Diari di gu@~aubon • di Sartre Jean-Paul Sartre Les carnets de la dròle de guerre Novembre 1983 - Mars 1940 Paris, Gallimard, 1983 pp. 432, ff 90 Lettres au Castor et à quelques autres Paris, Gallimard, 1983 vol. I: 1926-1939 pp. 520, ff 120 vol. Il: 1940-1963 pp. 367, ff 95 Denis Hollier Politique de la prose. Jean-Paul Sartre et l'an quarante Paris, Gallimard, 1982 pp. 310, ff 89 Jean Rousset «Le journal intime, texte sans destinataire?» in Poétique n. 56 novembre 1983, pp. 435-43 A ll'epoca della pubblicazione, nel 1939, Sartre ha da tempo preso le distanze dalla Nausée. O, per lo meno, ha rotto ogni legame identificatorio con il suo eroe-narratore, Antoine Roquentin, l'intellettuale in «male di trascendenza» che credeva alla possibilità di riscattarsi con l'arte («une histoire belle et dure comme l'acier») dal peccato di esistere, dall'invischiamento nella contingenza. Non si scrive per salvarsi, si scrive per aiutare gli altri a salvarsi. Tale è il postulato della dottrina sartriana dei fini della letteratura, elaborata alla fine degli anni trenta: «Un nouveau type d'engagement est mis au point, par rapport auquel la littérature n'est plus une fin mais un moyen, engagement d'abord mondain au sens de Husserl, mais qui devait prendre rapidement, avec la guerre, la tournure sociale et politique que l'expression 'littérature engagée' a du mal aujourd'hui à ne pas connoter» (Hollier, p. 18). E infatti sarà proprio la guerra (Simone de Beauvoir scriverà a questo proposito ne La force de l'age: «l'Histoire m'a saisie pour ne plus me lacher»), la mobilitazione e poi la prigione ad accelerare la verifica di tale postulato non soltanto attraverso la riflessione filosofica che sboccherà in L' Étre et le Néant ma anche mediante l'ideazione e la parziale realizzazione del ciclo romanzesco Les chemins de la liberté, incompiuto a causa di una nuova rottura, quella che, in piena guerra fredda, stabilì l'equazione rimasta pressoché immutata: Letteratura = Nevrosi. Proprio negli anni cinquanta prenderà forma l'autobiografia Les mots, ritratto pacato dell'artista come borghese nevrotico. L'ideale della letteratura impegnata si era rivelato una pura utopia, poiché la borghesia è il solo ed esclusivo pubblico della letteratura. N ulla lascia prevedere questo (::I epilogo quando, il 12 set- ~ -~ tembre 1939, il soldato Sarc::i... tre raggiunge i servizi meteorologici di Brumath, in Alsazia, a pochi chilometri dalle linee nemiche. Sartre partì per la guerra un po' come pensava di mandarci Roquentin (che non si chiamava ancora Mathieu, il protagonista dei Chemins de la liberté), per agire e, ~ attraverso l'azione, sperimentare l la propria libertà («la conscience, ~ pour agir librement, prend en charge, assimile et fait siens les motifs que le monde lui donne», Hollier, p. 24). Non solo Sartre non si ribellerà mai a questa esperienza, ma anzi tenterà di viverla fino in fondo - ciò che per lui significava ancora metterla in parole. Una triplice veste verbale: quella autoreferenziale del diario ( Carnets de la drole de guerre), quella intersoggettiva della corrispondenza ( Lettres au Castor et à quelques autres), quella speculativa del saggio fenomenologico ( Cahiers pour une morale, Gallimard, 1983). Ma di quest'ultima, che meriterebbe un articolo a parte, non parleremo qui. Che Sartre avesse tenuto un diario durante la guerra si sapeva già, anche se in modo vago. Simone de Beauvoir aveva menzionato di sfuggita dei diari Sé\rtriani ne La force de l'age: «Sur les carnets de moleskine où il notait sa vie au jour le jour, ainsi qu'un tas de réflexions sur lui-meme et sur son passé, il ébauchait une philosophie». Contate Ribalka ne avevano pubblicato un'esigua silloge dal 1940 (in Ecrits de Sartre, Paris, Gallimard, 1970): labili tracce, dove era difficile riconoscere la vera quanto inattesa scoperta