e hi era Cesare Cantù? Unpensatore debolissimo: se non nella maligna accezione desanctisiana («poca coesione di cervello») almeno in quella odierna, più aperta e accogliente. Non eradel tutto un romanziere: il Margherita Pusterla, echeggiante Notre-Dame de Paris di Hugo e intriso di orrorosi spiriti guerrazziani, è più un susseguirsi di quadrettini storici e di improvvise scene patetiche che non un'ordinata, o comunque sensata, narrazione; /'Algiso, novella giovanile in ottave, dal nucleo iniziale degli amori di Algiso e Ildegarde, vaga poi in sequenze d'esclamazioni e fremiti patriottici («Bello in campo cadere, e spaurati I Mirarsi intorno g/'inimici visi», ecc.). Non era del tutto uno storico, ma un divulgatore ad alte tirature, con un suo stile «da pamphlet, da satira, da gazzetta» (De Sa~ctis) che profuse in opere torrenziali e fortunatissime come la Storia universale (trentacinque volumi), l'Ezelino da Romano, ecc. Neppure come pedagogo (Il buon fanciullo, Buon senso e buon cuore, ecc.) riuscì del tutto originale: «rispettate la roba altrui», ammoniva, «chi non istima un quattrino noi vale», «la farina del diavolo va in crusca», e così via. Eppure, nonostante queste scipitezze, e nonostante questa indecisione o inabilità ad assumere uno stile e un generepropri, il Cantù fu al tempo suo, oltre che idolatrato dagli editori, altamente considerato dagli uomini di lettere (Tommaseo), interpellato dagli industriali (Alessandro Rossi), rispettato dai polemisti romantici. (Ma chissà, CesareCantù forse il cantuismo, come il barocco del D'Ors, è una categoria ideale: ogni volger di lustro ha il suo Cantù). Oggi, dall'oblio, ha deciso di trarlo fuori Carlo Ossola, uno degli studiosi di letteratura italiana più esperti e originali a livello europeo (i suoi saggi sul Rinascimento sono addirittura classici). Perché? Forse, innanzi tutto, per il carattere del libro prescelto, il Portafoglio d'un operaio (1871), di essere in una volta sola molti libri, trattate/lo sociologico, manuale del perfetto operaio (su commissione), studio comparatistico (con ragguagli su Spencer, Owen, Saint-Simon, Fourier, Louis Blanc, ecc.), romanzo e Bildungsroman: una specie di infezione o allagamento da un genere ali'altro fa del Portafoglio qualcosa di originale, a suo modo; se non proprio un'opera aperta, un esperimento, un intarsio di generi e di strutture. Fin dalle prime istruzioni di vita impartite dal prevosto a Savino, giovinetto napoletano - già pochissimo inclinato alla scugnizzeria - abbiamo l'impressione di un avvio di Bildungsroman proletario e dovoto: «mi dava pareri adattati alla mia età, e soprattutto ero a posto quando mi raccontava storie di operai: san Giuseppe falegname, san Foca giardiniere, sant'Isidoro bifolco, sant'Eligio orefice, sant'Omobono ;arto, il beato Marino tagliapietre. Ripeteva che ai fanciulli quel che importa insegnare è l'abnegazione e la subordinazione». E ancora: «Se vi preme l'onore, se riconoscete che questo è il tesoro più prezioso, il patrimonio più. desiderabile, la raccomandaGiorgio Ficara zione più valevole, rispettate la roba altrui; rispettatelafino allo scrupolo». Infine, avvertenza aurea, e un po' amena: «cerchiamo quella mediocrità che previene i vizi della ricchezza ... » Senonché, alla fine del libro e Architetto venezuelano delle sue peripezie, Savino è tale e quale come lo vediamo all'inizio, non mutato nel giudizio, nel sapere, nel metodo: «Dio ti vede», gli insegna la mamma da piccolo, «Dio mi vede», continua a ripetersi da grande. La sua è una formazioQu6modo fferi potest ut aliquis deérret in arbore? - ne immobile, i suoi viaggi dal napoletano al milanese al valtellinese sono essenzialmente statici e simulacrali, la sua crescitamorale è apparente. Cantù utilizza il genere del romanzo di formazione ma lo smentisce da/l'interno negando al suo protagonista una formazione, appunto; invoca una struttura ma la dissolve con una pratica costante dell'iterazione, forse lafigura retorica più rilevante di tutto il libro. Un atteggiamento analogo è riscontrabile nei paragrafi più trattatistici, ricchi di inviti alla moderazione («Guidarsi moderatamente in una rivoluzione è immensa lode») e di pacifiche prospettive azionistiche - partecipazione indiretta degli operai agli utili d'impresa in un quadro complessivo di alleanza capitale-lavoro («Varie persone mettono insieme il capitale occorrente; e nettate le spese, il guacfagno vien ripartito a proporzione della somma esposta; così pure le perdite, le quali non possono però eccedere la somma impiegata»). Qui il tono saggistico è spezzato da frequenti e irrompenti intermittenze narrative, come il ricorso improvviso apersonaggi comprimari, a mutamenti di scena, a ricognizioni memoriali; anche il procedere per sentenze, lo «sciorinar»proverbi sul modello frankliniano, è sovente interrotto da descrizioni di paesaggio e d'ambiente, da digressioni biografiche (Arkwright), da notizie e relazioni sull'industria agricola, su manifatture e macchine, sull'emigrazione, gli scioperi e i salari. Il Portafoglio d'un operaio si può leggeredunque come «un libro d'emblemi, senza svolgimento», secondo il suggerimento di Ossola, ma anche come un piccolo tentativo di romanzo-saggio, molto distante - nella sua struttura aperta e accogliente generi diversi alla rinfusa - dai deprecabili romanzi storici d'imitazione manzoniana allora in voga; molto distante dal romanzo in sé, è vero, ma in un tempo in cui il romanzo italiano aveva sfiÒrato abissi d'incalcolabile vacuità. Il saggio introduttivo di Ossola, nella sua ampia, documentata, lucidissima analisi dei rapporti fra letteratura e scienza - da Zane/la a Smiles - forma un capitolo a sé, certo il più seducente di tutto il libro. Riscoprendo certe tesipostleopardiane sul destino prometeico dell'uomo, in particolare, sul suo dibattersi contro le forze cosmiche e la Natura stessa - un cerchiò dove «tutto muore e rinasce» (come ne/- l'Industria o ne/l'Evoluzione di Zane/la: «Ma se tu l'opra allenti, I (. ..) Risorgo violenta; I E da/l'agguato uscendo I In un balen riprendo I I miei confini») - Ossola ricostruisce un orizzonte di cultura oggi pochissimo esplorato, ma indispensabile per intendere la relativa insicurezza della letteraturapopolare ottocentesca; un orizzonte metafisico cui non è estraneo, forse, per brevi attimi, neppure il povero Cantù, intento a scrivere il suo libretto d'apologia e magisteroper le classi operaie del futuro. Cesare Cantù Portafoglio d'un operaio a cura e con saggio introduttivo di Carlo Ossola Milano, Bompiani, 1984 pp. 358, lire 25.000 ognimese inedicola .lasatira l'avanguardia l'avventura firmate MilanoLibriEdizioni OQ ........ 1::1 .:; ~ ~ ~ ........ ~ -O g (:) ~ ~ ~ <Il -O g ------------------------------- 1::1
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