Alfabeta - anno VI - n. 65 - ottobre 1984

tessitura del racconto. Forse perché il discorso, pur possedendo tutti i crismi dell'indagine rigorosa, è al tempo stesso una esplorazione mitica; è il vagheggiamento mitico di una libertà perduta, che ha pensato e programmato se stessa, che è riuscita, quasi sempre, a farci dimenticare la sua duplicità costitutiva: testa di Medusa, insieme bella e spaventosa, capace di Miche! Foucault Histoire de la sexualité II. L'usage des plaisirs Paris, Gallimard, 1984 pp. 280 trad. it. L'uso dei piaceri Milano, Feltrinelli, 1984 pp. 264, lire 18.500 Histoire de la sexualité III. Le souci de soi . Paris, Gallimard, 1984 pp. 286 D avvero un gran dono, quello che Miche! Foucault ha lasciato a noi antichisti con questi suoi due volumi, che un fato cui è difficile rassegnarsi ha voluto fossero gli ultimi. Un dono di sapere, e, prima ancora, una lezione di etica della ricerca. Nel processo di formazione del moderno, Foucault aveva scoperto, e descritto, molte «nascite» - a buon diritto, senza dubbio. Ma egli certamente sapeva che dove c'è nascita c'è anche genealogia, che la novità accade come flessione del continuum della tradizione. Ed è allora alla scoperta dei modi originari di questa tradizione, delle matrici di questa genealogia, che Foucault si è mosso in un'esplorazione di molti anni e di duro lavoro, attraversando i testi di Platone, di Aristotele, di Senofonte, di Ippocrate, di Isocrate (per L'usage des plaisirs), e ancora quelli di Artemidoro, Galeno, Seneca, Plutarco, Epitteto, Sorano e molti altri (per Le souci de soi). Un'esplorazione non priva di rischi intellettuali, un investimento coraggioso di un periodo della vita. Ma, scrive Foucault - e qui è la lezione di cui dicevo: «Quant à ceux pour qui se donner du mal, commencer et recommencer, essayer, se tromper, tout reprendre de fond en comble, et trouver encore le moyen d'hésiter de pas en pas, quant à ceux pour qui, en somme, travailler en se tenant dans la réserve et l'inquiétude vaut démission, eh bien nous ne sommes pas, c'est manifeste, de la meme planète» (Usage, p. 13). Quanto al sapere, il primo compito dell'antichista è quello di riassumere gli esiti di questa esplorazione: perché essi non mancheranno di lasciare una traccia precisa anche nel campo degli studi specialistici, sia che si tratti di vere e proprie scoperte o invece di ridefinizioni precise e illuminanti di quel che in modi diversi, filosoficamente meno rigorosi, era già noto. Foucault muove da una consta- , tazione, e da un problema. La prima: è falso che l'austerità sessuale, la censura dei desideri e dei piaceri, siano una novità del cristianesimo medioevale, rispetto a una mitica antichità cui ogni libertà sarebbe stata concessa. Il secondo: perché, in assenza di qualsiasi codice censorio di origine divina o istituzionale, di qualsiasi apparato trasformare in pietra chi osa profanare, con il solo sguardo, il suo terribile segreto. Il segreto di questa libertà - la sua violenza trascurata, nascosta o dimenticata - sembra meno interessante della sua epifania positiva. Si può forse dire che Foucault vuole prenderla alla lettera, mimando, con il gioco di una lingua sobria e pacificata, i silenzi e gli inganni che la rendono possibile. La ricerca erudita, l'esercizio filosofico e la finzione, mediata dallo stile della narrazione - attraverso questi tre strumenti, fusi con meravigliosa coerenza, Foucault vuole probabilmente chiedere, a se stesso e a noi che lo leggiamo: è possibile, oggi, pensare e progettare una libertà priva del suo segreto costitutivo, priva della vioSu Foucault / 3 lenza originaria che l'ha resa operante? E ancora: è possibile, oggi, ripensare e riformulare l'autonomia di un soggetto di libertà, fuori dalla catena delle costrizioni politiche, fuori dal vincolo di rapporti di forza storicamente determinati? Ci piace pensare che l'ultimo e rischioso viaggio di Miche! Foucault, alla ricerca di un nuovo modo di pensare e di vivere, sia stato Lavirtùantica di controllo e di repressione dei costumi, l'antico si è dato un pensiero e una pratica dell'austerità, e più ancora della soggettivazione morale contro il desiderio e il piacere? E ancora: quali le differenze che tuttavia persistono tra i due atteggiamenti? P artiamo da quest'ultimo interrogativo. Il cristianesimo produce una morale universale, fondata su una legge che promana dalla volontà divina e viene imposta da un'autorità istituzionale. Questa legge, che vale naturalmente erga omnes e mira all'annullamento del piacere, si articola in una codificazione casuistica delle condotte individuali, proibisce o limita o consente singoli atti, costruisce infine il soggetto morale nella forma di un as/soggettamento indiscriminato a se stessa. Nell'antico, la formazione della soggettività morale è descritta da Foucault in termini di opposizione polare· rispetto a questo paradigma. La virtù antica, in primo luogo, è sempre per pochi, letteralmente un lusso: riservato intanto a chi può essere per status il soggetto dell'eticità, e