Giovanni Faldella A Vienna. Gita con il lapis a c. di Matilde Dillon Wanke presentazione di Enrico Filippini Genova, Costa & Nolan, 1983 pp. 236, lire 18.500 A Parigi. Viaggio di Geromino e Comp. a c. di Luigi Surdich presentazione di Sebastiano Vassalli Genova, Costa & Nòlan, 1983 .pp. 214, lire 17_.500 _) . Le «Figurine» a c. di Giansiro Ferrata premessa di Maria Corti Milano, Bompiani, 1983 («Nuova Corona») pp. 269, lire 25. 000 Giuseppe Zaccaria Tra storia e ironia. «Regione» e «Nazione» nella narrativa piemontese postunitaria Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1981, s.i.p. N on è di oggi soltanto la riproposta di una lettura postuma - e appagante - del migliore fra i «caustici e costumati» rappresentanti della «scapigliatura piemontese» (si cita, come d'obbligo, da Gianfranco Contini). Nel 1942, Giansiro Ferrata aveva ristampato, nella vittoriniana «Corona» di Bompiani, le Figurine che ora riappaiono nella «Nuova Corona» diretta da Maria Corti: «eccezionale caso di innesto di una collana sull'altra», come fa notare la Corti nella premessa, che concentra sussidi bibliografici esaustivi e indicazioni di lettura da non trascurare. Una, specialmente, ed _èla rilevazione di una «nota distintiva» dell'autore delle Figurine: «quella di inserire la causticità in un movimento di balletto: come se esistesse una danza e una mimica delle parole, come se Faldella regolasse il suo linguaggio da ginnasta e da maestro di ballo, ripetendo e sviluppando tecniche espressive fino a portarle con l'iterazione al più alto grado di sviluppo». All'animazione verbale sapida e pirotecnica è legato il potere attrattivo di Figurine; che divennero subito, fin dal loro primo apparire (1875), una sorta di emblema della più genuina vena faldelliana. Del resto, l'anno prima, era venuto al giovane autore di A Vienna un autorevolissimo beneplacito letterario: l'approvazione di Carducci per le pagine «miniate, disegnate, scolpite, tornite, finite», sia pur non esenti da «difetti di giovane», e per il vivace sperimentalismo linguistico del periferico tormentatore di dizionari: «io non condanno - scriveva Carducci - la mescolanza dei piemontesismi coi toscanesimi, io credo con Dante e con i veri filologi e coi retorici veri che nel fondo dei dialetti, chi sappia cercarlo, trova l'accento e il colorito della gran lingua italiana popolare e classica». La lettera di Carducci, luogo ben frequentato dalla critica di Faldella (basti ricordare, tra i contemporanei dello scrittore, Carlo Rolfi, nell'importante Prefazione a Una serenata ai morti del 1884, ristampata due anni or sono presso Serra e Riva di Milano; e in anni più recenti Giansiro Ferrata, nel Primo incontro con Fa/della, che ritroviamo nell'attuale riedizione di Figurine) è ora riletta da Matilde Dillon Wanke, nell'Introduzione al volume A Vienna, con attenzione quasi esclusiva alla puntata antideamicisiana: «fra pochi anni, io spero, la letteratura fanciullesca sarà l'ultimo e più ridicolo portato della imbecille servilità e della menna stupidaggine italiana del periodo della liberazione: il capitano De Amicis parrà, salvo la dottrina e gli studi, il padre Aurelio Bertola». La contrapposizione, che la Dillon Wanke non si lascia sfuggire, di De Amicis al giovane scrittore piemontese sembra fare eco e rinforzo alle allusioni carducciane che Faldella stesso aveva intrecciato nel Capitolo XXXVI di A Vienna, dedicato all'unica pubblicazione italiana che egli avesse trovato esposta nella capitale austriaca; ed era Spagna, di De Amicis. Faldella ne parla con ambigue forzature di tono, tra il patriottico e il sarcastico, dietro l'apparente bonarietà, non mancando di citate il carducciano epiteto di «Edmondo dei Languori». Sulla traccia indicata dalla bravissima curatrice la lettura di Fai- -della si arricchisce, sul versante storico-linguistico, di un aggancio non banale: le suggestioni esercitate sulle scelte stilistiche e di genere degli scrittori della scapigliatura dalle polemiche insofferenze del Carducci antimanzonista e fieramente contrario al descrittivismo alla De Amicis. In tali estri e umori potevano bene specchiarsi il mistilinguismo e la fantasia bozzettistica di Faldella. E, necessario guardarsi da una visione edulcorata del bozzettismo di Figurine. La «sublime ironia» che Maria Corti rileva nel discorso patriottico