Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

, In questa età della riproduzione fotostatica rischiamo di perder di vista il senso profondo del gesto che ho appena citato: il gesto di. trascrivere una trascrizione. Una lettera privata si pone invece come la trascrizione di un parlato quotidiano. (Sottolineo: «si pone come»; quel che conta è appunto il suo porsi come tale, non l'effettivo grado .di realismo della trascrizione; e il fatto che io abbia citato da una raccolta di lettere che rappresenta un classico della letteratura francese nulla toglie all'argomen- . tazione qui sviluppata: non presento, infatti, quel passo come modello o campione di prosa letteraria, ma come descrizione di un'antropologia, di una pratica che noi possiamo verificare ogni giorno nelle nostre vite). Ora, trascrivere la trascrizione d'un parlato non è gesto che trasformi il parlato in letteratura - al contrario. Questa operazione ribadisce che tale esperienza appartiene al quotidiano: il fatto che si tratti d'un gesto sentimentale (un cinico direbbe: patetico) garantisce appunto che esso riflette la vibrazione modesta ma continua della lingua parlata. Ho detto «sentimentale»; e, potenzialmente «patetico» ho detto; ho detto «modesto», ho aggiunto «quotidiano». Ma non ho ancora pronunziato l'aggettivo dirimente: cioè «essenziale». Pensiamo infatti all'equilibrio quasi miracolosamente delicato che deve crearsi perché questi processi di (ri)trascrizione abbiano luogo. Un equilibrio tra una raffinata diacronia letteraria e la sincronicità folle dei sentimenti; tra il mondo nevoso delle idee e la vertiginosa deriva di ciò ch'è immediatamente esistente. Pensiamo ai problemi sottilmente (esasperantemente) filosofici che tutto questo ci pone. Come si può a cagion d'esempio vedere in questo frammento di Ludwig Wittgenstein: «Se ho due amici con lo stesso nome, e scrivo una lettera a uno di loro, in che consiste il fatto che non scrivo all'altro? Forse nel contenuto? Ma questo potrebbe (l'indirizzo non l'ho ancora scritto) confarsi a entrambi. Beh, il collegamento potrebbe trovarsi nella storia antecedente. Ma allora, potrebbe anche essere in ciò che segue la scrittura della lettera. Ora, se qualcuno mi chiede: 'A quale dei due stai scrivendo?' e io gli rispondo, inferisco io forse la mia risposta dalla storia antecedente? O non gliela do, la risposta, quasi come se dicessi: 'Ho mal di denti'. «Potrei essere in dubbio, a quale dei due io stia scrivendo? E un tal caso di dubbio, come apparirebbe? «In effetti, non si potrebbe anche dare il caso di un'illusione: credo di scrivere a uno e invece scrivo all'altro? E il caso di una tale illusione, che aspetto avrebbe?» (L. Wittgenstein, Zettel, trad. ingl., Oxford, Blackwell, 1967). E, bene, a questo punto, chiarire: la citazione di . Rousseau esprimeva un assenso (all'atteggiamento mentale e sentimentale - diciamo, fondamentalmente, sensi-mentale - che ~ là si rivela); questa citazione di .s Wittgenstein, invece, implica un ~ dissenso (con tutti i rischi di lesa Cl. maestà filosofica che corre chi dis- ~ ..... ~ ...e 5 ;:.. o ~ ~ sente - come se riflettere sui limiti di un pensiero geniale diminuisse la g'enialità di tal pensiero!). E non è soltanto per la mancanza di spazio che questa posizione critica non intende esprimersi attraverso tutto il previo maneggio s:: diplomatico del filologismo•stori- ~ cista. Come scrive Blanchot a pro- g posito di Wittgenstein: «Se egli dà i::s l'impressione di essere in margine alla storia della filosofia, ciò di cui occorre aver coscienza non è soltanto il fatto ch'egli è un isolato - nessuno, in fondo, può esserlo - ma piuttosto il fatto che esiste una storia non storica di quel che non si potrebbe chiamare altrimenti che pensiero» (M. Blanchot, L'écriture du désastre, Paris, Gallimard, 1980). Dunque. Sembra che anche attraverso il frammento di Wittgenstein appena citato traspaia una certa qual disumanità (non nel senso di ferocia, occorre dirlo? - no: piuttosto, una poco-umanità fatta di pallore); che è forse il limite maggiore del pensiero di Wittgenstein; e che mi pare invece ne costituisca il fascino per molti filosofi contemporanei. (Sorge il sospetto: che questo iceberg di pensiero raggelato celi, dentro/sotto di sé, una gran massa di calore; il conto potrebbe trarre il suo effetto soltanto dal suo trasgredire il nostro normale modo d'esistere e di agire, descrivendo una delle nostre patologie del quotidiano. Insomma, è solo perché di solito sappiamo a chi scriviamo (non parlo di letteratura, ma di lettere!) - è solo per questo che il racconto avrebbe effetto ... Questo rivela il lato tenebroso della filosofia, il suo potere di fuorviarci. L'astratto pensiero filosofico succitato ci impedirebbe - se ne accettassimo la logica - di comprendere la fondamentale situazione umana dalla quale (o