Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

""'I ~ c:s ,5 ~ 1::1. ~ o,_ """ ~ l e s::: ~ ~ s ~ .e diventati manifestazioni culturali utili soltanto a offrire un alibi, simili a cerimonie di distribuzione delle indulgenze da parte della criticasociale rivolta a un trascorso errorepositivistico e a un vecchio atteggiamento vendicativo tipico dell'ignoranza. Se questo Parsifal, in occasione del centesimo anniversario, èpotuto diventare un film, con l'aiuto de~'estero e di una registrazione avvenuta in Francia, un film che si pone in concorrenza a Bayreuth ma che tuttavia è pienamente tedesco; se questo Parsifal, proveniente dal/'areamediterranea, e dunque anche dall'area della tradizione europea di questo Medioevo, in Germania non è stato messo in discussione e non èstato confrontato agli avvenimenti teatralidelfestival e a Bayreuth, allora ciò significa che Richard Wagner è emigrato e che Bayreuth è stata diseredata, e significa che è possibile che i cadaveri di questo film in cammino verso il Graal, i cadaveri dell'olocausto, non siano messi in discussione, così come non è stata messa in discussione la sventolante bandiera di Hitler fra le tante dei secoli della nostra storia, accanto a Napoleone e alla guerra civile americana e alla rivoluzione francese. Il film non è stato discusso e non è stato visto nella rozza ignoranza tipica dei nostri intellettuali, come non è stata vista e non è stata discussa quella voce, qui divenuta un'assemblea, che alla fine del primo atto invoca la famosa compassione1, que~'assemblea delle nostre cattedrali medioevali con la lancia spezzata come simbolo della declinante società del Graal, emblema di utopiche società maschili non più possibili; e non vista come non discussa è allafine l'unificazione, ancora una volta, di questa assemblea con la connessa figura allegorica dellafede, al termine di questo Parsifal unita alla croce e alla lancia spezzata, annuncio della fine del mondo. Ilfilm non è stato discusso e non èstato visto nell'ignoranza di questo popolo da cui pur proviene, e che si è proposto di perdonare anche a Richard Wagner la sua maledizione hitleriana. La discussione ha luogo in Germania soltanto in manifestazioni di dissidenti, e anche così va bene: rispecchia la situazione generale. E se anche Richard Wagner avesse qualcosa a chefare con Hitler, sarebbe del tutto assolto con questo Parsifal, senza Bayreuth e il suo establishment. Un Parsifal simile a Ahasver, che erra sui palcoscenici del mondo spirituale degli altri paesi con nuova forza e serenità, e questo è il paradosso e il miracolo: proprio come frutto di questa Germania odierna, ecco un Parsifal in una nuova eroicapassione provocata dalle vecchie tradizioni, da~'apertura dei sensi come innalzarsi della ragione, da un'estasi dell'anima nel contemplare la bellezza, cercando e trovando il mito del XX secolo, l'anima dell'uomo, completata eproseguita da quella musica del XX secolo che il film promette; infatti, quando Richard Wagner morì, il cinema era appena nato. P er quanto grande possa essere l'opposizione o l'ignoranza e l'indifferenza del/'establishment; quali che siano i motivi di contrapposizione a questo nuovo venuto fra le arti e a que~'arte che, forse per la prima volta, rende giustizia a Richard Wagner e lo completa dal punto di vista visivo; per quanto grandi possano essere le solitudini del nuovo in situazioni quotidianamente nuove - a tutto ciò si contrappone un grande interesse, che si può osservare alla base e da ogni lato, da parte di voci isolate e sporadiche che nascono da confessioni individuali e daparte di una condizione di dissenso che coinvolge in modo solidale tutte lepersone interessate, come sempre accade prima di ogni rivoluzione della conoscenza; e talefenomeno è ogni volta protetto dalla grande professionalità e solidarietà di amici vicini e lontani, soprattutto da quelli del/'emigrazione e da quelli stranieri, in paesi sempre più numerosi e, nel frattempo, divenuti oggetto di meraviglia: i paesi del futuro spirituale del mondo. Nella nostra epoca, profondamente intrecciata e radicata nel XIX secolo, vale ancora ciò che era valido cent'anni fa: chi ha Richard Wagner ha la Germania. Ci si chiede soltanto quale. È una lottafra coloro che se ne