Alfabeta - anno VI - n. 65 - ottobre 1984

comunicare emozione». Alfred Jules Ayer, Language, Truth and Logie (1963), London, Gollancz, 1964, pp. 113-14 «La poesia è fondazione mercè la parola e nella parola. E che cosa vien fondato? Il permanente. Può dunque il permanente esser fondato? Non è ciò che già esisteva sempre? No! Proprio il permanente deve esser fermato contro la rapina; il semplice deve esser strappato alla confusione, la misura imposta 11llosmisurato. Deve venire manifesto ciò che porta e pervade l'essere. L'essere come tale deve esser dischiuso affinché l'esistente appaia. Ma appunto questo permanente è il fuggevole». Martin Heidegger, «Holderlin e l'essenza della poesia», trad. di Carlo Antoni, in Studi Germanici, I, 1937, p. 12 «L'oggetto estetico è un irreale (... ). Ciò è abbastanza importante, sol che si pensi alla confusione che abitualmente vien fatta tra il reale e l'immaginario nell'opera d'arte». Jean-Paul Sartre, Immagine e coscienza (1939), trad. di Enzo Bottasso, Torino, Einaudi, 19602, p. 291 «Anche per lo studioso borghese d'estetica più ben disposto nei confronti del realismo, questo non è che uno stile fra i tanti. Per il marxismo esso è invece il problema fondamentale della letteratura; i problemi dello stile possono essere posti solo all'interno del suo campo di validità, oppure, e allora con accento negativo, in relazione a una lotta contro di esso». Gyorgy Lukacs, Il marxismo e la critica letteraria (1948), trad. di Cesare Cases, Torino, Einaudi, 1953, p. 15 «Così tutta l'arte è contro la mitologia( ... ). Nel continuare ad abbozzare schemi del risaputo per creare ciò che non è mai stato consiste tutta la serietà della tecnica artistica, che però è assai maggiore poiché oggi l'alienazione insita nella coerenza di tale tecnica forma già il contenuto dell'opera stessa. Gli chocs dell'incomprensibile, che la tecnica artistica distribuisce nell'era della propria insensatezza, si rovesciano, dànno un senso al mondo privo di senso». Theodor Wiesegrund Adorno, Filosofia della musica moderna (1949), trad. di Giacomo Manzoni, Torino, Einaudi, 1959,pp. 13334 «Ogni operazione umana è sempre formativa, e anche un'opera di pensiero e un'opera pratica richiedono l'esercizio della formatività ( ... ). Ma nell'arte questa formatività, che investe tutta la vita spirituale e rende possibile l'esercizio delle altre operazioni specifiche, si specifica a sua volta, si accentua in una prevalenza che subordina a sé tutte le altre attività, assume una tendenza autonoma, un indirizzo indipendente, una direzione distinta, e, invece di sostenere le altre attività nell'esercizio delle rispettive operazioni, si sostiene da sé, facendosi intenzionale e fine a se stessa». Luigi Pareyson, Estetica. Teoria della formatività, Torino, Edizioni di «Filosofia», 1954, p. 67 «In tutto ciò che ci è pervenuto sotto forma di scrittura, è presente una volontà di durata che si è foggiata su quella particolare forma di permanenza che chiamiamo letteratura. In essa non è dato solo un insieme di monumenti o di segni. Ciò che appartiene alla letteratura possiede invece una sua ·specifica contemporaneità con ogni presente. Comprendere la letteratura non significa anzitutto risalire a una esistenza passata, ma partecipare.nel presente di un contenuto del discorso». Hans Georg Gadamer, Verità e metodo (1960, 19723), trad. di Gianni Vattimo, Milano, Bompiani, 19832 , p. 450 «La_poetica, in senso lato, si occupa della funzione poetica non solo in poesia, dove questa funzione predomina sulle altre funzioni del linguaggio, ma anche all'infuori della poesia, quando qualche alzioni sull'arte o sull'estetica con una domanda di questo tipo ('Che cos'è l'arte?', 'Qual è l'origine dell'arte o delle opere d'arte?', 'Qual è il senso dell'arte?', 'Che cosa significa arte?'), la forma della domanda costituirebbe già una risposta. L'arte sarebbe pre-determinata o pre-compresa nell'interrogazione stessa. Sarebbe già sempre Tipo stravagante tra funzione si sovrappone alla funzione poetica». Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale (1963), trad. di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli, 19722 , p. 193 <~Sedunque iniziassimo delle leIl senso della letteratura / Interventi all'opera una contrapposizione concettuale che tradizionalmente è sempre servita per comprendere l'arte: per esempio quella tra il senso, come contenuto interno, e la forma. Dietro la diversità apparente delle forme storiche dell'arte, dei concetti dell'arte o delle parole che sembrano tradurre 'arte' in greco, in latino, in tedesco, ecc. (ma è già problematico porre un limite a questa lista), si cercherebbe un senso puro e semplice». Jacques Derrida, La verità in pittura (1978), trad. di Gianni e Daria Pozzi, Roma, Newton Compton, 1981, pp. 24-25 «Gli uomini non si rassegnano al fatto che tra il reale e il linguaggio non vi sia alcun parallelismo, ed è questo rifiuto, antico forse quanto il linguaggio stesso, che produce, in un clima d'incessante affaccendamento, la letteratura». Roland Barthes, Lezione (1978), trad. di Renzo Guidieri, Torino, Einaudi,1981, p. 16 «L'illusione lasciata in eredità dal romanticismo consiste in questo: che esso credeva di poter avere la cosa stessa, la 'cosa in sé'; in piena immediatezza la cosa stessa - e contemporaneamente di poter tenere in mano e mantenere un libro, nel caso estremo un unico libro, che si sarebbe trasformato nella cosa stessa». Hans Blumenberg, La leggibilità del mondo (1981), trad. di Bruno Argenton, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 301 «Un ar"tista, uno scrittore postmoderno, è nella situazione di un filosofo: il testo che scrive, l'opera che compie, non sono, in via di principio, governati da regole prestabilite, e non possono essere giudicati mediante un giudizio determinante, attraverso l'applicazione a questo testo, a quest'opera, di categorie conosciute. L'artista e lo scrittore lavorano quindi senza regole, per stabilire le regole di ciò che sarà stato fatto». Jean-François Lyotard, La scrittura del segreto nell'epoca postmoderna, Baruchello, trad. di Maurizio Ferraris, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 58-59 Il filodellarappresentazione Q ueste riflessioni sono state suscitate dalla lettura dell'articolo di Filiberto Menna «L'artista e la storia dell'arte» (Alfabeta n. 62/63), quale contributo al dibattito sul «senso della letteratura» allargato alle arti figurative. Lo stimolo mi è venuto in particolare dal quesito posto da Menna al termine della sua analisi delle più recenti tendenze dell'arte figurativa: «Ma il presente può essere vissuto senza una intenzionalità in qualche modo aperta sul futuro?» Da questo punto di domanda vorrei sviluppare un ragionamento che, ricollegandosi ad alcuni passaggi del suo discorso, mi permetta di avanzare delle ipotesi sul senso dell'arte dedotte dalla mia personale esperienza nella dimensione della creatività diffusa e socializzata, oggi purtroppo negletta, se non banalizzata, anche da larga parte della critica con matrice «di sinistra». Come è possibile oggi sviluppare una ricerca artistica che sia animata da una intenzionalità costruttiva, che abbia un rapporto critico con il presente e che si proietti progettualmente nel futuro? Se la domanda sottointendesse che i termini di tale ricerca sono la strutturazione di un linguaggio estetico valido in sé e dotato di un rapporto di significazione univoco con il sociale, credo che la risposta sarebbe negativa; né penso che la mediazione di una sua genesi eccentrica o di un esito polimorfico possano risolvere il problema posto in questi termini. Il rapporto critico con il presente non sembra potersi fondare su qualsivoglia modello stabile, ma tende a svilupparsi in una logica relazionale che comporta la permanente «messa in discussione» dei dati acquisiti. Una prima empirica verifica di questa considerazione la si ricava dall'analisi delle modalità di emergenza delle differenti espressioni dell'arte figurativa che si sono susseguite e intrecciate nel corso degli ultimi quarant'anni. L'esempio eclatante del pop e del new-dada degli anni sessanta, che giustamente Menna cita come fenomeno di positiva radicalità nell'arte, illustra un modo di procedere della ricerca artistica tutto per rotture e rivolgimenti concettuali. I rifiuti urbani di Rauschemberg, i fumetti di Lichtenstein, come le macchine visuali del Gruppo T o del Gruppo N, affermavano un linguaggio «non artistico» che metteva brutalmente in crisi i modelli di rappresentazione della pittura