Alfabeta - anno VI - n. 65 - ottobre 1984

Miche! Foucault Histoire de la sexualité II. L'usage des plaisirs Paris, Gallimard, 1984 pp. 280 trad. it. L'uso dei piaceri Milano, Feltrinelli, 1984 pp. 264, lire Uì.500 Histoire de la sexualité III. Le souci de soi Paris, Gallimard, 1984 pp. 286 Paul Veyne L'élégie érotique romaine. L'amour, la poésie et l'occident Paris, Ed. du Seui!, 1983 pp. 248 A prima vista, il secondo e il terzo tomo della Storia della sessualità di Foucault s'inscrivono in quella rivalutazione delle categorie tradizionali della sessualità che si manifesta da qualche tempo nel pensiero francese, di cui.le manifestazioni più significative sono stati i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes (trad. it. Torino, Einaudi, 1979) e il libro Della seduzione di Jean Baudrillard (trad. it. Bologna, Cappelli, 1980). Anzi essi sembrano radicalizzare tale tendenza conducendo a una implicita considerazione positiva, se non apologetica, della temperanza sessuale, della fedeltà coniugale, dell'astensione dai piaceri omosessuali, nel quadro di una generale riconsiderazione dell'autocontrollo, del contenimento delle passioni, dell'elaborazione di uno stile di vita casto e austero. Tuttavia, chi volesse davvero considerarli come espressione di una prospettiva di resta!Jrazione della morale sessuale tradizionale sbaglierebbe non meno di chi li considerasse opere di erudizione sui costumi sessuali dell'antichità, privi di interesse attuale. In realtà, essi sono irriducibili a considerazioni ideologiche e conducono un discorso sulla mentalità e sulla problematica sessuale - rispettivamente· del IV secolo a.C. e del I secolo d.C. - acuto, ricco di finezze e aperto a importanti sviluppi, anche se susèettibile di critiche e riserve. Secondo Foucault, già nella Grecia classica è possibile individuare una pratica orientata verso la padronanza di sé, che si esprime nell'elaborazione di una serie di prescrizioni dietetiche relative alla disciplina degli atti sessuali, di consigli che riguardano l'economia della famiglia e della vita matrimoniale, infine di valutazioni sull'opportunità di limitare, se non escludere, l'aspetto fisico del rapporto pederastico. Tale parenetica, che mira complessivamente alla rarefazione del comportamento sessuale, sembra ispirata non tanto da un modello di vita etico in senso stretto quanto da un'esigenza lr) estetica sentita - è vero - da poc::s chissimi uomini, ma proprio per- .5 ciò tanto più significativa in una ~ ~ situazione sociale caratterizzata da ~ una diffusa promiscuità sessuale. ...... Successivamente, nel corso del ~ I secolo d.C., questo orientamen- -o g to si precisa e si rafforza, nel quao dro dell'influenza esercitata dalle ~ filosofie ellenistiche, lo stoicismo e i.:: l'epicureismo, le quali conferisco- ~ no un'importanza fondamentale l alla padronanza di sé e al dominio ~ delle passioni, e dalla riflessione Su Foucault / 4 Erose fila medica, la quale sollecita una maggiore vigilanza nei confronti dei pericoli derivanti dall'attività sessuale. L'aspetto più interessante di questa fase è il passaggio dalla problematica erotica classica, dominata dal rapporto pederastico, a una problematica erotica in cui la riflessione sul rapporto eterosessuale acquista una pari se non maggiore importanza, al punto che il primo viene a modellarsi sul secondo. Il dominio virile sui desideri si trasforma a poco a poco nel modello della purezza verginale, il cui coronamento è rappresentato dal matrimonio spirituale, dall'unione delle anime. Ef innegabile che l'oggetto dello studio di Foucault sta agli antipodi di quanto da vent'anni a questa parte è andato sotto il nome di rivoluzione, di liberazione, di emancipazione sessuale. Ma questo non basta per rifiutare in blocco l'opera di FouMario Pernio/a sposta esplicita e convincente alla prima domanda, che mi sembra più importante ed essenziale. Da un lato, Foucault sottolinea giustamente che questa morale dell'austerità è un saper fare, è una pratica di moderazione, è un comportamento che implica un continuo adeguamento alle circostanze, all'occasione, alla situazione concreta, un bilanciamento del più e del meno, una discriminazione sempre vigile e attenta, un uso sapien- •te di sé, del piacere, delle cose - tutte caratteristiche, queste, che stanno al polo opposto della morale metafisica, la quale si costituisce sulla netta separazione tra bene e male, tra sensibile e intelligibile, ed è animata da una tendenza al superamento, all'oltrepassamento, al