Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

John Baugh Joel Sherzer (eds.) Language in Use. Readingsin Sociolinguistics Englewood Cliffs (New Jersey) Prentice-Hall Inc., 1984 N on c'è dubbio che quello della sociolinguisticasia stato terreno fertile per il proliferare di antologie, che, con una certa monotonia, hanno continuato per anni a riproporre schemi e materiali identici. Per un certo tempo ciò ha indubbiamente supplito alla mancanza di punti di riferimento comuni in un'area caratterizzata da una forte connotazione interdisciplinare, e ha avuto come effetto la 'popolarizzazione' di una serie di concetti e di procedure che della ricerca sociolinguistica restano nucleo fondamentale. Caratteristiche differenti presenta l'ultima arrivata, curata da John Baugh e Joel Sherzer, per il suo tentativo di mettere in evidenza tratti e orientamenti capaci di differenziare la sociolinguistica di oggi rispetto a quella iniziale e in formazione di qualche anno fa. Le diversità, certo, non sono talmente consistenti da distinguerle nettamente, tanto da poter parlare di una 'sociolinguistica della seconda generazione'; ma i trends di tale differenziarsi si vanno facendo più consistenti e la lettura dei saggi di questa antologia contribuisce a rendercene più consapevoli. Gli assi fondamentali continuano a rimanere gli stessi: presa d'atto della varietà quasi proteiforme delle situazioni e delle forme linguistiche, competenza comunicativa, comunità linguistica, etnografia della comunicazione. Ma quella che i due curatori insistono a etichettare come «heterogeneity» (e che in italiano è più corretto tradurre con 'varietà' anziché con 'eterogeneità', cfr. pp. 1-3 passim), pur conservando la propria gamma di diversità, tende a strutturarsi meglio sulla spinta ·di una progressiva convergenza delle tradizioni più importanti del metodo sociolinguistico:quella linguistica, quella sociologica e quella etnografica. A noi pare che elemento trainante di questa progressiva unificazione - ecco un elemento tipico ; di questa sociolinguistica della seconda generazione - sia stata, e sia ancora, l'adozione sempre più frequente, come unità-base delle varie analisi, del 'discorso', unità concreta, complessa e rappresentativa di tutte le istanze fondamentali dell'atto di parola, considerato sia nella prospettiva di unità transfrastica che in quella funzionale dell'uso linguistico. In questo modo, l'incrocio interdisciplinare tra linguistica, sociologia e etnologia, da una parte, e l'intersezione dina- ~ mica tra linguaggio, cultura e so- .S cietà, dall'altra, hanno realmente ~ un punto di partenza comune. ~ In questa, teoricamente indefi- ~ nita, potenzialità di punti di vista, ..... l'antologia di Baugh e Sherzer ha ~ anche il pregio di porsi esplicita- ] mente dei confini, identificati nei - tratti concreto-empirico, da un la-· 9 ... to, e etnografico, dall'altro. Il pri- ~ mo privilegia l'uso concreto e rea- ~ le della lingua in rapporto a conte- ~ sti sociali e culturali reali e attuali l ( ne deriva la preferenza per saggi 1s in cui la documentazione e l'inteSociolinguistica resse linguistici predominano, e per ricerche sul campo); il secondo, la correlazione del contesto sociale con quello culturale. I diciassette saggi del volume si articolano attorno a quattro nuclei: 1. variazione linguistica e contesto sociale, con un'attenzione particolare per le 'unità sociali' che caratterizzano la comunità linguistica e per le procedure metodologiche che consentono di cogliere con precisione tale varietà; 2. linguaggioe interazione sociale, con il linguaggio che si rivela riflesso e coµiponente, allo stesso tempo, dell'interazione sociale tra gli individui; 3. lingua/discorso e prospettiva etnografica, in relazione a approcci interculturali di acquisizione e sviluppo della competenza comunicativa; 4. base sociale del mutamento linguistico, con mise en relief dei rapporti tra cambiamento sociale e cambiamento linguistico. Il primo gruppo di saggi mira principalmente a ribadire l'importanza di alcuni temi realmente fondamentali per la sociolinguistica. D. Hymes rielabora le condizioni di una comunità particolare come la tribù in rapporto alla lingua, mettendo in rilievo l'impossibilità e l'impraticabilità di qualsiasi isomorfismo tra linguaggio, cultura e società a causa della pluralità semiotica delle strategie comunicative che l'attraversano. L'analisi deve superare i confini posti dai problemi lingua/dialetto, e valutare i fattori che regolano usi e confini all'interno della comunità e al suo esterno. E W. Labov ripropone la complessa procedura metodologica del suo Project on Linguistic Change and Variation, privilegiando