letteraria rappresentata da questi Carnets, pubblicati postumi da Gallimard - che ha così realizzato una delle sue più riuscite imprese editoriali degli ultimi anni, facendoli seguire a breve scadenza dai Cahiers e dalle Lettres. La densità e l'interesse di questi testi è tale che possiamo non tener conto, per ora, dei criteri tutt'altro che rigorosi, sul piaho filologico, di queste edizioni. Le note editoriali sono sommariè e lacunose quanto lo era stata, nella finzione romanzesca, la nota di presentazione del diario di Roquentin, anch'esso postumo - o almeno pubblicato senza il consenso esplicito dell'autore. Sartre avrebbe accettato tali pubblicazioni? Certamente per quanto riguarda la corrispondenza, che si avvale in copertina di una sua dichiarazione pubblica: «Je pensais à part moi qu'on aurait pu les publier, ces lettres ... J'avais la petite àrrière-pensée qu'on les publierait après ma mort»; molto probabilmente anche riguardo ai Carnets, dotati in una lettera a Simone de Beauvoir di un esplicito avvenire postumo: «Je fais justice de moi sur mon petit carnet noir. Celui qui le lira après ma mort - car vous ne le publierez que posthume - pensera que j'étais un vilain personnage» (Lettres I, p. 300). Nel dubbio, sarebbe bastata un po' più di chiarezza. Tanto più che Sartre era piuttosto critico nei confronti del diario, genere per lui di natura femminile («Je suis guéri, je renonce à écrire mes impressions au jour le jour, comme les petites filles, dans un beau cahier neuf», scriveva frettolosamente Roquentin, in limine a uno dei più bei diari fittizi della letteratura francese). Una critica trasformatasi in una vera e propria liquidazione alla fine degli anni trenta, quando «l'engagement veut mettre un terme à l'auto-référentialité» (Hollier, p. 105), dopo aver liquidato, tramite l'intenzionalità husserliana, non solo Proust e Arnie) ma, niente meno, la vita interiore, appannaggio (o miraggio?) anche allora delle ragazzine: «Ce n'est pas dans je ne sais quelle retraite que nous nous découvrirons: c'est sur la route, dans la ville,"au milieu de la foule, chose parmi les choses, homme parmi les hommes» ( Une idée fondamentale de la phénoménologie de Husserl: l'intentionnalité, in Situations I, Gallimard, coll. «Idées», p. 42). Il J'ai fait ~n re~our s~r ~on '' carnet a m01 et j'a1 vu combien il différait de ceux de Gide. C'est d'abord un carnet de témoin. Plus je vais, plus je le considère comme un témoignage: le témoignage ,d'un bourgeois de 1939 mobilisé, sur la guerre qu'on lui fait faire. Et moi aussi j'écris n'importe quoi sur mon carnet, mais c'est aussi avec l'impression que la valeur historique de mon témoignage me justifie à le faire» (Carnets, p. 90). A meno di tre mesi dalla sua assegnazione a Brumath, quando ha già scritto tre quaderni\ Sartre sospende la sua redazione e, in una lucidissima mise en abfme, ne scompone le motivazioni e gli scopi, ne evidenzia l'originalità innanzi tutto nei confronti del Journal di Gide che ha appena finito di leggere. «Pagano» e «orgoglioso», di fatto questo diario non è un diario (e così, del resto, non è mai definito da Sartre). O, per lo meno, la poetica di esso rispetta soltanto l'unico impegno - la «legge di Blanchot», come la chiama Jean Rousset - che funga da comun denominatore a pratiche tra loro spesso diverse: «Le journal intime qui parait si dégagé des formes ( ... ) est soumis à une clause d'apparence légère mais redoutable: il doit respecter le calendrier. C'est là le pacte qu'il signe» (J. Rousset, in Poétique n. 56, p. 433). . In presa diretta sul reale, catturato nella prospettiva del quotidiano e unicamente di esso, il diario offriva a Sartre la struttura più idonea a sperimentare le sue riflessioni su una morale del presente vissuta non nel «mode du substantif mais de la deixis» (Hollier, p. 140). Se - come avrebbe