cioè il libero, maschio, adulto e ozioso- e tra questi a chi vuole legittimare lo status in una scelta di vita che lo renda coerente e trasparente. Foucault nota assai bene che neppure in epoca imperiale romana, quando la spinta all'austerità si fa più severa, nessun moralista invoca mai l'intervento pubblico, legislativo, a garanzia della morale: che resta sempre, e deve restare, una decisione individuale, un bios la cui scelta designa l'eccellenza del soggetto che l'ha compiuta, e non è in alcun modo universalizzabile nella impersonalità della legge. In secondo luogo, l'austerità sessuale non è mai codificabile come un sistema di interdetti a carico di singole condotte, di desideri o piaceri - siano essi adulterini, omosessuali o variamente pensabili come innaturali. Quello che si tratta di controllare e limitare è la tendenza quantitativa alla illimitatezza propria dei desideri e dei piaceri - alla quale va imposta una regola, cioè un'arte o savoir faire del piacere che consenta al soggetto etico non di annullarne il desiderio ma di assumerne la signoria. E proprio qui sta la chiave della risposta al problema di cui si è detto. È esattamente nello spazio della libertà - cioè dell'assenza di apparati repressivi di potere e di istituzioni rigide delle gerarchie sociali - che si pone l'esigenza di un autocontrollo, di un dominio di sé (delle proprie passioni) che è a un tempo il segno della propria libertà e della propria signoria, anche su altri. L'austerità sessuale, scrive Foucault, è la «stilizzazione di un'attività nell'esercizio del proprio potere e nella pratica della propria libertà» (Usage, p. 30). Mario Vegetti La temperanza, dunque, come arte del vivere, come estetica dell'esistenza che si delinea sullo sfondo di un eccesso di libertà determinato dall'assenza della Legge, di un'assolutezza della padronanza che va però trasformata in signoria. L'isomorfismo di rapporto sociale e relazione sessuale - dove dominio vale penetrazione - fa sì che la temperanza significhi immediatamente legittimazione del potere, perché dà prova della capacità di dominare innanzi tutto se stessi. Con due importanti corollari: che la temperanza è virtù soltanto maschile, spettando alla posizione femminile la sottomissione alla penetrazione e al comando altrui, quindi anche un'incapacità di autocontrollo, una indefinita disponibilità che va regolata dalle figure austere del padre e del marito. E che l'omosessualità, sulla quale non pesa alcun interdetto, rischia tuttavia di esporre il futuro maschio adulto alla soggezione sessuale, dunque all'esclusione dal potere: un rischio che va governato dalla cautela della sublimazione, dallo spostamento verso il rapporto di philìa, dal passaggio dunque dal corpo verso l'anima e la verità. Lf epoca imperiale romana segna, secondo Foucault, una svolta verso una maggior attenzione a sé come soggetto morale (la «conversione a sé» di cui parla Epitteto), sia nella forma di uno sdoppiamento del soggetto in cui una parte è controllore e giudice dell'altra, sia anche nella preoccupazione medica verso lo spreco sessuale, e il controllo necessario dei mali posti al confine dell'anima e del corpo: preoccupazione che dà ai testi di Galeno e di Sorano un tono più austero rispetto a quella forma di arte del vivere espressa dalla dietetica di Ippocrate e Diocle. Si tratta di una svolta che non va direttamente imputata al presunto 'individua}ismo' succeduto alla crisi della polis e alla formazione degli imperi - perché, osserva giustamente Foucault, la vita continua a esser 'pubblica' - ma che non è tuttavia senza rapporto con le nuove forme del poteré. Rispetto a esse una più severa stilistica del- !'esistenza si costituisce non già come ideologia ma come una risposta possibile (sono importanti in questo senso le pp. 105-6 di Souci). Si è sciolto il nesso immediato, tipico dell'età classica, fra potere su sé e potere sugli altri: ognuno si trova dislocato lungo la catena gerarchica del comando, è al tempo stesso signore e suddito (ad eccezione naturalmente del principe, che può tuttavia pensarsi come servitore del senato, del popolo o del fato, e d'altra parte di chi non partecipa alla distribuzione del potere, e non costituisce dunque neppure potenzialmente un soggetto morale). In questa situazione ambigua di signoria e sudditanza, sono possibili due risposte, non necessariamente alternative: la prima consiste nella «messa in scena accurata e ostentata» dello status, quindi della responsabilità di comando; la seconda sta appunto nella ricerca - che sembra spezzare la sudditanza alla catena del comando - di un rapporto adeguato con sé, di una piena sovranità su se stessi. Due modi di stilizzare l'esistenza, il secondo dei quali irrigidisce i vincoli dell'austerità sessuale (anche dal punto di vista delle relazioni matrimoniali e omosessuali) in una direzione che prelude alla moralità cristiana, senza per altro mai attenuare le differenze fondamentali di cui si diceva all'inizio. Cf è qualcosa in questi libri . che colpisce il