d'occasione pronunciato da Faldella a proposito di Garibaldi 'scrittore' è sempre in agguato dietro la maschera del proboviro. Ironia come saporoso ingrediente e come atteggiamento difensivo o compensatorio. Su quest'ultimo insiste Giuseppe Zaccaria nel suo meditato, e non abbastanza conosciuto e discusso, «tentativo di delineare una storia complessiva della narrativa piemontese postunitaria», dalla giovane letteratura torinese (eti-• chetta coniata da Faldella) fino a Calandra e Gozzano, sui binari della «storia» e della «ironia». Alla prima è finalizzata l'indagine sulla continuità della tradizione in una cultura regionale «in bilico tra passato e presente», e passato vuol dire speranze, presente delusioni (lo spostamento della capita- .le da Torino a Firenze vissuto come troncamento proditorio del cammino risorgimentale; le stragi di settembre e, pochi anni dopo, le mortificanti vicende del '66); l'ironia rappresenterebbe il «risvolto polemico» di queste delusioni. Assunte come dati preliminari le peculiarità del regionalismo piemontese rispetto a quello delle altre parti d'Italia, Zaccaria si domanda: quali risultati ha dato e su quali linee si è mosso, in letteratura, il processo di integrazione della cultura regionale in quella nazionale? Con una semplificazione che a conti fatti si rivela conveniente, lo studioso orienta nella direzione della storia quella che egli chiama la linea Sacchetti-Calandra, e nella direzione dell'ironia la linea Faldella-Gozzano. Questi tracciati a volte coesistono o si intersecano nello stesso autore. Dalla «contestazione ironica» di Faldella, progressivamente incline ad attestarsi su un generico e concìliante moralismo (le «probovirate» di cui discorre Vassalli), alla «morte della storia», scissi da questa i personaggi, cioè «l'invenzione», e all{ironia come schermo, in Gozzano, si captano i nodi di un tessuto letterario in cui Faldella occupa il posto forse più problematico. Pare (o sbaglio?) che egli stia un po' stretto su questa linea. È certo, però, che quanto di lui resta vitale, oltre che 'leggibile', rientra senza troppa fatica nel binario di cui si è detto; e molto di ciò che ne deborda rimane fuori anche dal gioco letterario. E, reazione comune ai lettori di Faldella il sentirsi impacciati dall'idea di ciò che lo scrittore avrebbe potuto essere, e non fu. Si è intanto insoddisfatti di quella vocazione all'equilibrio e al buon senso che lo induce irrimediabilmente a menare colpi di freno alla sua altrimenti gagliarda vena di prosatore non conformista. Vassalli gioca con grande estro Vienna i sintomi di una «complicazione del rapporto cosa-parola» rimasta però alle soglie di quella non mai raggiunta radicalità che avrebbe potuto far toccare a Faldella ben altri vertici, conclude: si potrebbe pensare che «se Madonna fuoco fosse stata tutt'una con Madonna neve, e cioè fosse stata Madame Bovary (... ), il nostro Faldella avrebbe potuto essere il nostro Flaubert». E Zaccaria, con discrezione forse eccessiva, accosta l'assurdo di certe pagine faldelliane in quello straordinario metaromanzo che è Nemesi o Donna Folgore ( da leggersi nell'edizione Fògola, Torino 1974, a cura di M. Masoero) all'assurdo di Beckett, ma per sostenere che «dal legittimista Faldella» non si poteva pretendere una risposta che fosse un superamento della «constatata crisi di valori esistenziali». Rileggere Faldella oggi significa anche intricarsi non soltanto nella trama dei rapporti con la cultura del tempo - cosa ovvia rispetto a ogni scrittore di ogni età - ma soprattutto nel gran bazar della sua biblioteca e della sua 'enciclopedia'. Altrimenti lo spettacolo del suo mistilinguismo espressionistico, della collisione fra strati di linLo scrittore Davai Ciass satirico sulle occasioni mancate di colui che «se avesse avuto un vizio qualsiasi S... ) poteva diventare, come niente, il nostro maggior scrittore moderno». E invece, sentenzia Vassalli, «gli toccò in sorte questo massimo tra i difetti umani che è l'assoluta mancanza di difetti corposi e corporei», per cui «il Proboviro che in lui cresceva a monumento di sé medesimo seppellì lo scrittore sotto montagne di Moralità, di Senno, di Rettitudine, d'Onestà, d'Equilibrio»; gli sarebbe ancora stato possibile salvarsi, ma a patto di diventare un estremista della retta via: «un Mostro (di Virtù, di Onestà, di