Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

Brandioe arechal Ignacio de Loyola Brandao Non vedrai paese alcuno trad. di C.M. Valentinetti Milano, Mondadori, 1983 pp. 327, lire 15.000 Vietate le sedie tr~d. di Rita Desti Casale M., Marietti, 1983 pp. 157, lire 13.000 Leopoldo Marechal Adan Buenosayres Buenos A., Ed. Sudamericana· 1970, pp. 644 Q uando Bruce Chatwin,- durante il suo viaggio verso la Patagonia, si ferma per -qualche terrt'f;o a Buenos Aires, osserva come_pèr avere un'idea della città bast"isfogliarne l'elenco telefonico: un'onomastica caparbiamente plurilingue è indice di un continuo movimento metamorfico (B. Chatwin, In Patagonia, Milano, Adelphi, 19822). In un contesto assai differente e più ampio, ma alludendo sempre ai processi <<dsiimbiosi, di amalgama, di trasmutazione, tanto sul piano architettonico come su quello umano», delle città iberoamericane, Alejo Carpentier ha potuto affermare: «Le nostre città non hanno stile. E tuttavia iniziamo a scoprire ora che esse hanno ciò che potremmo chiamare un terzo stile: lo stile delle cose che non hanno stile». Già linguaggio incarnato per alcuni, e condizionante psicòtopo per altri, la città, la metropoli, con un altro passo nel simbolico, diventa emblema, e cioè figura articolata e autonoma, interpretante di diversi significati possibili, che ritorna con costanza nel discorso della letteratura e della cultura iberoamericane. Le diverse letture del terzo stile indicato da Carpentier che vengono proposte da testo a testo, da autore a autore, sono ciò che determina il carattere non univoco della figura della metropoli iberoamericana, e sono anche intimamente connesse al variare del suo valore significante. Ancora a questo percorso intertestuale, allo statuto di non definizione che esso implica e alla struttura interna a sistema chiuso o a processo indefinito, ma mai circolare, si deve attribuire la differenza prima fra la figura della metropoli e altre, come Macondo o la Biblioteca di Babele, che l'uso e l'abuso ci hanno reso familiari a proposito, anche, dell'America Latina. All'interno di un quadro del mondo in cui un interno onnivoro (la metropoli, il crogiuolo del terzo stile) tende a inglobare ogni elemento di un esterno (la nazione, le culture) sempre più prosciugato, la metropoli può diventare, tra l'altro, luogo del meticciato, della libera interazione dei significanti, o asettico laboratorio di un sistema culturale pianificato e imperiale. A ttualizzazione paradigmatica del primo caso è la figura della metropoli proposta in Adan Buenosayres di Leopoldo Marechal, romanzo complesso e eccessivo, di cui il lettore italiano ha a disposizione solo un piccolo saggio nella sensibile traduzione di• Antonio Melis («In forma di parole», Libro secondo). Assemblando a caso alcuni dei nomi dei personaggi, come Schultze, Lucio Negri, Samuel Tesler, Solveig Amundsen, mister Chisholm, ecc., si torna al babelico elenco telefonico di Chatwin. Sulla labile traccia del vagabondaggio di un gruppo di amici per le vie, le case e i «deserti» della metropoli, la vita di Buenos Aires viene evocata come il delirio di un'enorme Testa di Golia (titolo di un libro di Ezequiel Martinez Estrada, dedicato alla stessa città), intenta a divorare il suo corpo immenso. Ogni pratica, ogni tradizione ha diritto di cittadinanza nello spazio della metropoli, ma nessun discorso ha spazio abbastanza per poter affermare la propria incontrastata autorità, nulla è esente da contaminazioni allogene e corrosive. Nell'«umorismo angelico», nel tono ironico di Marechal, la parodia è al lavoro. Un chimono cinese, destinato a ricoprire un «filosofo» ebreo dai dubbi principi igienici, si trasforma in qualcosa di simile allo scudo d'Achille; un pomeriggio di visita a un salotto per bene (anch'esso intérieur ferocemente barocco) diventa occasione per discussioni «metafisiche» senza ca- • po né coda; l'universo del payador (il mitico cantore gaucho) o quello delle antiche pratiche magiche vengono inglobati nella metropoli e destinati a