cerne l'oralità e la spettacolarità della poesis. Unica eccezione, tra i meno lontani da noi, gli improvvisatori del Settecento, cui è dedicata un'analisi esauriente. A prima vista stanno così le cose, soprattutto perché il ruolo del destinatario sembra essere stato sacrificato nell'arte ·moderna. Ma è vero fino a un certo punto. Mi pare più esatto dire che quel ruolo è stato programmaticamente provocato fino a costringere il destinatario a reagire con violenza. Si pensi all'avventura futurista; o alla poesia rus~a fino agli anni trenta, con le letture di Blok, Majakovskij, dei poeti zaum', ecc. Non fanno parte le avanguardie della poesia moderna? Ma la stessa poesia di D'Annunzio tende a dilatarsi verso la dizione proprio in virtù del suo particolarissimo verso libero e della «strofe lunga». Scriveva Northrop Frye nel 1969 (cfr. «Mito e logos», in Strumenti critici n. 9, pp. 122-45): «La poesia che si rivolge a un pubblico visibile, deve saperne strappare il consenso, ed ecco quindi riapparire nella poesia la tendenza ad affermazioni esplicite che esprimano atteggiamenti sociali condivisi dal pubblico. Una delle caratteristiche della cultura orale che sono ancora presenti tra noi, è quella riconosciuta e deplorata da Wyndham Lewis, dello spettatore ditirambico. Una tale poesia richiede il consolidarsi di un'opinione sociale... » E commenta Bruno Gentili: «Questa interessante pagina di Frye ha trovato un effettivo riscontro nell'.affermarsi, in America, di un'avanguardia poetica che si definisce 'postmoderna' e trae il suo alimento dai contributi sulla poesia orale forniti, in questi ultimi tempi, non solo dall'antropologia culturale ma anche e soprattutto dalla più autorevole filologia classica americana ... » Cf è_ve?tà in ~ueste a~fer~az10m,ma s1tratta d1pnme intuizioni che vanno corrette, proprio sulla base delle esperienze italiane più recenti - e mi riferisco soprattutto a quella di Milanopoesia, per la complessità e varietà di proposte. Mi pare, prima di tutto, evidente che quando la Beat Generation ha inaugurato la postmodernità in poesia non avesse ben chiaro il concetto di modernità o ne avesse in mente uno limitato e coercitivo, ed è appunto questo che ha voluto contrastare, opponendo la voce alla cultura del silenzio. Di fatto l'oralità è una scoperta della filologia e della pratica poetica moderna, come ho appena ricordato. Ora la filologia classica ha fatto nuovi passi da gigante e ci propone una rilettura di tutta l'esperienza poetica della Grecia àntica, con tale rinnovato respiro di conoscenze da ravvivare il nostro senso della storia fino al punto da poterne tentare un effettivo riavvicinamento. Il terreno propizjo per questa attiva congiunzione è sicuramente il palco dove i poeti, i cantori, i danzatori, i musici.salgono per dare corpo a una poesia che modifica il rapporto con il destinatario, dunque se stessa, pur facendo convivere esperienze e stili diversi, e perfino opposti, con il minimo comun denominatore della lettura in ~ pubblico. Una prima correzione va allora fatta alla definizione globale di «pubblico ditirambico». Le partecipazioni «ditirambiche» resistono ma non sono più predominanti. Il poeta olandese Johnny van Doorn ha sicuramente eccitato il pubblico. con la sua irresistibile foga (da «invasato») nella terza serata di Milanopoesia,. ma un altro olandese, t! Sybren Polet, nella stessa sera è ~ piaciuto, su un piano diverso, con- l tenuto ma non meno intenso, con ~ una poesia ironico-concettuale. Ed è vero che intorno a Gregory Corso si è formato un consenso di tipo sociale per celebrare il momento di liberazione «beat», ma senza isterismi, perché Corso è poeta sommesso, schivo e timoroso nel rapporto con il pubblico, tutto al contrario di quanto qualcuno avrebbe potuto credere. La sua è poesia di scrittura, di tradizione eliotiana, ha molto meno a che fare con l'oralità di altri suoi amici americani, ma non per questo rinuncia alla