Alfabeta - anno VI - n. 65 - ottobre 1984

\ Traverses n. 30-31: Le secret • Paris, Centre G. Pompidou, 1984 _, ff 70 11 centro d'arte .e di cultura Georges Pompidou di Parigi pubblica ormai da diversi anni la rivista Traverses. Si tratta di una rivista la cui originalità, anche in campo internazionale, dipende dalle suggestive scelte tematiche che titolano ogni fascicolo (per· esempio la morte, il maquillage, il deserto, la paura, l'osceno) e soprattutto dal modo eterogeneo S ilenzio, segreto: opposizione o complicità? Azzeramento della comunicazione o non piuttosto - heideggerianamente - estrema dimora del linguaggio? «Mantenere il silenzio su qualcosa vuol dire non parlarne, custodire un segreto», recitaun noto dizionario. Ma questa cesura dellaparola non dice già abbastanza su ciò che vuol nascondere e, al tempo stesso, non indica altri orizzonti, non apre altri universi discorsivi? Ci sono silenzi che hanno ilfragore di un tuono: «I gangsters e gli dei non parlano, muovono La testa e tutto si compie» (R. Barthes). Ma il tuono non è di per sé comprensibile, è un parlare che non dice se non a chi sia in grado di riconoscervi, oltre che deciderne, un senso. Questi due Livelli,quello semiotico e quello che, con una scorciatoia categoriale, si suol dire ontologico, hanno costituito i cardini teorici attorno ai quali è ruotato il convegno internazionale Il silenzio, il segreto, svoltosi a Padova dal 24 al 26 maggio. IL convegno, coordinato da Alberto Folin e Filiberto Tartaglia, era promosso dalla rivista Media e Messaggi, che si pubblica a Padova e di cui proprio in quei giorni usciva il n. 213dedicato a La voce e la festa (Media e Messaggi organizza sempre i suoi interventi intorno a un centro tematico fon dato su differenze), ed era patrocinato dal comune di Padova, con Lacollaborazione del Goethe Institut di Trieste e del Centre Georges Pompidou di Parigi (che per l'occasione ha presentato in Italia Traverses, Larivista del Centre de Création Industrielle). La differenza presa in esame in questo caso da Media e Messaggi è quella fra il silenzio e il segreto - sempre che di una differenza si tratti: il dubbio è emerso più volte durante il convegno. Per Jean Baudrillard, ad esempio, Lavera opposizione è tra il silenzio e Laparola, in quanto «la parola ha una storia, il silenzio no». In una prospettiva del genere il silenzio vede ridotto il suo statuto a semplice modo di essere della parola e appare, precisamente, come il suo segreto. ILnichilismo di Baudrillard - quello, radicale, delle Stratégies fatales - finisce per approdare a una rappresentazione delle masse come «deserto». Universo «osceno» il cui silenzio è il venir meno dell'ascolto, dello sguardo - che non è un vedere - e della voce; cui non è più dato di riflettersi in alcun luogo • che non sia la scena della propr'a stessa << Traverses>> con cui questi temi sono affrontati. Il nome dato alla rivista, infatti, non è casuale - e lo spiega ai lettori una breve definizione, presa dal dizionario Littré della lingua francese, posta come esergo in quarta di copertina. Le traverses sono dei percorsi minori che congiungono indirettamente le strade maestre della filosofia, delle arti, della psicoanalisi e delle scienze logico-matematiche. Per il comitato di redazione, comprendente Jean Baudrillard, Miche! de Certeau, Paolo Fabbri, Roberto Benatti Mare Guillaume, Gilbert Lascault, Mare Le Bot e Louis Mario, ci sono pertanto dei temi forti che sono capaci di attrarre delle prospettive di analisi tra loro diverse, ma che al tempo stesso non penalizzano l'implicita teoricità dei singoli oggetti analizzati. Questo criterio - ben lontano dal fare di Traverses un coro monocorde di voci - è seguito anche nell'ultimo numero, dedicato al segreto. Prima di tutto qualche generalità: è segreto, secondo l'etimo del latino se-cernere, quel cc5ntenuto, o quella sostanza, che è