal coma profondo areflessico (il paziente non è reagente ad alcuno stimolo), ·dall'assenza di attività motoria e di attività dei centri del tronco cerebrale (e quindi della attività respiratoria spontanea). L'importanza del problema morte cerebrale (che va ben al di là delle questioni di carattere più strettamente medico-scientificorelative ai criteri di diagnosi) ha fatto introdurre nella legislazione di molti paesi, durante gli anni settanta, una definizione di morte che, da un lato, riconosce l'unicità del fenomeno e, dall'altro, la possibilità che essa venga diagnosticata sulla base della perdita irreversibile dell'attività cerebrale, oltre che con i criteri tradizionali. In Italia, la legge (2 dicembre 1975, n. 644) stabi• lisce in modo rigido i criteri neces• sari per la diagnosi di morte cere• brale, mentre in altri Stati si fa riferimento generico ai consueti e abituali standards della pratica medica, suscettibili di evoluzione con il progredire delle conoscenze scientifiche. Il riconoscimento della morte cerebrale come equivalente alla morte dell'organismo in toto ha, d'altro lato, comportato il diffon- , dersi dei trattamenti sostitutivi "'t- N (trapianti di organo): infatti, quan- 1:1 .s do essa si verifica è possibileil pre- , lievo degli organi a scopo di lra• ~ pianto terapeutico. È utile osserva- i re come, nonostante le consolidate ..., conoscenze scientifiche e l'acquisì- ~ to riconoscimento anche legislati- j vo, sia ancora molto diffusa la ne- - gazione del• consenso al prelievo i degli organi da parte dei parenti ~ del deceduto. s:: Contribuiscono a determinare i questo atteggiamento fattori diver- ! si: dalla difficoltà ad accettare la 11

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