lettura. Del resto, nella Grecia antica - ci ricorda Gentili - operavano anche poeti che si possono definire di «recitativo», negli intervalli della musica, un po' come nel melodramma. E i nostri attuali poeti di «recitativo», tutti coloro cioè che hanno semplianche del poeta, sia pure su piani diversi: interagir~ con un pubblico non ditirambico, non invasato, non oceanico, ma ricettivo e critico. Contribuiscono, in altri termini, a socializzare un'arte (della parola e della musica) che rischia di trattenersi in una zona sdegnosa - che per questo viene ignorata dalla società tutta, compreso quel pubblico critico e intelligente che si è dimostrato disponibile in più di un'occasione. A questo punto una quasi sorpresa: non è detto che la poesia letta in pubblico debba necessariamente adattarsi alle circostanze e divenire più affermativa o descrittiva o didattica. Poeti «difficili»escono con voce È d'obbligo, dunque, la citazione di Valeria Magli che da anni, migliorandosi sempre, fa passare la poesia attraverso la danza. Che è appunto un modo preciso, un metodo, per socializzare la parola poetica. Straordinaria l'interpretazione di una nuova Ballata della signorina Richmond di Nanni Balestrini, su un palco ancora bagnato di pioggia. Né si possono certo passare sotto silenzio le prestazioni di Enzo Cosimi e quella del mimo Gregorio Spini. Va da sé che in questa «cronaca» verticale (l'elenco completo, «orizzontale», è stato dato all'inizio di essa) si possono approfondire pochi esempi per ciascun «genere» presentato a Milanopoesia, pur confermando che il livello di Regione Lombardia , Comune di Castiglione Olona Ente Provinciale per il Turismo di Varese ministrazione Provinciale di Varese . ~ ~ -~~- ' Ci ·,_ ' MasoilnoelaLombardia Masolino daPanicale e laculturaartistica lo01barda delQuattrocento. Convegno internazionale di Studi in collaborazione con: Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici, Milano Varese, Castiglione Olona 5, 6, 7 ottobre 1984 Sala Convegni dell'Amministrazione Provinciale di Varese Villa Recalcati, Varese Palazzo Branda Castiglioni Castiglione Olona Col patrocinio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali cemente letto, senza alcun tipo di supporto, né gestuale né musicale, sono stati ascoltati alla pari di tutti gli altri, «cantautori» compresi. Cosicché, a proposito di «cantautori», va detto una volta di più che molte affermazioni lette o sentite di netta svalutazione del loro lavoro e ruolo rispetto alla poesia, che si presuppone essere quella sola vera e alta dei poeti di scrittura, paiono prive di fondamento storico e culturale, proprio se ci riferiamo contemporaneamente ai greci antichi e alla nostra più recente esperienza di vicinanze. Pare evidente che gli autori di canzonj, degne di questo nome, svolgono un compito e hanno un ruolo molto vicino a quello che dovrebbe essere - e quasi mai è - Con il contributo della CARIPLO CA■SA Df JtlSPAlllffO NLL& P,tOYHICJa LOIISARN SegreteriaOrganizzativ~ del Convegno: Ufficio Cultura dell'Amministrazione Provinciale di Varese, Piazza Libertà 1 21100Varese Telefono (0332) 281100 chiara e decisa dalla pagina e ottengono un consenso inaspettato, il consenso alla complessità, all'intelligenza interpretativa della struttura poetica (un esempio per tutti, la lettura di Cesare Greppi). Analogo discorso va fatto per i musicisti. Quello che poteva apparire come linguaggio «provocatorio» viene recepito come stile, senza altre implicazioni (un altro esempio per tutti è Juan Hidalgo). Ma torniamo più vicini alla Grecia antica per risentire il fascino di alcune mirabili definizioni. La pittura? Poesia muta. La poesia? Danza parlante. Non è tentare troppo, credo, se si collega questa «danza parlante» al contemporaneo «teatrodanza» che interagisce con i versi. tutti i partecipanti è stato elevato. Passando invece alla poesia cosiddetta «dialettale», i tre poeti presenti ci stanno tutti: Amedeo