detto Roquentin - per vederci chiaro bisogna parlare del presente e a partire dal presente, en situation, il diario si rivela una scelta quasi obbligatoria. Scelta non più femminile ma maschile: quella di un uomo tra gli uomini, di un soldato tra i soldati appunto. Dal soggetto Sartre sposta l'interesse verso l'oggetto della scrittura. Egli sfrutta al massimo lo scarto d'identità sul quale riposa ogni spazio autobiografico. Anzi, lo spinge al limite della rottura in una costante «remise en question de moi-meme» (Carnets, p. 91). Lo scopo dichiarato è fare piazza pulita, liquidare il passato - «essentiellement une mise au net». Non più la scrittura segreta e intransitiva del privato ma la scrittura trasparente e transitiva del pubblico («jusqu'à cette guerre j'ai vécu public. Et ces carnets, au fond, sont une manière de vivre public encore. Souvent je force mes impressions. Qu'on m'entende: je les force dans le bon sens mais une erreur frakhe et sombre serait peut-etre préférable à leur aveuglante vérité. Car cette vérité n'a plus rien d'historiflue, elle ne concerne plus l'homme que je fus en ce jour, à cette heure. C'est une vérité d'essence», Carnets, p. 331). I sentimenti sono trattati come delle idee: le circostanze della vita quotidiana, il carattere, le impressioni, sono definiti con tale scrupolo che «tout cela n'est déjà plus moi». Il mondo della deixis svanisce in quello delle essenze. Artigiano tanto più sicuro perché assecondato dal fido strumento della scrittura, Sartre non si lascia contaminare dai dubbi che solitamente inficiano il difficile rapporto tra il soggetto e l'oggetto dell'enunciazione. Sordo alla crisi del linguaggio che ha partorito la modernità, ostinato nel credere che le parole servano e riescano a dire le cose (e nient'altro), egli non ha dubbi quanto all'esito felice dell'operazione, che, una volta raggiunto il proprio scopo, dovrà cessare perché si passi a cose più serie: «Tant que j'étais 'en ligne' à 10 kilomètres des postes avancés, susceptible d'etre bombardé, [ce carnet] avait son sens. Peut-etre à l'arrière faudra-t-il mettre un point final à cette 'mise en question' et recommencer à construire: finir mon roman - écrire une philosophie du néant» ( Carnets, p. 383). T rascrizione di una crisi collettiva e individuale rigidamente circoscritta nello spazio e nel tempo, i Carnets non sono mai riusciti a eliminare completamente l'ipoteca che la diffidenza del redattore per tale scelta enunciativa faceva pesare su di loro: «J'avais horreur des carnets intimes et je pensais que l'homme n'est pas fait pour se voir, qu'il doit toujours fixer son regard devant lui. Je n'ai pas changé» (Carnets, p. 175). Esito di un felice (in questa prospettiva) concorso di circostanze - la guerra, l'incontro con nuove discipline come la fenomenologia, la psicoanalisi, la sociologia, la lettura di L 'age d'homme di Michel Leiris - essi non hanno risolto il problema che sta alla base di ogni scrittura autoreferenziale, il difficile rapporto tra la verità (dell'oggetto) e l'autenticità (del soggetto). Proprio perché privilegia la «vérité d'essence», Sartre si scontra, in pagine bellissime, con il problema dell'autenticità («Valeur métaphysique de celui qui assume sa vie ou authenticité. C'est le seul absolu», Carnets, p. 123), della sua difficoltà e incapacità a essere autentico («C'est vrai, je ne suis pas authentique ( ... ). Tout ce que les hommes sentent, je peux le deviner, l'expliquer, le mettre noir sur blanc. Mais non le sentir», Carnets, p. 82). E, di fatto, non c'è nulla di intimo, di umorale, in queste pagine che allentano la loro presa appena si rompe il difficile equilibrio tra esterno e interno («Je vais sauf imprévu négliger quelque peu mon carnet, il sent l'organe», Lettres I, p. 392). Esse non trascrivono un sogno, non esprimono un desiderio. Il