stato separato da una condizione natur~le di esistenza. Tuttavia - come ricorda Andras Zempléni nel suo articolo «Secret et Sujétion» - il segreto è il risultato della separazione di un oggetto che non è necessariamente empirico e tangibile, ma può essere astratto e cognitivo: il sapere. Per il motivo appena accennato, la riflessione sui caratteri peculiari del segreto, come fatto comunicativo, ha portato la maggioranza degli autori dei saggi raccolti in Traverses a interrogarsi, in modo specifico, sulle strategie di manipolazione del sapere che interessaIlsilenzioi,lseg sparizione. ILsilenzio, presente in ogni parola come elemento costitutivo del1a' tto del parlare, è assente invece nella scrittura che in alcuni casi estremi - ad esempio Kafka - sembra ubbidire a una costrizione a parlare: una sorta di «coazione a ripetere Lanominazione originaria» (W. Kaempfer). Molti relatori hanno insistito sull'immagine del silenzio come obbligo di tacere, imposto, naturalmente, dal potere. Tra questi Mario Galzigna ha tratteggiato in maniera assai convincente il costituirsi di una dottrina medico-Legalesulla malinconia, riconnettendolo ali'apparire di una serie di dispositivi via via più capaci di impadronirsi di ogni segreto del soggetto riducendolo, di fatto, al silenzio. Sulla stessa linea, quella che concepisce il silenzio quale polarità negativa e complementare del logos, hanno insistito Leopoldina Fortunati (Il silenzio delle donne come ornamento), Giovanna Franca Dalla Costa (Perché non parli?), Diana Crampton (Linguaggio della donna come silenzio nella lingua inglese). Non è detto, però, che il silenzio debba essere concepito necessariamente come spazio vuoto in cui si consuma Laseparazione tra senso e non senso: ne sono un esempio gli antichi formulari rituali indiani evocati da Charles Malamoud in un affascinante intervento sulla preghiera silenziosa come «emblema» della totalità: «Momenti di silenzio all'interno del rito servono a regolare le parti sotto il segno del tutto: il silenzio interstiziale non è divisorio bensì inglobante». La concezione della spaziatura come elemento connettivo del senso si ritrova anche nel pensiero di Emmanuel Lévinas, analogia che la distanza culturale e temporale rende ancor più 'intrigante' e significativa. Ma se il silenzio unisce anziché dividere, e unisce proprio in virtù della scansione costitutiva ab aeterno del rituale, ne esce confermata Lacontrapposizione, evidenziata da Alberto Folin (Il silenzio e la traccia), tra Laconcezione del silenzio interna alla tradizione ebraica - accanto a Lévinas Folin ha ricordato Benjamin, Wittgenstein, Kafka e Jabès- e quella di Heidegger, secondo il quale la parola, aprendosi alla voce, parla «unicamente e costantemente nel modo del silenzio» (Essere e tempo, p. 332). Si può esserepiù antichi dell'origine? Certamente, se è vero che il rito precede il mito e questa preceMarino Niola denza definisce il primato della scrittura. « Perché ogni scrittura è aforistica. Non c'è 'logica', non c'è rigoglio di liane connettive chepossa venire a capo della sua discontinuità e della sua inattualità essenziali, della natura dei suoi silenzi sottintesi» (J. Derrida, La scrittura e la differenza, p. 89). È questo l'orizzonte teorico che sembra far da sfondo alla relazione di Mario Spinella, il quale si è interrogato sui silenzi della scrittura di Virginia Woolf quali riflessi di una coazione ~ ì l dini di realtà che ne rappresentano i corollari. Ad esempio, come considerare le «spaziature», le pause? Semplici vuoti, inquietanti margini esterni del linguaggio, oppure bordi interni? Condizione della comunicazione stessa, essenziale articolazione che disegna il profilo luminoso del senso sullo sfondo opaco dell'Essere, linea di confine tra il linguaggio e la morte? O, ancora, tessitura tutta interna al discorso, almeno nel quadro di un investimento semiotico del