Wendersviaggiatorelento Wim Wenders L'idea di partenza. Scritti di cinema e musica Firenze, Liberoscambio, 1983 pp. 200, lire 950()° Wenders, Godard e altri Il cinema elettronico a c. di Toni Verità Firenze, Liberoscambio, 1982 pp. 122, lire 7000 Filippo D'Angelo Wim Wenders Firenze, La Nuova Italia, 1982 («Il Castoro Cinema» 97) pp. 120, lire 6000 Il È bello, è lento, è Wen- '' ders» ha titolato un quotidiano a proposito di Paris Texas, il film che ha vinto il Festival di Cannes 1984. La lentezza dei film di Wenders è una caratteristica enunciabile ormai come dato stilistico, e ovviamente non c'entra per nulla con la lunghezza delle pellicole (in fondo, solo Nel corso del tempo, con i suoi 176 minuti, è decisamente fuori dello standard). Semmai può essere descritta come somma dei tre elementi individuati da F. D'Angelo: non ellitticità della narrazione, rarefazione del montaggio, parsimonia nell'uso dei dialoghi. In uno di questi Texte zu Filmen und Musik, risalenti anche a quindici anni fa (anche se la raccolta originale, edita dalla Freunde der Deutschen Kinematheke, è datata Berlino 1975), si può ora leggere una recensione di Wenders che è una sorta di manifesto estetico: «Lentezza significa mostrare, con la maggiore dovizia di particolari possibile, gli avvenimenti che devono essere descritti ( ... ). «Lentezza significa servirsi del montaggio e della variazione dei piani non solo per evidenziare lo svolgersi della vicenda, ma anche per sottolinearne la durata ( ... ) significa anche che i personaggi prendono tempo per le loro decisioni ( ... ) significa che nessun avvenimento è così poco importante da doverlo affrettare, abbreviare o addirittura eliminare, solo per far posto a un altro più avvincente o più importante ( ... ) significa, anche, che la storia inizia solo quando gli antefatti hanno perso ogni ihteresse» (L'idea di partenza, pp. 61-63). Lentezza, insomma, significa non bruciare il profilmico in nome della 'spettacolarità' della messinscena. Si tratta - come già in Dreyer o Antonioni - di un'opzione etica, che si esprime tanto sul piano produttivo (e pour cause, visto che Wenders è il produttore dei film 'più suoi') quanto sul piano più propriamente linguistico. Sul piano produttivo, l'antispettacolarità si configura come rifiuto dello star system (unica eccezione per Wenders Der Scharlachrote Buchstabe, non per nulla il suo ricordo più triste), rifiuto degli studios (e qui va collocato lo scontro con Coppola a proposito dello Hammett) nonché - elemento tutt'altro che trascurabile - come tendenza al risparmio del materiale. Quella che D'Angelo chiama «rarefazione del montaggio» altro non è che utilizzo integrale del materiale girato, atteggiamento di rispetto nei confronti della pellicola impressionata: i filmini di WenMarcello W. Bruno ders sul tipo di Alabama (1968), completamente privi di montaggio, non rimandano tanto alle opzioni intellettualistiche di un Andy Warhol (assenza di montaggio = scomparsa della nozione d'autore), quanto ai voti di povertà.di un filmaker nostrano come Gino Urso (il cui 'cinema essenziale' verte sì sul montaggio, ma appunto badando a montare tutto., compreso il negativo originale, senza lasciare scarti). - levisione e video. I ritmi televisivi sono quelli pubblicitari (anche i videorock, pur nella loro carica sperimentale, non sono che un prodotto promozionale delle case discografiche). D'altro canto, la fiction televisiva (telefilm) non obbedisce solo alla logica della serialità (fretta produttiva) ma anche a quella della fruibilità domestica, per cui una serie di 'fatti' deve concatenarsi e concludersi nel giro di un'ora (fretta narrativa). Il giudizio di Wenders sui media elettronici è durissimo: la televisione è «il veleno degli occhi» (L'idea di partenza, p. 178); e il video come tecnologia di ripresa è il can- ,, ero che ucciderà il cinema: «Il con-- -·----~ ' Piccolo storione all'italiana Di contro a questo atteggiamento francescano c'è appunto il cinema dello spreco, quello dei 90 ciak per scena (Kubrick per The Shining) o dell'infinito accumulo tecnologico (Coppola per One /rom the heart). L a lentezza di un film è anche l'indice di una sua povertà radicale (cioè voluta) che non è povertà di mezzi - questa è semmai la scelta di un Godard - bensì una diversa concezione della ricchezza. Il che ci porta a considerare cosa sia l'antispettacolarità sul piano strettamente poetico, narrativo. L'estetica della lentezza si contrappone all'estetica della fretta: il che vuol dire, oggi come oggi, tetrollo che permette il video è veramente l'altro aspetto della paranoia ( .. :). Con il video si guadagna in controllo ma si perde quello che mi sembra più importante nel cinema: le cose che hanno il diritto di farsi notare» (L'idea di partenza, p. 173). O ancora: «Sfortunatamente, Coppola ha ragione quando dice che il futuro del cinema è nelle tecniche elettroniche. Alla lunga la tecnica cinematografica sarà obsoleta. Che cosa perderà il cinema? La sua anima» (in Il cinema elettronico, p. 98). Il video, «con le sue immagini mosse e concitate, la sua andatura caotica e ansimante ( ... ) contrasta con la raffinatezza formale e l'ampia e complessa liricità delle scene recitate e filmate dalla cinepresa» Nelpaes,,izW"el Alfonso Grassi e Anty Pansera Atlante del design italiano. 