P ossiamo fissare una data, il 1977. In un momento in cui si consuma, nella cultura militante, la crisi delle ideologie su uno scenario attraversatoda incertezze e profonde agitazioni sociali. I saggi raccolti nel volume La microfisica del potere ( che l'editore Einaudi pubblica appunto nel '77) vengono proposti al lettore italiano in una situazione scossa da episodi di eccezionale violenza politica, che ora possiamo considerare la punta anomala e impazzita di una inquietudine generalizzata a ogni livello intellettuale. Il grande successo, la presa, dei saggi di Foucault nasce qui: in essi viene letta una spiegazione non regressiva della crisi del marxismo, la proposta di un mutamento netto di orizzonte. Sull'Unità Alberto Asor Rosa, non disconoscendo la novità dellaproposta, cercò allora di sollevare dubbi sull'ipotesi microfisica: certo il potere - egli osservava - si intesse attraversopratiche microfisiche, ma questo non deve far dimenticare il livello macroscopico, lafzsica del potere, il luogo delle decisioni e delle strategie. Era un tentativo di «compromesso» tra idee diverse, ma chiaramente era anche il riconoscimento della presa della proposta foucaultiana. La lettura «politica» di Foucault (spesso parziale, talora a(lche semplicisticae deformante) ha continuato in seguito a essereprivilegiata: ali'autore che parlava di «strategie»e di «resistenza» si chiedeva un modello per l'agirepolitico e solo spezte un ottimista, e ritieni che ogni fatto dato debba essere distrutto, e l'empirismo è uno scherzo, per quanto ti riguarda, e David Hume è uno scherzo. Ma Freud è ferocemente empirico, per quanto sia speculativo: è intellettualmente e umanamente pessimistico e non ottimistico, non vuole distruggere la priorità del fatto, e quindi la sua nozione di Verneinung ( o negazione) è irriconciliabile con quello che gli hegeliani, gli heideggeriani e i lacaniani chiamerebbero il processo di negazione. Penso che la vera differenza sia nel concetto (per quanto si tratti di un concetto difficile) di io corporeo ... non c'è modo in cui Lacan possa sistemare quello straordinario concetto che Freud chiama l'io corporeo. In verità, l'idea lacaniana secondo la quale l'io è essenzialmente narcisistico (come dice in ·modo incantevole, ogni io è necessariamente paranoide) non è •affatto freudiana, bensì è una costruzione hegeliana e heideggeriana, mentre per Freud l'io può essere narcisistico, ma questo non è cruciale, ciò che conta è che si tratta di un fatto, nel senso in cui il corpo è un fatto. Perché è fondato sul concetto piuttosto difficile (il più stra-✓ no in tutto Freud e il più difficile da assimilare, ma anche il più necessario da assimilare) che l'io corporeo sia, in effetti, introiettato da noi in modo da formare quello che inevitabilmente è il nostro senso del sé o la nostra scelta di un particolare sé, perché qualcosa di puramente immaginario viene inghiottito come se non fosse affatto immaginario, e fosse invece un'entità o una cosa. E ciò, naturalmente, ci situa in un'area di Freud (con la quale, credo, il Freud francese dei vari Derrida, Deleuze e Lacan non riesce a fare i conti) che è quella per cui, in Freud, la distinzione tra psiche e corpo è sempre una distinzione di frontiera, una specie di diFoucaulitnItalia zoni di analisi chef ossero utilizzabili, e in effetti Foucault poteva indicare qualche alternativa all'idea schematica di lotta di classe suggerendo un'altra dimensione del conflitto e la incongruenza di ogni prefigurazione ideologica, senza dimenticare la svalorizzazione dell'intellettuale organico di ascendenza gramsciana. Surveiller et punir (uscito in Italia poco prima, nel 1976) si imponeva ali'attenzione per il tema stesso della «prigione» - la questione dei «detenuti politici» è rimastafino a oggi un luogo caldo del dibattito - prima ancora che per il disegno teorico rispetto al quale la prigione funziona, nel libro, come sintomo esemplificativo della trasformazione dell'idea e della pratica del potere. Se però la variegatae diretta lettura «politica» è stata il punto di partenza, essa ha poi lasciato il posto a una lettura «teorica»più significativa. Il successo editoriale (nel '78 Feltrinelli pubblica La volonté de savoir, e intanto vengono ripubblicate le opere precedenti - per esempio Rizzcli fa circolare un'edizione pocket de L'histoire de la folie) corrisponde