Giacomini, Raffaello Baldini e Franco Loi, e chi minimamente conosce la poesia dialettale di questi anni sa che si tratta di figure e scritture rappresentative di modi diversi di concepire la dialettalità. Giacomini la vive tutta nel suo Friuli pur non disdegnando la poesia in italiano (e i lettori di Alfabeta possono rileggere il suo più recente poemetto in lingua, «Exfragmenta», sul Supplemento Letterario del n. 62/63) secondo linee di recupero anche filologico. Baldini usa il suo santarcangiolese come una lingua orientale, monosillabica e picchie(tante, riscattando con la sua piccola .musica, suadente e ossessiva, le nevrosi visionarie della provincia. Franco Loi tira, per così dire, la lirica verso il basso, verso quei ceti che oggi mischiano vari dialetti (il vero milanese, infatti, non esiste più), scoprendo in questa sorta di plurilinguismo «basso» la propria identità, in una capacità di esprimersi a molti possibili livelli, dal sentimentale al politico. Una varietà di atteggiamenti e di stili che non prescinde mai dalla necessità, che non si affida, dunque, alla semplice e falsificante «traduzione» in dialetto di pensieri fatti in lingua; una specie di garanzia, questa, che la poesia dialettale assolve davvero la sua antica funzione, di testimoniare la polifonicità (tipica della Grecia prealessandrina) dentro il sistema della poesia, che certo ha tutto da perdere dagli irrigidimenti dogmatici, come si sa, a partire da quelli linguistici. Forse per merito di questa vocazione «popolare» i poeti dialettali leggono quasi meglio di quelli in lingua, nonostante -tutti abbiano dato, in questa occasione, i risultati migliori di questi anni. G li attori e gli attori-poeti non hanno certo rinunciato a mettere in evidenza il loro spazio, quello più consono all'uso della voce come strumento (Paolo Bessegato) e quello del corpo «simpatico» e invadente (Victor Cavallo). Mentre la scena con un poeta che legge rimanda sempre alla pagina bianca (come se la scena rimanesse simbolicamente vuota), con un attore lo spazio si riempie tutto, e il silenzio viene animato, colmato, articolato e infine sconfitto. Più vicini agli attori sono quei poeti che puntano decisamente al comico, come Corrado Costa (che vena il suo comico di improvvise malinconie metafisiche) con i suoi stupendi «films», e anche Alberto Mario Moriconi finché si mantiene in questa dimensione, come nella poesia sullo sfruttamento degli orifizi anali degli uccelli sulle coste peruviane, cioè sui fondamenti dell'industria del benemerito guano. Un connubio tra musica e poesia, tra voce e ritmi, che richiede doti eccezionali è quello di Giuliano Zosi, come di Eberhard Blum (che ha eseguito la Ursonate di Kurt Schwitters), per arrivare fino alla voce purissima e angosciosa di Javier Maderuelo. Tutti accolti da una sorta di ovazione del pubblico, che ne ha apprezzato appieno la bravura. Come è stata assai apprezzata la performance del silenzio di Bartolomé Ferrando Colom, proprio sul fronte opposto, nella zona in cui parole e spazi si articolano, magari con l'intervento della fiamma. In altre parole: poesia concreta in scena, con esiti eccellenti. Il lettore che ha avuto la pazienza di seguirmi fino alla fine avrà già perfettamente inteso che la caratteristica principale di Milanopoesia è stata - e rimarrà negli anni futuri- l'articolazione delle proposte, quella che si può (e forse si deve) chiamare: polifonia. Non vi sono, in conclusione, dogmi da difendere, o posizioni da privilegiare, e questo risultato non è mai stato in qualche misura «imposto», è stato costruito dal pubblico, dai destinatari, il cui orizzonte di attesa non è univoco né rigido, pur manifestando, in strati diversi, preferenze per l'una o l'altra forma, senza però privilegiarne alcuna. È questo il nuovo orizzonte della «sociabilità» della poesia, il terrèno dove· si manifesta un senso nuovo della letteratura.
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