servono - così come lui aveva bisogno della Germania per avvicinarsi a questo mondo - per insediarlo nelle loro teste e nei loro cuori e per costruire su di lui un'immagine della Germania che sia a loro misura, il più delle volte a spese tanto di Richard Wagner quanto di questa stessa Germania; ed è una lotta contro coloro che proseguono il discorso di Richard Wagner, affinché egli diventi nostro attraverso se stesso giungendo finalmente a compimento. Da un punto di vista storico tutto ciò è semplice: nato nella tradizione romantica de~'epoca napoleonica e della restaurazione antinapoleonica, egli accolse come utopia infantile la ricerca de~'identità tedesca ne~'originaria storia germanica, identità che i romantici trovarono spesso, fino allasua epoca, nelle fiabe e nelle leggende e nei miti tedeschi di quello stesso passato originario, nonché nella tradizione nuovamente riconquistata della grande cultura classica. Questa ricerca non era per lui soltanto una moda o una posizione politica utile alla sua formazione spirituale, ma, anche nell'ultimo periodo di vita, fu sempre posta sullo stesso piano dei ricordi d'infanzia, fu sempre la patria nel tempo e nello spazio e il luogo nuovo che lui stesso si creò, almeno nella sua arte, in un'epoca inquieta. Il suo desiderio incontrò quello di Ludwig, con il cui appoggio egli poteva ora fondare il proprio mondo. Sulle pareti dei castelli d'infanzia di Ludwig, fra i monti della ~ Baviera, vivevano i re del Graal e i ~igni sacri e le donne ideali. Questo desiderio individuale di un posto nel mondo trovò il suo corrispettivo nel movimento storico della fondazione del Reich tedesco, allorché la Germania, alpari di altre nazioni europee, si unificò e si estese, secondo idee vecchie e generali che appartenevano anche alla filosofia tedesca, e realizzò lo Stato industriale di massa. E subito iniziò l'odio di Richard Wagner verso tutto ciò che si trovava e agiva contro di lui e contro la nascita della sua opera. Così egli si schierò contro l'opulenza della vita spirituale come di quella materiale, contro gli ebrei, contro la Francia, persino contro Ludwig e anche·contro la Germania. Chi oggi raccogliesse le dichiarazioni antisemite di Richard Wagner, potrebbe trovarne sicuramente altrettante di antitedesche; ma chi ci ha mai provato? Infatti di Richard Wagner si sono subito, fin dall'inizio, appropriati i tedesco-nazionali, i quali del resto non davano troppo valore alle sue citazioni. Ciò che appare incredibile, invero, è il fatto che egli sia potuto diventare il simbolo del/'establishment, del denaro, dei nazionaiisti e di Bayreuth, la loro mecca. Divenne oggetto di culto da parte di (utti i potenti Richard Wagner, colui che capì come essi pensassero soltanto a fare sfoggio di quel potere che egli invece utilizzava al solo scopo di creare le proprie opere d'arte e di garantirne la sopravvivenza, anche se sovente fu costretto a scendere a patti non troppo limpidi. Anche la critica, fino ad oggi, si è impadronita di Wagner usandogli violenza. Lo stesso Hitler dunque trovò qui ciò che cercava, l'antisemitismo della sua eredità europea (che egli interpretava così) nel mezzo dello Stato industriale di massa. Fu a lui possibile (a lui che usava lapolitica come sostituto de~'arte) trasformare Richard Wagner nel filoso/ o-artista intorno a cui ruotava il suo sistema. E, al pari di Wagner, l'allievo coltivò mire artistico-imperialistiche, anche a costo di un tragico naufragio che si realizzò effettivamente nella distruzione del mondo, di questo mondo reale, sempre più in lotta contro un nemico cristallizzato, frutto di una paradossale pazzia tedesca (che siamo abituati a definire tendenza all'irrealtà), con quel furore per il terrore totale e assoluto che è proprio di quei pazzi che dimorano nelpiù altogrado dipurezza e contemporaneamente nel più alto grado di brutalità. La paura di molti tedeschi di oggi, quando non è causata dall'ignoranza derivante da~'obesità spirituale, è quella della troppo grande prossimità. Così si cercò, dopo il 1945, di salvare Richard Wagner, un Richard Wagner fino ad allora maledetto, scoprendo in lui anche quegli aspetti che nefanno un rivoluzionario delle lotte di strada della metà dell'Ottocento, e si credette in questo modo di