corrompersi, per sovrapposizione, con le urla delle massaie dei quartieri popolari, o con lo stereotipo rituale di veglie funebri interminabili. La figura della metropoli vive del problematico intrecciarsi di discorsi differenti, e tanto la sua enunciazione quanto il principio stesso della scrittura partecipano del movimento generale. In un «prologo indispensabile», il narratore avverte di come il racconto vada inteso, a sua volta, quale necessario quadro introduttivo dei due manoscritti che il protagonista, Adan Buenosayres, gli ha consegnato in punto di morte e che costituiscono, infatti, gli ultimi due capitoli del volume. Si dà il caso, però, che i due manoscritti di Adan Buenosayres trattino materiali autobiografici in forma di parodia, quando non di caricatura, di modelli danteschi: tutto ciò va ben al di là della - pur anticipata - di-. Ernesto Franco chiarazione di una comunanza di «tono di fondo» fra il racconto del narratore e quelli del suo eroe. In conclusione, il libro non rivendica più materialità o più auto-- rità di qualsiasi altro elemento della figura. La scrittura è sintomo fra gli altri di una figura della metropoli in cui il terzo stile viene attualizzato come continuo movimento simbiotico, come processo di proliferazione ma non di cancerosi. La figura, proprio per il suo valore di interpretante, non può essere veicolo o espressione di nessun messaggio definito, e qualora si voglia spiegare o co.ntestualizzare un qualsiasi suo elemento è necessario, strutturalmente, ripetersi. delle musiche di ogni paese.· Di tutto il mondo. Hanno tirato fuori gli accordi, i toni, le melodie, comuni a tutte. Hanno elaborato un catalogo minuzioso. È evidente che è stato un lavoro che ha richiesto molti anni, sotto la direzione dei migliori tecnici». Il terzo stile è anche qui il risultato di apporti culturali disparati, ma lo è altresì di un processo di omogeneizzazione che ne distrugge ogni identità e ogni valore di trasformazione. La metropoli è il luogo non di una simbiosi, ma di una riduzione: non esiste contaminazione ma compattazione. Fino a questo punto, pur con possibilità più limitate, sarebbe ancora possibile una figura problematica ma - a vanificare ogni ipotesi in questo senso - interviene la particolare• '' . . ' -~•-,~ Luccio freddo in gelatina 11 primo a indicare l'importanza del libro di Marechal fu Julio Cortazar e non a caso, nell'arco della sua opera, ·Ja figura della metropoli viene ripresa e rielaborata in più occasioni, ma viene anche, in qualche modo, smaterializzata e rarefatta. Senza insistere oltre, sembra possibile affermare che, in Cortazar, la metropoli, letta come struttura combinatoria, è sottoposta a un processo di simbolizzazione, più che di figurazione. L'immagine di un organismo aperto e composto da elementi eterogenei viene riferita, globalmente, a un qualcosa di abbastanza determinato: a una condizione esistenziale, a una struttura psichica o, con mediazioni, addirittura a un sistema concettuale. La figura non articola più un processo di significazione e diventa immagine funzionale a un solo significato. Siamo, in embrione e in un contesto affatto differente, sulla strada percorsa con chiaro intendimento ideologico da Ignacio de Loyola Brandao. La Sao Paulo di Non vedraipaese alcuno è un mondo apocalittico, la cui struttura possiamo ben dedurre dall'organizzazione «musicologica» che vi regna: «La Radio Generale suona Musica Mondiale, una formula che hanno creato per internazionalizzare. La composizione è fatta in modo tale che un francese può perfettamente affermare di ascoltare musica francese e il brasiliano non ha dubbi sul fatto di ascoltare un buon chorinho. Hanno messo nei computer le caratteristiche, modalità di enunciazione del racconto. Con la rievocazione sentimentale di un passato irrecuperabile, la metropoli diventa personificazione di un incubo proiettato nel futuro. Nel libro, che porta come sottotitolo «memoriale descrittivo», si trova addirittura spazio per appelli diretti al lettore affinché scongiuri l'eventualità