trascendimento delle situazioni concrete. Dall'altro lato, tuttavia, Foucault mostra di considerare Platone non solo come un aspetto del movimento verso l'austerità, ma addirittura come il luogo in cui tutZingaro cault. È necessario semmai porle una duplice domanda: in primo luogo, che rapporto esiste tra il movimento verso l'austerità del IV secolo e la morale metafisica di Platone? In secondo luogo, che rapporto esiste tra le tendenze apparse nei primi secoli dopo Cristo e la morale cristiana? Alla seconda domanda Foucault risponde in modo esplicito e convincente. A suo avviso, per quanto sia evidente l'influsso esercitato sul cristianesimo da quèsta morale dell'autocontrollo e dell'austerità, che è nata e si è sviluppata completamente in ambiente pagano, tuttavia ad essa è estranea l'identificazione tout court tra la «carne» e il male operata dal cristianesimo. Foucault distingue nettamente l'etica dell'austerità dalla morale del codice: nella prima, l'accento è posto sul rapporto che ognuno ha con se stesso, sulla necessità di mantenersi in uno stato di serenità, sull'aspirazione a mantenersi liberi dalla schiavitù delle passioni; nella seconda, invece, l'accento è posto sulla codificazione del comportamento, sulle istanze di autorità che la fanno vigere, sull'esistenza di una legge e di un castigo. Per quanto sia impossibile ridurre la morale cristiana a una morale del codice, tuttavia è chiaro che essa ha introdotto una dimensione legalistica estranea all'antichità pagana. Molto più difficile è invece trovare nell'opera di Foucault unariti i problemi dell'eros pederastico trovano una soluzione nel «vero amore» del maestro e della saggezza. Ora, questa conclusione, che si basa sul passo del Simposio platonico in cui Diotima descrive l'ascesa dall'amore dei corpi all'amore del bello in sé, sta proprio all'opposto di un'erotica dell'uso e del discernimento, la quale è fondamentalmente antiplatonica e antimetafisica. Questa indebita assimilazione di Platone è del resto causa di non poche confusioni. S u di una questione particolar~ vale la pena di soffermarsi perché costituisce il punto più delicato, importante e profondo dei due volumi di Foucault: la distinzione tra il rapporto pederastico onesto e quello disonesto. Foucault mette giustamente in evidenza il carattere problematico, insieme amichevole e conflittuale, che s'instaura tra l'erasto, l'amante, e l'eromeno, l'amato. C'è innanzi tutto la differenza di età, perché l'amante appartiene a una generazione diversa da quella dell'amato, che è appena entrato nell'adolescenza. C'è il paradosso che colui che è destinato a svolgere un ruolo maschile e sessualmente attivo da grande, sia introdotto alla sessualità come oggetto di piacere passivo, al quale è perfino dubbio che partecipi o che possa partecipare. C'è infine la dimensione pedagogica, l'iniziazione alla vita adulta, la paideia, che pone l'amante in una situazione analoga al padre, al maestro, all'insegnante. Tutti questi elementi fondano una ·situazione erotica nel senso più profondo della parola: aprono cioè una relazione che sta a metà tra l'amicizia e l'inimicizia, tra l'accordo e il disaccordo, tra l'unione e la violenza. Anzi, il rapporto pederastico è l'unico tipo di relazione sessuale che abbia acquistato nella Grecia antica questa densità erotica. A Foucault non sfugge la complessità di tale rapporto, a cui dedica le pagine più belle della sua opera: «Non bisognava - scrive - che il ragazzo si comportasse 'passivamente', che si lasciasse fare e dominare, che divenisse il partner compiacente delle voluttà dell'altro, che soddisfacesse i suoi capricci e che offrisse il suo corpo a chi voleva e come voleva per mollezza, gusto della voluttà o interesse» (I, p. 233). Pur essendo chiaro che non si dovesse rifiutare completamente, tuttavia egli non doveva accettare tutto. Nel compiacere al primo venuto, senza vagliare la sua virtù, senza mantenere attenzione e vigilanza, senza rifiutarsi nel momento stesso in cui ci si dà, consiste il «disonore» del ragazzo. Su questo punto, dunque, Foucault si rivela molto più penetrante delle tesi generalmente sostenute su questo argomento, per esempio dal Meier (Storia dell'amore greco, Leipzig 1837), secondo cui la linea di discriminazione tra l'eromeno onesto e il pascon infame si riduce al fatto che quest'ultimo si faceva pagare. Tuttavia, non è sull'aspetto erotico e perciò essenzialmente ambiguo del rapporto che Foucault pone l'accento, bensì sulla necessità che nel ragazzo