Moralità e simili)». Vassalli non scherza: «avremmo avuto uno scrittore di vena trucida e bieca, forcajuolo in politica, tormentatore di se stesso e degli altri ma certamente grande. Un Céline piemontese fine Ottocento». Enrico Filippini, a sua volta, cogliendo in un particolare di A gua diversi - che è nota comune ai macaronici, da Folengo a Gadda, come insegnano e Contini e Segre -, rischia di essere gustato limitativamente come una brillante esibizione di fuochi d'artificio. E invece si vuol sentire anche l'orchestra, cioè l'effetto della pluralità di voci e di timbri che si percepiscono cogliendo i riferimenti all'intertesto (ai testi da cui lo scrittore trae alimento e suggestioni) e al materiale linguistico di cui consta la parola altrui che Faldella fa sua, inconfondibilmente sua. L a pubblicazione dello Zibaldone faldelliano a cura di Claudio Marazzini (Torino 1980; segnalato su Alfabeta n. 23, 1981, nella rubrica «cfr.»), ha reso libero l'accesso ai magazzini lessicali e tematici dello scrittore. Ne hanno egregiamente approfittato i curatori delle edizioni critiche di A Vienna e A Parigi: Zibaldone alla mano, essi hanno annotato i testi con intrepida caparbietà, e con l'occhio attento al ricorrere di una stessa espressione in più luoghi e opere, dandoci così abbozzi di concordanze faldelliane, se non quantitativamente certo qualitativamente significative. Volumi gemelli: per l'impegno editoriale, per l'impostazione (note biografiche e bibliografiche in parallelo, anzi pressoché identiche in entrambi) e per la redazione dell'apparato critico e del commento stilato all'insegna della più scrupolosa completezza di informazione; che ha indotto a chiosare tutto, quasi tutto, il chiosabile. Ne vien fuori una sorta di raccolta delle conoscenze enciclopediche implicate da ciascun testo; una provocazione intelligente a rallentare la lettura per regolarla sullo spessore concettuale dell'opera; quasi un invito a ricostruire un mondo e un'ideologia, una porzione storicizzata del sapere. Imparentati nei temi e nell'occasione della scrittura, i due volumi non collimano nella struttura enunciativa: A Vienna è la raccolta delle corrispondenze giornalistiche dell'autore, inviato speciale per la Gazzetta Piemontese all'Esposmone internazionale del 1873; A Parigi è il racconto romanzato, in terza persona, del viaggio di quattro personaggi d'invenzione - Geromino sindaco di Monticella, autoritratto caricaturale dell'autore, il suo amico e segretario comunale e le rispettive consorti - per l'Esposizione universale del 1878. Da non perdere l'introduzione di Luigi Surdich, che traccia con motivata sicurezza la storia editoriale dell'opera, sullo sfondo delle vicende di quello scorcio di secolo che fece delle Esposizioni internazionali «ragione di deliri», come scrisse Flaubert. Tra i lucori barocchi della Gita con il lapis e il grottesco stemperato nel buon senso gerominesco, che modera gli slanci dei provinciali a Parigi, la scrittura espressionistica di Figurine - «vivacissimae • sorniona, raffinata e graffiante», secondo la definizione della Corti - ci dà un saggio del miglior Faldella, in contenuti (bozzetti di vita paesana) che a tratti denunciano limiti e angustie: i limiti e le angustie non evitabili nel provincialismo della scapigliatura piemontese. «Innamorato cotto» della prosa di Faldella si dichiara Vassalli; e il suo è un invito irresistibile alla lettura: oltre che di Figurine, come si può intuire, anche del Faldella «gerominizzato» che guarda, cioè, «con gli occhi di Geromino sindaco di Monticella - o meglio, e fuor di metafora: con gli occhi suoi personali di presidente del consiglio provinciale di Novara, di deputato _e senatore del Regno». I libri di cui qui si è trattato ci offrono occasioni eccellenti: per un recupero non tanto dell'autore, in fase di buona fortuna editoriale, 00 quanto delle condizioni necessarie per misurarne davvero la consistenza. Ecco perché merita un consenso totale il lavoro compiuto ~ dalla Dillon Wanke e da Surdich -., sul materiale conservato nel Fon- 1( do Faldella della Biblioteca civica il e di Torino; un lavoro importante non solo per la costituzione dei te- :ci sti, ma specialmente per la risco- i:: perta del contesto di cultura entro ~ cui essi hanno preso vita. Ì - c::s
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