a una domanda che non è più o non è solo politica ma che deve essere interpretata considerando un quadro più ampio e articolato di esigenze teoriche. In realtà,· in Italia, su Foucault non si è scritto molto: manca a tutt'oggi una buona monografia critica. Nelle aule universitarie non ha avuto eccessivo credito, anzi: non raramente ha destato sospetti. Ma la sua «presenza» non va valutata a stinzione limite. Freud sostiene, mi sembra, che la pulsione è un concetto di frontiera, non più psichica di quanto sia corporea. Potremmo andare oltre e dire che la Pier Aldo Rovatti partire da qui. Al contrario, tutta la nuova saggistica teorica italiana degli ultimi anni reca i segni della lezione foucaultiana: essa non -haavuto necessità di un riconoscimento «accademico» proprio perché è penetrata in modo diffusivo sia come metodo di ricerca sia come scena teorica. La rivista aut aut ha dedicato alla proposta foucaultiana due fascicoli monografici (entrambi curati da Mario Galzigna: uno nel '78, intitolato Potere/sapere, e un secondo nell'83 su Il governo di sé e degli altri) che hanno permesso di verificare quanto sia disseminato questo interesse. Il convegno internazionale su Sapere e potere promosso a Genova (e di cui ora, presso le edizioni Multhipla di Milano, sono usciti i due volumi degli Atti) può esserne una buona spia. Ma ancora più rilevante è il fatto che in Italia, in varie città, esistono piccoli gruppi di ricercatori, spesso informali, che lavorano sulla scorta delle ipotesi genealogiche di Foucault. A questo proposito va segnalata l'iniziativa editoriale promossa dallo stesso Mario Galzigna e da Alessandro Fontana (una collana di materiali e di studi, presso la Marsilio di Venezia, intitolata «Il corpo e l'anima»). Dunque si può dire che Foucault sia penetrato molto sensibilmente nel tessuto culturale italiano: prima con «rumore», inserendosi in un disagio «politic9», poi in modo più silenzioso e sostanziale, interagendo diffusamente con il lavoro culturale corpo, per continuare ad agire, introietta pensieri, immaginazioni, fantasie. Penso dunque che, proprio perché i francesi hanno intorbidato le concezione freudiana della pulsio- acque, non disponiamo ancora di ne, in termini freudiani, dovrebbe una chiara lettura di Freud. Gli essere definita come qualcosa che rende inadeguata qualsiasi risposta a essa, sia psichica che corporea, precisamente perché l'altro elemento è mancante. Così, quale che sia la dialettica praticata da Freud, egli è indub-: biamente un pensatore dialetti- \', co, ma assolutamente non nel senso in cui la tradizione •• , .,.,., . "'', tf:t'l:,J~ ◄ i,-rit•·i' i, 1tii~f if hi'llutj •,.• e con le ipotesi di ricerca. L'intreccio principale è forse avvenuto con la più meditata ricezione di Nietzsche che si è sviluppata in questi anni soprattutto attorno all'idea di «nichilismo», sfrondata da ogni remora irrazionalistica. Questo ha permesso di entrare in sintonia e di poter utilizzare l'ipotesi di una ricerca «genealogica», limitando anche il rischio di prendere in modo semplicistico e sloganistico l'idea stessa di «microfisica del potere». Non credo però di sbagliare dicendo che la posta teorica che ha suscitato maggiore investimento di interesse è quella sulla quale Foucault, non senza problemi, ha concentrato lapropria attenzione a partire da La volonté de savoir, fino ai due ultimi volumi pubblicati in Francia pochi giorni prima della morte. La questione del soggetto - tale è la posta - si accompagna in Foucault alla questione del potere fin dal libro sullafollia, da quelle tre , pagine dedicate a Descartes su cui poi si è molto discusso. Nelle ricerche più recenti Foucault ha mostrato come - si tratti del «panopticon» benthamiano o della storia della «confessione» - il soggetto, l'idea moderna di individuo, si produce come un effetto di molteplici pratiche di potere e di sapere. . Questa «decostruzione» o meglio «costruzione» del soggetto ha dato molto da pensare a una cultura teorica, come la nostra, da sempre abitata dall'idealismo e dallo storicismo e quindi dal «mito» del soggetto. Ma qui - a questa svolta - il problema si D. Nel tuo libro sulla Kabbalà si parla di un nuovo paradigma costituitosi in Francia, di «un amalgama di Nietzsche, Marx, Heidegger, Freud»... Alludevi a Lacan? Bloom. Oh, sì. Naturalmente utilizzavo il tropo di Blake, che si riferiva