che tutto ciò che è in esso narrato si avveri. Brandao intende il suo libro come un monito rivolto al lettore. Infatti, la profezia è inquietante ma l'operazione è ingenua, e alla fine il lettore viene quasi stancato dalla lunga descrizione di una metropoli fantastica che l'allegoria destina strumentalmente a un significato limitato. N on tutte le letture del terzo stile come struttura chiusa, però, portano di necessità a un simile decadimento del valore interpretante della figura metropolitana. La questione, infatti, può essere articolata su più livelli. Ne sono un chiaro esempio i racconti di Brandao raccolti sotto il titolo di Vietate le sedie. Nell'insieme, essi sçmo riconducibili a una definita figura della metropoli per una serie di sintetici accenni rilevabili qua e là, per la ripresa di alcuni motivi in Non vedrai paese alcuno, che è cronologicamente posteriore, e, infine, per esplicita ammissione dell'autore: «Questi racconti sono nati dal quotidiano paulista: e cioè dalla città di Sao Paulo. Sono dunque nati dall'hic et nunc brasiliano». Ma vediamo: non sono più in gioco intriganti liste di nomi, qui l'eroe di ogni storia è sempre un uomo, anzi «l'uomo», un personaggio molto schematizzato ritratto nei momenti più incredibili. L'uomo che perde la mano nella cassetta, l'uomo che vede staccarsi e cadere tutte le lettere dal libro che ha davanti, che vede un lucertolone inghiottire il figlio dormiente, che si trasforma in spaghino o in sasso che urla, l'uomo che «liquida», che semplicemente uccide ogni sospetto di parentela, l'uomo che si telefona, cosa possibile, ma che anche si risponde, cosa meno possibile, l'uomo che attraversa porte di vetro e così via. Secondo uno dei procedimenti più classici dell'umorismo, si postula l'attualizzarsi di un'eventualità assurda in un contesto di normalità quotidiana e, fatto ciò, si prosegue con gratuito rigore, fino alle estreme conseguenze. L'universo così delineato è chiuso, e non per l'affermazione di un senso dominante, come poteva essere quello della Musica Mondiale, ma per lo statuto di non-senso che acquista ogni senso. È chiaro, inoltre, come in questo caso non sia necessario prendere in considerazione più discorsi: il nonsenso dell'unità logica considerata fra le più semplici contagia, in potenza, tutte le unità più complesse. Se ci si potesse fermare a questo punto, si potrebbe ancora parlare di una figura della metropoli che, pur essendo caratterizzata da una lettura del terzo stile come struttura chiusa, cortocircuitante, anzi, proprio per questo, manterrebbe una propria autonomia e offrirebbe al lettore un esteso ventaglio di interpretazioni possibili. Ma ciò non avviene sempre, e in alcuni racconti il profilo di Brandao moralista si impone con autorità: l'evento assurdo acquista, in qualche modo, coscienza di se stesso, si commenta, il racconto perde gratuità, si trasforma in apologo e l'immagine possibile della metropoli diventa funzionale al solo messaggio ammaestrante dell'autore. In alcune dichiarazioni poste, «a modo di prefazione», all'inizio del libro, Brandao si preoccupa, pur con qualche cautela, di indicare i racconti «fondamentali» della raccolta, sulla base dei quali si dovrebbe impostare la lettura di tutti gli altri. Il fondamento (ideologico, però) dissolve la struttura in racconti che vivono sul gioco della sospensione di ogni fondamento (logico). Considerati privi di fondamento, i racconti non mancano di un'articolata genealogia che li ricollega al mondo dell'America Latina, e la lettura, che pure essi stimolano e a cui invitano, deve basarsi sulla metodica «disattenzione» agli interventi e alle indicazioni dell'autore. Con questa operazione a suo carico, il lettore consegna «l'uomo» di Ignacio de Loyola Brandao - magari insieme ai cronopios cortazariani, suoi lontani parenti - nell'immediato del rapporto umoristico e vede sorgere davanti a sé l'ipotesi di una inquietante razza cosmica che ha perduto, semplicemente, la memoria.

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