corpo, assente, appare soltanto in quanto ostacolo alla scrittura - malato («Je n'ai pas écrit hier dans ce carnet parce que mes yeux me font trop mal», ·carnets, p. 27). Eccesso di pudore, certo, ma legato innanzi tutto al problema dell'altro - Simone de Beauvoir, gli altri immediati destinatari e quelli futuri. E proprio la tensione verso l'altro (nella tipologia fondata sul destinatario proposta da Rousset in Poétique, è verso l'apertura massima, la meno ricorrente, che si dovrebbero collocare questi Carnets), la vocazione pubblica della scrittura sartriana, a falsificare l'impresa, mescolando in un'urgenza contraria le esigenze della verità (l'en-soi dell'oggetto) e dell'autenticità (il pour-soi del soggetto): «L'ennuyeux c'est que [mon carnet] passera par tant de mains que je suis obligé de déguiser un peu. Conclusion, je louvoie, je n'ai rien dit que de vrai mais pas tout le vrai» (Lettres I, p. 444). Che forse altro non è che dire il falso.. Ma non è questo il problema risolto in tutt'altra maniera nelle lettere quotidiane mandate a Simone de Beauvoir (che costituiscono la metà esatta, più di quattrocento pagine, della còrrispondenza con la Beauvoir e le «alcune altre» donne amate, le uniche ad aver accettato di donare la propria corrispondenza a Gallimard). Altra modalità, oltre alla scrittura romanzesca e filosofica, di questa «bulimia» di scrittura («Vous savez, c'est du boulot d'écrire trois lettres par jour. Trois lettres, cinq pages de roman, quatre pages de carnet: de ma vie je n'ai tant écrit», Lettres I, p. 307), scatenatasi nel vuoto della «dròle de guerre», le lettere - che non hanno ancora al loro orizzonte altro destinatario che «mon charmant Castor» - aprono al privato uno spazio molto più consistente. I dettagli della vita quotidiana, gli umori mutevoli, le preoccupazioni per gli altri amori, le difficoltà della vita collettiva, il rimpianto e il desiderio nati dall'assenza sono colti nella loro immediatezza. Ne esce delineato un quadro di quei mesi di assurda attesa e di angosciosa impotenza, che nei Carnets (poco o troppo poco aneddotici come li fanno risultare alcune rare sequenze ad alta densità narrativa) finisce invece per dissolversi nel sempre minor interesse di Sartre per la realtà che lo circòn- • da. Mentre nel diario Sartre non riesce a trovare sempre una giusta tonalità (quello che Barthes avrebbe chiamato il «grain de la voix>~, qui il tono è dato immediatamente e non va mai perso. È quello - complice - della conversazione amorosa che nessun terzo viene a turbare. Lo spazio dell'interlocuzione è chiaramente delimitato, mentre nei Carnets esso era in qualche modo alterato da una presenza spesso indefinita ma sempre percettibile: «C'est que j' ai de vi: lains petits sentiments de rapaces pour tout ce qui touche à mon carnet, je ne voudrais pas le déflorer en parlant ailleurs avec style et composition de ce qu'il traite en négligé» (Lettres II, p. 58) Ma ben venga questa presenza - che è poi la nostra, di lettori dell'ultima ora, ai quali rimane un rimpianto non solo perché troppi di questi quaderni sono andati perduti, ma perché Sartre non ha amato di più un genere letterario che, sul piano della finzione, gli ha permesso di scrivere il suo migliore romanzo mentre, con questi Carnets, ci ha permesso di penetrare di sfuggita in una delle più attive fucine del Novecento francese. Nota (1) L'ed. Gallimard pubblica cinque «carnets», i soli reperiti fino ad oggi: i nn. III, V, XI, XII, XIV. Un totale di 432 pagine per 82 giorni di scrittura, con una media di cinque pagine al giorno e un record (purtroppo andato perduto) di ottanta pagine il 25 gennaio 1940 («Mais ce soir,- j'ai la main et !es yeux fatigués. J'ai rempli quatre-vingt pages de carnet, je ne sais pas si vous vous rendez compte», Lettres Il, p. 57).
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