alla rivoluzione francese. D. Hai conosciuto Lacan personalmente? Bloom. Sì, sì, l'ho incontrato in una splendida occasione, a Yale, vediamo: circa sette anni fa, un paio d'anni prima che morisse. Paul de Man era preside della facoltà di francese, che si trovava nella sfortunata situazio- «Buisson» di code di gambero e gamberetti metafisica dell'idealismo tedesco definisce la dialettica. Da questo punto di vista è del tutto britannico, sta cercando di trovare un modo (anche se non sa come, ma nessuno-sa come fare) per riconciliare la priorità del corpo, il fatto che . l'io sia sempre primariamente un _io corporeo, con la difficoltà che il tolgono tutto quello che è materialistico, ma se gli togliamo tutto quello che è materialistico e gli togliamo il suo dualismo (che, egli ha insistito, è assoluto), allora direi che Lacan e Derrida e tutti gli altri ci danno un Freud che non solo non è affatto dualista, ma che è una specie di monista narcisista. ne di dover ricevere ufficialmente Lacan. Lacan fu così gentile da dire che desiderava conoscermi, e io, che non desideravo incontrarlo, seguii una tattica evasiva. Ma Paul de Man mi convinse: «Senti, organizzo una colazione da 'Maurice'. Ci sarà Lacan, ci saremo noi due, e poi Miller e Hartman». ripropone con maggiori difficoltà. • Lo stesso Foucault aveva recentemente riconosciuto che ora la questione è quella di individuare «nuove forme di soggettività». Oggi si discute molto di «pensiero debole» con lo sguardo rivolto a Nietzsche e a Heidegger: in questa prospettiva l'idea tradizionale di soggetto come centro r~ulta «illusoria» non diversamente da come, per Foucault, essa è un «effetto». Da questa illusione o da questo éftetto non si può comunque prescindere: al tempo stesso non è più possibile un'identificazione. Quali sono, allora, i tratti di un'identità che è - in certo modo - la negazione stessa dell'identità? Questo paradosso teorico corrisponde a un'esigenza culturale che sta rivelandosi il punto chiave del dibattito teorico. Negli anni sessanta, al tempo del Foucault «strutturalista»di Les mots et les choses, la sua diagnosi sulla «morte dell'uomo» gli aveva attirato qualche adesione e non pochi dissensi. Ora, il montaggio/smontaggio del soggetto che ci ha proposto, al di là di ogni fallace steccato ideologico, si incontra singolarmente con la esi-. genza di un ri-orientamento della soggettivitàstessa. Cos'è un soggetto nell'epoca della microfzsicadei poteri? Si spalanca uno spazio da riempire, un territorio teorico da esplorare. L'attualità di Foucault continuerà a giocarsi ne~'orizzonte di positiva insoddisfazione che circonda questa domanda - che lo stesso Foucault ha contribuito a suscitare. Fu una colazione fuori dell'ordinario. Da «Maurice» Lacan ignorò gli altri e, senza lasciarmi dire una parola, incominciò una tremenda tirata perché non riconoscevo il fatto che tutto quello che avevo da dire era comunque preso da lui. Io me ne stavo seduto, mangiavo il mio antipasto e aspettavo l'occasione per fuggire, mentre questo mattacchione continuava a concionare. Quindi venne il momento di· ordinare la portata successiva. Sapete, nel menù di «Maurice» hanno un piatto abominevole, che non ho mai assaggiato, che chiamano Yorkshire Buck, con sopra uno strato colloso di formaggio fuso, orripilante già da vedere. Lacan ordinò proprio questo piatto e mi zittì perentoriamente quando cercai di convincerlo a cambiare ordinazione. I colleghi avevano rinunciato a intervenire nella conversazione, mentre io avrei tanto desiderato essere in un altro posto. Quando ebbe sotto gli occhi il Yorkshire Buck, Lacan si interruppe un attimo, e guardando la massa fuinante rabbrividì, rabbrividì visibilmente, poi riprese il discorso gesticolando con la mano sinistra, mentre con la mano destra sollevava il piatto e lo allontanava dal tavolo. Aveva mani enormi, di dimensioni eccezionali, ricordi? Senti, Mary, cosa può fare un terribile perenne bambino viziato: con un improvviso movimento della mano capovolse il piatto lasciandolo cadere a terra e dicendo «Oplà!» E continuò la sua filippica. Tutti si girarono verso il nostro tavolo, i miei colleghi mandarono un gemito, i camerieri si precipitarono a portare un nuovo menù, e il grande uomo scelse qualcosa di più sobrio. Ma non aspettai il dolce per andarmene ...
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