poterne rifondare egiustificare lafigura. Ma spesso e volentieri Richard Wagner era ed è utilizzato come alibi di difesa, come luogo immutabile di quell'identità che indica in Richard Wagnçr il nazionalista e l'artefice di miti (Brecht); e questo procedimento è spesso impiegato come unità di misura di quella purezza che il carrierista deve dimostrare per far carriera. Si può dire perciò senza timore che quanto più zelante è la difesa da Richard Wagner, tantopiù sospetti sono i retroscena e i sotto/ ondi di chi giudica. Chi tuttavia, nel periodo dagli ultimi secoli a oggi, si è basato sulla storia e sulla cultura tedesche e sulla propria tradizione e autodeterminazione, è stato coinvolto e doveva essere coinvolto nei conflitti attorno a que_stotabù, attorno al rifiuto inteso come isteria nazionale della vita intellettuale, nellamisura in cui Richard Wagnersi è servito delle tradizioni della propria storia come di virtù necessarie allaproduzione di fantasie artistiche. Ed èproprio qui che ilprodotto artistico di un singolo individuo si mescola alla situazione attuale e al passato di un paese e di una storia personale trasformatosi in mito, dando vita a una contemplazione incomparabilmente emblematica; ed è qui che si possono cercare e trovare le soluzioni. Così èpotuto capitare cheper lui eper noi, per i suoi eper i nostri vicini, fosse sovente più importante la storia della ricezione de~'opera che l'opera stessa. Separare le due cose con onestà e serietà sarà sempre il primo compito necessario per chi vuole avvicinarsi alla grandezza spirituale di un uomo, a un primo sguardo non così grande, per chi sarà poi tanto più sorpreso dall'immenso miracolo di sensibilità e di limpidezza chepotrà incontrare nella coerenza di quelle azioni strappate al dolore. Se il film, il cui titolo è Parsifal di Richard Wagner, può oggi essere visto in Israele, non è successo allora solo qualcosa di significativo per la Germania e per Israele e per la cultura europea in generale. Liberato Wagner - grazie al rifiuto di Bayreuth - dalla zavorra della colpa, molte cose diventano più semplici e più vicine, e al cinema si riconosce una possibilità che né il teatro né la musica hanno finora dimostrato di avere. In questo modo il cinema come mezzo guadagna una funzione nella vitapubblica (unafunzione più facile e sempre possibile, nel corso della storia, per i nuovi venuti), diviene cioè capace di fare ciò che infine l'arte dovrebbe diventare: non soltanto intervenire nella politica, ma anche completarla. E politica significa qui la vitapubblica in forma rappresentativa, capace di coinvolgereprofondamente ciò che muove i popoli. È un Parsifal tedesco, fatto da una persona che in Israele è già conosciuta come chi, alcuni anni fa, vi portò il suo film su Hitler. Se però già da tempo il problema non è più quello del rifiuto da parte degli incompetenti, né quello di Richard Wagner soltanto, e se è vero che chi ha Richard Wagner ha la Germania, allora coloro che oggi ne rappresentano la vita pubblica hanno perduto la Germania. E ciò significa che vale ancora il detto della libertà banditesca di chi è stato represso e rimosso; così essiparlano facilmente della libertà, dellapace oggi di moda e dell'illuminismo crollato in conformismo, e non c'è nulla di censurato al di fuori della loro autocensura, e questa autocensura è il tabù Richard Wagner, invero ancora peggiore di quello che esisteva un tempo, perché non sorge da alcuna coercizione, se non da quella che dimora in loro stessi. Poiché - grazie al rifiuto di Bayreuth - il Parsifal centenario è ritornato nella testadi Richard Wagner, ora esso è libero, spiritualmente pronto e, con l'aiuto della nostra tecnica, capace di cercarsi i suoi amici per tutto il mondo, ovunque essi ritengono importante che i suoi effetti non vengano meno. (Traduzione di Fabrizio Rondolino) Nota (1) Alla fine dell'Atto primo del Parsifal, dopo il sacrificiodel Graal (che Parsifal non capisce), una voce scende dall'alto: «La compassione rende saggio il puro folle» (Durch Mitleid wissend,/der reine Tor). (Ndt) ~ In questa pagina e in quella accanto: Berardi e Milazzo ~'--------------------:------------------------------------------------- ...

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