contro la quale, poco importa) muovono le forme intermedie della scrittura - la parlatoscrittura; e anche, muove la letteratura. In effetti, la maggior parte forse dell'opera di Wittgenstein - basti come esempio tutto il suo scritto Angese pensiero dunque avrebbe, in questa prospettiva, la funzione di celare con tanta completezza le emozioni da far germinare, nel pensatore così disciplinato, un senso di trionfante controllo del mondo? Ma ecco, questa esplorazione ci condurrebbe adesso troppo lontano... ) Abbiamo forse, in questa vertigine filosofica, perduto di vista il problema del parlato? Per null'affatto: poiché quel che vi è di pocoumano nel citato pensiero è, appunto, l'intellettualistico oblio del parlato. Ciò che, nel caso dei due amici omonimi, distinguerebbe immediatamente le due lettere non sono dettagli di contenuto o di casi antecedenti (Vorgeschichte) - è la qualità dell'allocuzione parlata così come essa è trascritta (transscritta) in una lettera. E ciò non nel senso d'una retorica neoclassica che si preoccupa di adattare il discorso al supposto carattere del suo lettore/ascoltatore; ma nel senso della profonda e indispensabile retorica - la rhetoricaperennis ·dell'umano-troppo-umano - secondo cui ciò che eme~ge prepotentemente in un testo qual è una lettera privata è il divèrso atteggiarsi del parlatoscrittore (il suo diverso modo di auto-ri-trarsi) a seconda dell'interlocutore. A ben pensarci, questo frammento evoca un possibile racconto, all'interno di una retorica modernistica, che sarebbe bello scrivere: la storia di una persona che rilegge stupita una lettera che ha appena scritto, senza riuscire a ricordare quale, tra due suoi amici omonimi, ne sia il destinatario ... Questa possibilità di racconto evoca un'area appunto modernistica tra Borges e Cortazar e certi angoli narrativi nei dialoghi di Pinter (nostranamente: Buzzati, o uno dei suoi nipotini da elzeviro)... Ma allora (si obietterà) contraddizione,-i-nflagrante reato! Come può esser chiamato poco-umano un pensiero filosofico che suggestivamente suggerisce un racconto? Ma un momento, un momento... Ciò che è decisivo è che, in qualunque modo noi immaginiamo questo racconto, a qualunque scrittore o scrittura ne attribuiamo la possibile esecuzione, resta pur sempre qualche cosa di assiomatico, nella logica di questo testo possibile, e precisamente: il racSulla certezza - può essere letta come una sorta di elaborata evocazione, e insieme di frustrazione, di possibilità narrative; e sarebbe utile studiare la connessione epistemologica tra questo fuorviamento filosofico e l'impasse della recente critica neoformalistica - narratologica, testologica, ecc. - di fronte ai testi letterari ch'essa tenta di analizzare: si comprende- .rebbe meglio allora la ragione per cui il neoformalismo è un elaborato processo di elusione dell'ermeneutica, cioè delle possibilità reali di penetràzìone dei testi letterari. ..ma anche questa, è una luriga storia che porterebbe lontano ... S olo una filosofia e una retorica (intendo: una retorica filosofica) del troppo-umanq che sempre trabocca (la retorica per esempio che da Rousseau attraverso Emerson arriva a Nietzsche) può render conto di tutto ciò. Il punto centrale, comunque, è qui un altro - il punto è: che accade, se l'equilibrio vertiginoso di cultura e emozioni che vive per esempio anche nelle più modeste lettere private (e nei diari, e nei memoriali, ecc.) viene costantemente negletto e - cadendo vittima del demagogismo - è portato a vergognarsi di se stesso? Succede che conseguenze gravi si fanno sentire anche in tutti gli altri generi intermedi. Là dove è minacciata la civiltà della scrittura è in pericolo anche il genere dell'articolo o saggiodi critica letteraria, per esempio, o altri consimili temi. Accade che, là dove dovrebbe guizzare il demone dello stile (sopra tutto in una tradizione in questo senso straordinariamente precoce in tutt'Europa come è quella italiana), regnino invece troppo sovente il grigiore mortale, la ,plumbea assenza della sia pur minima torsione, della ricerca di variatio, nella monotona lunghezza dei periodi. Lo stato in cui versa la nostra scrittura saggistica è grave - una ripresa, una riscoperta della strumentazione è ormai indifferibile, e possiamo cominciare cautamente a vederne dei segni. (Eppure mancano ancora, per esempio, presso che totalmente nella nostra saggistica quelle irruzioni, come dire?, brillantemente insolenti di espressioni «parlate» dentro una tortuosa scrittura che - si sospetta - resteranno come eredità intellettuale di Jacques Lacan molto tempo dopo che il suo concettismo a proposito dell'inconscio sarà passato di moda). Lo sviluppo decisivo, comunque, avrà luogo soltanto quando si tornerà ad affrontare il cimento che ha creato la cultura della lingua in Italia: il cimento di sviluppare il lato