lettore di Foucault anche al di là delle tesi fin qui sommariamente riassunte. L'esploratore dell'antico ha subìto il fascino del classico. Lo si vede prima di tutto nella scrittura inconsueta: di misura larga e piana, limpida e ben architettata, mai concitata e allusiva; lo si vede nel calmo piacere con cui Foucault racconta per esteso i testi che è venuto leggendo. Ma la seduzione accaduta è altrettanto chiara al livello del maggiore nesso storico-filosofico che governa i due volumi. Il grande analista dei poteri di interdetto e di repressione ha incontrato la «libertà dei greci» - e l'ha probabilmente sopravvalutata, perché una società priva di codici e delle relative istituzioni elude i suoi consueti strumenti d'indagine, nasconde loro il proprio sistema di poteri o lo esibisce talmente (nella drastica selezione dei possibili soggetti etici, nel dominio dell'ideologia, nei dislivelli di status) da renderlo invisibile anche per questa via. Una morale non repressiva non può allora che tradursi - ed è questa la seconda fascinazione - in un'estetica, in una stilizzazione della vita, in un'arte dell'esistere. La bella libertà, dunque: dove Foucault legge l'affascinante paradosso per il quale la coppia repressione/desiderio non corrisponde a quella esterno/interno, potere/libertà - al contrario, la censura, nella forma dell'autocontrollo temperante e virtuoso, è l'esercizio stesso della libertà, la matrice della formazione di una soggettività che raggiunge la morale attraverso il canone estetico del limite. Più che di verificare qui quanto tutto ciò sia attendibile, sembra piuttosto il caso di segnalarne la novità rispetto alle usuali prospettive foucaultiane. Una novità che si riflette anche nei modi di lettura: assai più che altrove, qui Foucault pare rispettoso dell'unità dei testi, della funzione d'autore, dell'ordine dei significati quali vengocompiuto anche per poter rispondere a queste domande. In ogni caso, forse mai uno sguardo sul passato è stato così carico di speranza, così profondamente rivolto al pensiero del nostro avvenire. In Alfabeta n. 64 è già apparso un articolo di P.A. Rovatti, «Foucault in Italia»; sono attesi altri articoli già convenuti con la direzione. no proposti e intenzionati in modo esplicito; e pare sensibile al primato della parola filosofica 'alta', anche se le vengono talvolta affiancati testi di altra pertinenza disciplinare, medica in primo luogo (ma, come lo stesso Foucault osserva giustamente, filosofia e medicina intrattengono nell'antico un rapporto assai stretto di oggetti e di linguaggi). Questa relativa unidimensionalità si spiega certo con il carattere fortemente unilaterale della tradizione antica che ci è pervenuta, tutta o quasi 'alta' e culturale: disponiamo in misura scarsissima (a differenza già dal Medioevo) di testi in qualche modo 'istituzionali', di saperi diffusi, di testimonianze delle pratiche sociali che non siano già filtrate o interpretate. Siamo per contro largamente informati sui segmenti della episteme antropologica, psicologica, biologica, zoologica, cosmologica: e non si può non pensare con dolore all'impossibilità, ormai, di invitare Foucault ad aiutarci con la sua indagine anche su questi terreni. A partire da questi libri, molti campi di esplorazione vengono aperti, molti compiti che non potranno venire elusi ci sono proposti. Per esempio, il ruolo giocato dalla grande discussione ellenistico-romana sul f~to nella definizione della soggettività attraverso la responsabilità morale. Oppure, le vie alternative che cinici e stoici indicano rispetto a un'etica risolta in stilizzazione della vita, che può anche apparire tanto socialmente integrata da risultare rassegnata e rinunciataria rispetto a un qualunque piano di valori. I cinici, proprio con il rifiuto della misura e del limite, con il progetto di liberare l'esistenza sfigurandola attraverso il gesto provocatorio e scomposto; gli stoici, con lo sdoppiamento del soggetto in attore e personaggio, contemporaneamente dentro e fuori rispet~o alla rappresentazione sociale delle passioni (i modi di stilizzazione della vita riguardano qui soltanto il personaggio e non vincolano la totale libertà del saggio-attore: ma penso naturalmente allo stoicismo greco, non a quello romano su cui è invece centrata l'analisi di Foucault). Infine, per tornare alla questione delle origini: alle spalle dei grandi moralisti del IV secolo, alle spalle degli stessi Pitagorici, sta certamente un'esperienza costitu- "<:ttiva della soggettività, quella ome- ~ i::: rica. Dimenticare Omero sembra -~ aver costituito per secoli il pro- t:l.. gramma centrale della riflessione ~ morale greca; per misurarne lo -. sforzo e il senso, noi dobbiamo ri- ~ -e:. cominciare a capirlo, a leggere la g traccia profonda e probabilmente 0 incancellabile che quella esperien- ~ za ha segnato nell'uomo antico. Su ~ questi cammini, siamo oggi più so- ~ li; ma anche più ricchi, grazie al ;g_ dono che Foucault ci ha lasciato. ~

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