informale; della scultura astratto-geometrica, ecc. Le nuove espressioni artistiche degli anni sessanta hanno sancito, forse più perentoriamente delle precedenti, l'obsolescenza dello schermo della rappresentazione convenzionale dell'umanesimo (la cui rottura era Piero Gilardi stata rappresentata tout-court dal taglio nella tela di Fontana). Penso che oggi ogni nuova espressione si muova in spazi comunque liberi dalla codificazione umanistica della rappresentazione, anche quando i media tornano a essere la superficie dipinta, il volume plastico o lo spazio misurabile. Oggi la cosiddetta ricerca formale, anche quella di tipo «costruttivo», non ha più un valore focale, ma si iscrive nella nuova logica del linguaggio artistico, misurata sul divenire del tempo e collocata nell'universo relazionale. Le correnti pittoriche degli anni recenti, dalla transavanguardia all'anacronismo, alla «pittura colta», sono concettualmente fuori dallo schermo della rappresentazione umanistico proprio perché ne simulano artatamente vari tipi di lessico. Il meccanismo della simulazione è particolarmente esplicito nelle opere degli anacronisti, da Mariani a Galliani: è sufficiente osservare la loro tecnica realizzativa per sincerarsi che non ha niente da spartire con quella dei «maestri antichi» ma è piuttosto volta a una sommaria «resa di superficie» simile alla riproduzione del copista o alla riproduzione fotomeccanica su tela (compreso l'effetto di rilievo della pasta del colore). Sviluppando nell'ottica del pensiero relazionale il «riferimento privilegiato» alla teoria junghiana introdotto da Menna, si potrebbe tracciare un parallelo tra la riassunzione di archetipi della storia dell'arte, praticata da questi artisti, e il riconoscimento degli archetipi praticato dall'individuo nel processo di presa di coscienza di sé; nella pratica psicoterapeutica di tipo junghiano, infatti, non si danno possibilità di superamento delle difese nevrotiche se non vengono riconosciute le matrici archetipiche inconsce dei comportamenti. Le espressioni artistiche in discussione potrebbero avere in un certo senso una funzione di riimmedesimazione negli archetipi culturali corrispondenti al periodo della modernità, nel senso più ampio del termine, dai suoi albori ottocenteschi fino agli ultimi decenni; così si potrebbe spiegare anche perché molte delle immagini degli anacronisti sono vicine più alle stucchevoli mitologie di Annigoni - come dice L. Vergine - che ai modelli classici, in quanto archetipi volgarizzati e sedimentati nell'inconscio collettivo dei nostri contemporanei. Se questa interpretazione contiene della verità, la performance di archetipi della modernità borghese potrebbe iscriversi in un processo di autodestrutturazione . catartica all'interno di una dinamica complessivamente trasformativa della nostra cultura. G.C. Argan parla sovente di morte dell'arte come orizzonte generalizzato delle ricerche artistiche contemporanee, ma forse non coglie la possibilità che i «viaggi nel passato» possano essere non la celebrazione funeraria dell'arte, ma io psicodramma catartico che la rende disponibile a diverse e future prospettive. Le attuali manifestazioni dell'arte figurativa, omologate dall'informazione e dalle istituzioni, potrebbero avere una funzione trasformativa sul piano culturale se non mancassero del supporto di una teoria critica adeguata al rapporto tra le condizioni di esistenza della cosiddetta «società post-industriale» e i nuovi bisogni individuali e sociali. Tale carenza è evidente, a mio avviso, nella emblematica vicenda dei «graffitisti» newyorkesi, Haring, Rammellzee, A-One, ecc.: la loro proposta di comunicazione paritaria negli spazi della metropoli si va riducendo a mero fenomeno performativo ad ~ opera di una critica formalistico- c::s -:: sociologistica. ~ Ovviamente, il problema di una 1::1, nuova cultura critica non è solo gi teorico e metodologico, ma anche ....., politico. L'apparentemente spre- ] giudicata libertà di espressione ar- g tistica che il sistema sociale vigen- 0 te nei paesi occidentali permette, ~ si ferma là dove essa comincia ad s:: avere delle implicazioni fattuali ~ nel sociale, implicazioni che met- l tono in discussione il comando ca- ~

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