esistenzialmente scritto dell'esperienza parlata. Sarebbe, infatti, troppo facile dialettismo quello consistente nel dire che il problema «scritto del parlato» è simmetricamente bilanciato dal problema «parlato dello scritto». No? il «parlato dello scritto» descrive una problematica d'impianto naturalistico, e si presta a analisi di tipo sociolinguistico (come quelle che, opportunamente, sono state sviluppate nel corso del convegno L'italiano negli Stati uniti). Lo «scritto del parlato» esprime invece tutt'altro problema: è un nodo che lega insieme l'attività empirica sul filo dei giorni (quella che, in una terminologia un po' invecchiata, si potrebbe chiamare «cultura militante») e la speculazione filosofica; è il nodo che queste righe hanno tentato cli descrivere. Né questo lavorio sarà possibile senza passare attraverso una nuova coltivazione e rispetto dell'espressione - una categoria che ha percorso implicitamente tutte que- • ste osservazioni. Gli anni recenti, com'è noto, hanno veduto il trionfo dell'altra categoria, quella della comunicazione. Ma non è per un'astratta, o diplomaticistica, preoccupazione di equilibrio che desidero sottolineare l'urgenza di ripensare il nodo dell'espressione. Si noti - non parlo qui dell'espressione nel senso in cui per esempio ne parla Wittgenstein quando scrive: «Faccio un piano non soltanto per rendermi comprensibile agli altri, ma anche per chiarire le idee a me stesso su una certa situazione. (Cioè: la lingua non è soltanto un mezzo di comunicazione Mitteilung)». Questo è un concetto (per impiegare una parola alla moda) «debole» d'espressione; in cui tale categoria è ridotta essenzialmente allo status di qualche cosa come «comunicazione interiore». Qui adopero invece un concetto forte. Chiaro, che è un concetto forte ... ma (obiezione) non è un concetto chiaro! È vero, ma - e con ciò? La maggior parte dei concetti forti in questo campo sono tutt'altro che chiari e distinti; ma non è possibile per questo respingerli, o peggio, reprimerli. La loro forza, infatti, non è qualche cosa che il singolo pensatore arbitrariamente insacchi dentro al concetto di volta in volta in questione: è una forza obiettiva, che si fa sentire nei suoi ·effetti sulla vita (e lasciamo pure che gli intellettualisti sorridano con sufficienza, sibilando una delle parole ch'essi considerano più omicide nel Joro arsenale: «vitalismo!»). ,,t È a nostro rischio che noi possiamo trascurare questo aspetto (l'espressione; nel senso sopra tuttq di espressività) della nostra vita in quanto parlanti; il pericolo, infatti, è quello di non riuscire a controllare più la continua forza - oso dire la violenza dirompente - che è all'opera in ogni atto linguistico. L'espressività linguistica non è certo privilegio dei colti; è al contrario l'inevitabile caratteristica (spesso: il fardello) di tutti. Ma per liberarla veramente, occorre il COl}fronto~.ostantecon la tradizione - colta o folclorica, orale o scritta ch'essa s1a.È da questo crogiuolo che uscirà quella-nuova coltivazione dello scritto del parlato da cui in ultima analisi dipende ogni significativo sviluppo della scrittura italiana. Einaudi Novità Thomas. Bernhard La fornace Nella notte della vigilia di Natale un'anziana signora viene trovata uccisa... La storia normale e parossisticadi due coniugi e del loro « universo concentrazionario» («Supercoralli», pp. 212, L. 18 000). Heinrich Boll Che cosa faremo di questo ragazzo? Un libro autobiografico dello scrittore tedesco, un romanzo d'iniziazione sullo sfondo dei drammatici avvenimenti che sconvolsero la Germania degli anni Trenta («Nuovi Coralli», pp. v1-79,: L. 6.500).: Enrico-Fubini Musica e pubblico dal Rinascimento al Barocco La nascita del melodramma e l'affermazionedi una nuova teatralità della musica, il gusto del pubblico, le profonde trasformazioni del linguaggiomusicale e poetico tra il '500 e il '600 (((PBE», pp. VI-162, L. 8.500 ). Massimo Montanari Campagne medievali Attraverso lo studio delle forme del paesaggio,delle tecniche agricole,dei sistemi d'alimentazione, dei rapporti di produzione, questo libro ci restituisce un'idea non piu stereotipata e uniforme del Medioevo ( « PBE», pp. XI-223, L. I,5 000). Hyman P. Minsky Potrebbe ripetersi? Instabilitàe finanza dopo la crisi del '2 9 Introduzione di Augusto Graziani. Un saggioche affronta il tema oggi scottante delle crisi finanziariee delle dinamiche che regolano la spesa pubblica alla luce della crisi del '2 9 ( « Paperbacks », pp. xx1-394, L. 28 000). TzvetanTodorov La conquista dell'America Il problemadell'«altro» Uno dei maggiorisemiologi viventi r,icreacon rara passione una grande pagina di storia. Un viaggiostraordinario ai confini tra !'immaginari~ della natura e la realtà del Nuovo Mondo («Saggi», pp. IX-321, L. 24 000).

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