silenzio? Nozze a Lodz, Polonia a nascondersi. Il silenzio appare così alla stregua di una tecnica compositiva, un'articolazione di intervalli, un'affascinante trama che intreccia inestricabilmente scrittura e vita in un Erlebnis totale. Esistono, però, altri modi per negare la negatività del silenzio. Il che conferma che, in fondo, non esiste una sostanza del silenzio che non sia il suo darsi fenomenologico con la conseguente varietà degli orAppunto sul versante semiotico ha 'lavorato' Paolo Fabbri (Il resto è il silenzio: off the record e segnali inauditi) senza indugiare sull' ontologia del silenzio, bensì indagando sugli effetti - per esempio, quelli di verità - prodotti dal silenzio all'interno della struttura del discorso. In una prospettiva di questo tipo il silenzio appare quale interazione tra soggetti, una strategia che comporta, tra l'altro, che il segreto non sia un nascondere quanto un no tanto l'informatica quanto i wargames - senza dimenticare l'ipotesi di un conflitto nucleare, le cui regole sono descritte da Alain Joxe («La stratégie nucléaire»). Queste strategie elaborano di fatto la trasparenza e l'opacità degli oggetti della conoscenza, stabilendo il loro aspetto logico-formale, anche per mezzo di una sofisticata teoria dei giochi applicata con l'ausilio degli «ordinatori artificiali», un modo nuovo per chiamare l'ultima generazione dei computers. Si può dire con Francis Affergan («Critique de la transparence mostrare di aver qualcosa da nascondere. Non semplice strategia, dunque, ma strategia di seduzione. Tuttavia riconoscere la positività del silenzio in termini di effetti e funzioni è solo un aspetto, sia pur fondamentale, della questione. Il silenzio non si Lasciaridurre a segno «per argomentazione» (Hobbes) senza comportare ai semiologi l'accusa di riduzionismo. • Ricondurre il silenzio all'interno della parola non significa forse rivestire di panni nuovi il vecchio strumento della dialettica?È quanto si è chiesto Gianni Scalia in un intervento che ha posto una serie di q__uestionriadicali e spesso rimosse. E forse il segno di una dannazione, antica quanto la metafisica occidentale, quella che riduce il Molteplice all'Uno? Siamo dunque, ancora, figli di quell'Illuminismo che «riconosce a priori, come essere ed accadere, solo ciò che si Lasciaridurre a unità» (Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'Illuminismo, p. 15). Anche se il silenzio è presente nella parola, ciò non deve esimere dal continuare a interrogarcisu cosa esso sia, sulla sua differenza. Queste le direttrici fondamentali del dibattito. Ma vorrei ricordare anche le relazioni di Hans Diete, Bahr, Armando J. Bauleo, Giacomo Contri, Juan Carlos Iglesias, Dietmar Kamper, Mare Le Bot, Giancarlo Negri, Oddone Longo (che, con Ezio Pellizer, ha offerto al dibattito La testimonianza del- /' antico). Tutte queste relazioni hanno in fondo finito per affermare la sostanziale indicibilità del silenzio, alcune direttamente altre implicitamente, assumendo il silenzio come il già dato da cui muovere e non come l'oggetto su cui interrogarsi. ILche, se da una parte rivela ancora una volta i limiti di convegni di questo tipo, dice, dall'altra, che si tratta di limiti oggettivi, inevitabili a causa dell'indecibilità di una questione cheforse solo lapoesia può nominare ed evocare con la potenza necessaria. Non è un caso se il momento di maggior tensiolllesilenziosa si sia raggiunto nel corso di un'affollatissima serata di poesia con Gianni Scalia, Edmond Jabès, Mario Luzi, Andrea Zanzotto. Le questioni di fondo restano dunque aperte - il convegno lo ha dimostrato ancora una volta - e in realtà è giusto che restino tali poiché, avrebbe detto Adorno, è il problema stesso che impone di non scegliere. Il silenzio, il segreto Sala Rossini del Caffè Pedrocchi Padova, 24-26 maggio 1984

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