il momento descrittivo delle varie componenti sociali e linguistiche. Il contributo di P. Trudgill (rielaborazione di una ricerca pubblicata nel 1974) sottolinea nella ricerca il momento ideologico e il conflitto di identità associati alla scelta linguistica all'interno di una comunità: si tratta di un prestigio nascosto (o implicito) che «reflects the value system of our society and the different sub-cultures within this society» (p. 65). Inoltre, proprio per questa esigenza di evidenziare un conflitto psicosociale legato alla variabile sesso, Trudgill mette in evidenza come, almeno nel caso particolare, la risoluzione del conflitto non sta nella standardizzazione (le certezze valoriali della maggioranza), ma in forze che vanno verso altri orizzonti. Il secondo gruppo di saggi è incentrato sul 'discorso', con un'ambivalenza funzionale chiaramente esplicita e sottolineata. Come si è . detto, questa preferenza topicale può considerarsi come caratterizzante la 'sociolinguistica della seconda generazione', per la sua carica innovativa e unificante. Altro elemento analogo per forza innovativa è l'insistenza sulla necessità di includere il non-verbale nell'esame linguistico, perché spesso è questo a delimitare la funzione sociale e semantica della comunicazione. Il saggio più 'anziano', ma riproposto con bibliografia aggiornata al 1982, è il classico e fondamentale Opening up Closings di E.A. Schegloff e di H. Sacks, che Antonino Di Sparti sottolinea la centralità del «turo talking system» e delle sue parti come momento fondamentale del1' analisi conversazionale. P rospettive nuove ci pare aprano i contributi di E. Goffman e di J .J. Gumperz. Il primo, già pubblicato in Form of Talk (1982), richiama l'attenzione su un fatto comunicativo d'abitudine trascurato e, unitamente a forme di self-talk e di imprecazione, considerato periferico per la linguistica: i cosiddetti «reponse cries», considerati atti rituali del comportamento linguistico, analoghi al parlare, allo stare zitti dettati da norme sociali e che ci permetForattini tono e ci impongono momentaneamente «to open up our thoughts and feelings and ourselves, through sound, to whatever is present» (p. 125). Non si tratta di stati conversazionali e di parola, ma si tratta di pure forme di socializzazione etologica, in cui è prevalente non un '<<floodinogr emotion outward», ma un «flooding of relevance in» (ivi). Goffman conclude la sua analisi richiamando al linguista la necessità di includere nella sua rete anche l'uttering, che non è atto di conversazione, e di portare un contributo specifico, «for I believe- egli conclude - that talk itseif is intimately related and closely geared to its context through non-vocal gestures which are very differently distributed than the particu-. lar language and subcodes employed by any set of participants - although just where these boundaries of gesture-use ARE to be drawn remains an unstudied question» (p. 126). La posizione di Gumperz, esposta in questo saggio e che ha già trovato una più ampia illustrazione nei due primi volumi della serie «Studies in Interactional Sociolinguistics», intitolati rispettivamente Discourse Strategies e Language and Socia[ Identity, vuole collegare e prendere nello stesso tempo le distanze dalla prospettiva concreta dell'etnografia della comunicazio-_. ne, da quella astratta propria di alcune teorie semantiche (come la frame semantics, oppure procedure utilizzate in AI) e da quella etnometodologica. Alle prime due rimprovera la concezione della conoscenza socioculturale presente nel discorso in termini di un insieme di categorie legate tra loro e propone la priorità di una strategia di gestione conversazionale (conversational management), le cui tecniche sono specifiche di ogni background culturale e le cui conseguenze sono veramente importanti nelle relazioni inter-personali e inter-etniche, la stereotipizzazione etnica e la mobilità sociale nelle società urbane moderne (cfr. pp. 127-29). La centralità del linguaggio è riproposta a causa del ruolo che ha nelle segnalazioni di una intenzione comunicativa e nella identificazione delle strategie di contestualizzazione. L'utilità di questo approccio interazionale viene illustrata nell'antologia con due ricerche, che è facile (ma nello stesso tempo riduttivo) presentare come 'curiose'. La prima, di M. Merritt, mira a identificare significati e funzioni di quell'oK, che ha invaso anche la nostra conversazione quotidiana. La funzione di elemento di approvazione, che trova conferma nell'uso italiano, era già stata proposta e analizzata da D. Bolinger, ma l'analisi della Merritt dimostra che si tratta di una riduzione di due