1940/1980 Milano, Gruppo Ed. Fabbri, 19832 pp. 320, lire 35.000 Vittorio Gregotti Il disegno d~I prodotto industriale. Italia 1860-1980 Milano, Electa, 1982 pp. 430, lire 70.000 Enzo Frateili Il disegno industriale italiano. 1928-1981 Milano, Celid, 1983 pp. 235, lire 30.000 D el design si potrebbe ancora oggi affermare ciò che Gorgia sosteneva a proposito della realtà assoluta, e cioè che non esiste e che sarebbe comunque inconoscibile e in ogni caso inc comunicabile. La sua indeterminatezza strutturale è tale da scoraggiare ogni tentativo di definizione, tant'è vero che esso soffre semmai di un eccesso di etichettature, il.cui ventaglio lascia solo trasparire gli sfuggenti contorni di un'attività mobile e articolata, dalle origini incerte, alla ricerca di una precisa collocazione sociale, economica e culturale, che si nutre degli apporti più svariati e risponde alle esigenze più diverse. Come dire tutto e nulla, il che alla fin fine giustificherebbe il bonario scetticismo del sofista. Ciò nonostante di design si deve pur parlare, visto che se ne moltiplicano le manifestazioni e ne cresce la presenza in ogni aspetto della vita, tanto da consentire, oltre alle numerose mostre, addirittura una serie di approcci storiografici in qualche modo tesi a delinearne una fisionomia non occasionale e uno statuto disciplinare. Impresa non facile, data la lacunosità delle premesse, come risulta del resto anche dal fatto che quasi sempre, in questi casi, ci si preoccupa preventivamente non soltanto di definire lo spazio e la prospettiva della ricerca, ma anche di giustificarli alla ·1uce di un disagio metodologico dichiarato in apertura. L'Atlante del design italiano di A. Grassi e A. Pansera premette alla trattazione del suo tema una serie di definizioni che danno subito il senso di una difficoltà, addirittura linguistica, a esprimerne il concetto: Si potrebbe utilmente integrarle con le altre raccolte da Antonio Barrese in Invece (n. 2, novembre 1981), salvo accorgersi poi che, se la minuzia filologica riesce se non altro a restituirci l'immagine di un mestiere in incessante evoluzione, le oscillazioni semantiche ne rivelano la costitutiva e intrigante multiformità, sulla quale si distende, in funzione d'olio su un mare burrascoso, la nozione unificante di «attività progettuale» più o meno legata a una qualche serialità produttiva. Forse per q\lesto motivo V. Gregotti, nel suo Disegno del prodotto industriale, ha posto in evidenza la complessità e la contraddittorietà del fenomeno, richiamandosi al concetto rinascimentale di «disegno» come ideazione o progetto integrale, e spostando di peso la questione sull'ormai indiscusso legame con l'oggetto industriale, che però, anziché diminuirle, aumenta le difficoltà che si (Filippo D'Angelo a. proposito di Nick's Movie). Questo mette in campo un nuovo fantasma, quello della fretta tecnologica, tema caro a Wenders sotto l'aspetto della 'nostalgia istantanea' (si pensi alla febbre da Polaroid evidente in L'amico americano e Alice nelle città) e che ha trovato in Jean-Luc Godard-pure considerato l'inventore del montaggio rapido - un teorico della lentezza tecnologica: «Fra il cinema e il video c'è la stessa differenza che c'è tra la Kodak e la Polaroid( ... ). La Polaroid arriva in un momento in cui la gente vuole vedere subito ciò che ha fotografato e poi buttà tutto via, mentre la Kodak esprime il desiderio di mostrare in un tempo differito e soprattutto esprime il desiderio di non vedere subito» (Godard, in Il cinema elettronico, p. 67). Lentezza tecnologica: superiorità filosofica della pellicola (bisognosa di sviluppo e stampa: mistica dei rushes) sul videotape (che, fra l'altro, elimina la storica separatezza fra colonna visiva e colonna sonora, considerata da Ejzenstejn come foriera di manipolazioni artistiche). Lentezza narrativa: superiorità dell'immagine sulla storia, del paesaggio sulla psicologia, dei 'tempi morti' sulla spettacolarità hollywoodiana e - aggiungiamo rischiando l'incongruenza - del bianco e nero sul colore. I piani-sequenza di Wenders - che hanno come ascendenti Straub e il New American Cinema ma anche Ozu e la narrativa di Handke - sono innanzi tutto un invito allo sguardo calmo. I suoi grandangolari, che distanziano la drammaturgia con gesto vagamente zen, testimoniano che la vita è degna di essere vissuta anche quando 'non succede niente'. È un cinema, quello di Wenders, contro il logorio della vita postmoderna. frappongono a una sua meno precaria fondazione disciplinare. L e insidie di cui è disseminato l'incerto percorso dell'analisi teorica del design derivano in buona misura dalla molteplicità degli approcci che essa reclama. Avendo il suo centro di gravità nell'oggetto d'uso, questo settore culturale aricora informe, ma Qrmai svincolato dagli angusti limiti ancillari che ai suoi albori l'avevano definito rispetto al processo economico produttivo, vive oggi sulla propria pelle le tensioni e le nevrosi di un prodotto industriale nel quale, come scrive Gregotti, «abilità tecnica, simbolo sociale, conoscenza, utilizzabilità, costo, dono e scambio si intrecciano a una serie di questioni specifiche della storia dell'estetica e della critica d'arte».
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