nasca e si sviluppi l'autocontrollo, sul fatto che egli diventando padrone di se stesso nel rapporto con l'erasto possa da grande diventare padrone degli altri nella vita pubblica, nella politica della città. Si spiega così che la dimensione erotica sia considerata da lui come uno squilibrio che deve essere superato nel «vero amore» platonico, oppure in un rapporto paritetico, modellato sul matrimonio, come avviene in età ellenistica. Va perduto così l'erotismo nella sua essenzialità: un rapporto che sta in mezzo, che non è né amore, conciliazione, unità, né violenza, lotta, dissidio. Al dilemma erotico dell' eromeno ( «violentato prova odio, consenziente suscita disprezzo»), succede la «comunità virtuosa» omosessuale oppure la «reciprocità graziosa» eterosessuale di Plutarco. L'esito è dunque neoplatonico: l'uso delle cose e il discernimento sono abbandonati a favore della «crasi», dell'unità degli sposi, a favore di «un'estetica dei piaceri condivisi». S i deve dunque concludere che nell'antichità dell'Occidente l'arte erotica è una pianta subito avvizzita, un fiore reciso da Platone e dal neoplatonismo? Il bellissimo libro di Paul Veyne sull'elegia erotica romana mostra il contrario. In un ambito geografico e culturale profondamente diverso dall'Atene del IV secolo a.C., nella Roma della seconda metà del I secolo a.e. nasce una rete sociale formata da cavalieri privi di ambizioni politiche e da affrancate di liberi costumi, all'interno della quale si annodano una serie di relazioni altrettanto complesse e ambigue quanto quelle pederastiche della Grecia antica. Qui il paradosso è un altro: non è di carattere erotico-politico, ma di carattere erotico-letterario. Queste donne, le Cinzie, le Corinne, le Delie, pur non essendo delle prostitute, si danno con grande facilità a una pluralità di amanti: perché dunque cantarle? perché farne l'oggetto di interi libri di poesie più o meno strazianti? e soprattutto perché paragonarle alle grandi dee della mitologia greca? La risposta più ovvia che lo spirito della modernità dà a tali domande è questa: perché le si ama. Veyne mostra invece che Properzio, Tibullo e Catullo avevano nei loro confronti un atteggiamento che non si può affatto definire come amore, e mette in evidenza la stranezza di un mondo (anzi, di un demi-monde) di cui fanno parte donne interessate al denaro e al potere, ma non insensibili allo charme del carmen, e uomini che si dicono loro schiavi, ma che si preoccupano soprattutto di assumere e di mantenere il ruolo pubblico di poeta; nonché la stranezza socio-psicologica di una mitologia in cui nessuno crede, ma che ciò nonostante costituisce l'oggetto di un sapere sublime universalmente rispettato. Tra questo mondo e questo cielo la poesia erotica romana funge da intermediaria, ma nello stesso tempo mantiene le distanze. Essa occupa la linea mediana, lo spazio intermedio, lo Zwischen tra gli uomini e gli dei, di cui parla Heidegger nel suo commento a Holderlin. Osserva Veyne che l'elegia erotica romana delude il gusto moderno per la sua mancanza di intensità, di passione, di amore, per l'abbondanza delle sue digressioni mitologiche, ma piace al gusto postmoderno, perché cool, fredda, perché «finzione umoristica», «paradosso divertente». Il contributo più importante del libro di Veyne all'elaborazione della nozione di erotismo come intermediario consiste nel mostrare che l'eros non è indipendente e separato dal linguaggio erotico - non è un'esperienza dell'anima, un sentimento, un desiderio, un'aspirazione o una facoltà che esiste prima del linguaggio. La sua intermedietà non consiste nel collegare l'esperienza soggettiva con la parola, nel dar corpo linguistico a un'anima appassionata, ma nel mettere in relazione termini che sono già dati,· presenti, effettivi. Perciò l'erotismo è fondamentalmente differente sia dall'amore sia dalla violenza. L'erotismo presuppone partners sessuali che, in qualche modo sia pure segreto e implicito, si danno e in qualche modo, sia pure segreto e implicito, si negano. Presuppone inoltre l'esistenza di un universo linguistico ampio e articolato che copre sia pure potenzialmente tutti i principali tòpoi erotici. Esiste un punto di confluenza tra l'erotica dell'uso e del discernimento, abbozzata da Foucault, e l'erotica linguistico-mitologica di Veyne? Questo punto è Ovidio, che tanto Foucault quanto Veyne escludono dalla loro indagine. L'autore dell'Ars amatoria attende ancora il suo filosofo.

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