forme di risposte positive: la prima risponde a richieste di informazione e viene identificata come serie YES (yes, yeah, yep, ecc.), la seconda, invece, dà approvazione e garanzie a specifiche richieste di • azione ed è identificata come la serie OK. La seconda, di C. Brooks Gardner, ha per oggetto un comportamento tipico dell'italiano, il commento maschile sulle donne che passano accanto (Passing By: Street Remarks, Address Rights and the Urban Female), e rivela una strutturazione notevole dei fatti verbali e non-verbali che caratterizzano questo comportamento - che a quanto pare specificamente italiano non è, visto che l'analisi prende le mosse dall'educato newyorchese e dal flemmatico londinese. N ella terza sezione del libro troviamo descritta l'etnografia della comunicazione relativa a quattro pratiche linguistiche: 1. il kabary malgascio, studiato da E. Ochs nel momento della - posta-contrattazione di matrimonio, nella sua funzione di lingua cerimoniale e tecnica oratoria, mette in evidenza i conflitti di norme che stabilisce. 2. i1 kaa kwento dei Kuna (Panama), che J. Sherzer analizza abilmente muovendosi tra procedure di antropologia strutturale, etnografia della comunicazione e etnometodologia, mettendo in luce la notevole abilità comunicativa dei perf ormers, capaci di accumulare senso e ambiguità attraverso differenti strategie che collegano testo e contesto. Sherzer riassume il valore di questa pratica narrativa nel fatto che essa mette in evidenza come solo una minuziosa attenzione ai rapporti tra testo e contesto, alla loro intersezione e interazione, permette la comprensione del mito del kaa kwento e come, diversamente dall'ipotesi etiologica dei miti di Lévi-Strauss, in questo caso la sua ragione di essere, prevalente o unica, sia di carattere retorico. 3. la storytelling collegata alla fiera canina di Canton (Texas), nella cui analisi R. Bauman sottolinea la sottile arte dell'intuire o del condividere le affinità elettive di un compratore di cani da parte del venditore e il piacere 'comunicativo' in cui lo scambio verbale è prevalente rispetto a quello commerciale. 4. la relazione di «adt» presso i Kaluli (Nuova Guinea), che indica la preoccupazione di una sorella• maggiore per il fratello più piccolo, e della quale la Schiefflin estende il valore di coinvolgimento e di 'costrizione' da una particolare strategia familiare a quadro di riferimento per tutta la vita. L'unico saggio, per cosl dire, teorico di questa sezione è quello di J. T. Irvine dove si dimostra la necessità di precisare per ogni cultura i confini di 'formalità' e di 'informalità', in quanto gli elementi che i due termini sottintendono nella lingua inglese non sono uguali per altre popolazioni e lingue. La quarta sezione tenta di mostrare come il cambiamento linguistico implichi una intersezione dinamica dei processi linguistici interni con i vari fattori sociali e culturali. Le strutture che vi vengono analizzate sono la copula nel Black English (J. Baugh), l'uso del pronome personale di seconda persona nello svedese (C. Bratt Paulston), la differenziazione linguistica in funzione del sesso presso una comunità bilingue austriaca (S. Gal), e la paradossale creolizzazione di una lingua pidgin (il Tok Pisin della Nuova Guinea), per rispondere alle esigenze dei suoi utenti e poterne allargare la fascia (G. Sankoff e S. Laberge). Il carattere originale di questa antologia, quindi, sta nel fatto che riesce a suggerire alcuni tratti che possono identificare quella che si è voluto chiamare 'sociolinguistica della seconda generazione'. Oltre agli elementi di cui abbiamo già detto, meritano di essere sottolineati anche: a) il richiamo alla polisemiosi implicita in tutte le forme di comunicazione e alla necessità di porre attenzione ai fattori nascosti che ne regolano l'uso; b) il prevalere di una gestione conversazionale che contemporaneamente è espressione e componente di una gestione del sé e della propria identità; c) l'importanza che il 'banale quotidiano' può avere come oggetto di analisi e di teorizzazione, consentendo una concretezza e una globalità che in altri casi non possono essere facilmente ottenute; d) il ruolo che il non-verbale complessivamente svolge nel sociale e anche nel linguistico. Infine, si deve notare come questa antologia e questa sociolinguistica siano attente alla presenza del femminile e alle implicazioni che il sesso ha nella lingua e nella vita comunicativa sociale. Senza dubbio, anche questo è un segno dei tempi e dell'influsso del loro geist come ideologia che informa e influenza tutta la pratica umana, anche la sociolinguistica.

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