Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

A nche se la letteratura, nella sua forma scritta, è pronta a sopportare una fruizione interrotta - sguardo che si arresta pensieroso sulla riga oscura del libro, o che erra distratto altrove; mano che richiude il volume con un segno tra le pagine, o insoddisfatta lo squinterna e, al limite, lo getta lontano -, tuttavia il testo tende a costringere il proprio lettore in un insieme omogeneo, soprattutto quando punta su un coinvolgimento di tipo emotivo. Diciamo che il testo ci prende, allorché il «senso della letteratura» occupa per intero la sensibilità e la possiede mediante l'esca delle sue suggestioni. In questa attrattiva, l'interruzione è intoppo inopinato, inconveniente frustrante, mala creanza; è, davvero, l'estraneo che guasta l'atmosfera del. consentimento. Diversamente, se .il testo propende a fornire stimoli alla riflessione, Fintèrrompersi diventa un comportamento necessario e con- . naturato alla sua stessa comunicazione. Infatti, mentre l'emozione è sempre bruciata nell'istante, e quindi è sbilanciata in avanti a mantenere l'intensità, la riflessione è, al contrario, sempre rivolta all'indietro, perché solo uno sguardo retrospettivo può stabilire relazioni e collegamenti. La riflessione sul testo è un percorso non lineare e teso, ma accidentato e frastagliato, dove, non che permessi, sono richiesti l'inversione del senso di marcia, il ritorno a più riprese, la pausa. Alla rapidità dell'emozione, si sostituisce una rimuginante e circonvoluta lentezza. Che poi anche il cogitare meditabondo prediliga concentrazione e raccoglimento, non muta il problema; si tratta di considerare !'inV i sono due modi per un autore di raccoglierepropri articoli di giornali, suggeriti da un libro altrui e definibili quindi recensioni (positive o negative), variazioni e ampliamenti su un tema. L'uno è di giustapporli ·in ordine . cronologico, senza intervento alcuno: l'operazione, che rispetto ai testi di partenza si configura iterativa, più che funzione culturale ne ha una bibliografica; nel caso sarebbe plausibile fosse fornita di esaustivi indici di argomenti e di nomi propri. Spesso sono gli allievi di un maestro defunto o gli studiosi di un artista con analoga sorte a compiere l'operazione, memorativa o commemorativa che sia; qualche volta ci sono critici e scrittori che stranamente trovano proficua un'autoperazione del genere. L'altro modo risultaper il lettore assaipiù stimolante: un critico, che sia regolarerecensoresu un giornale e si muova, all'interno di un'ampia massa di libri recensendi, con spirito selettivo, decide a un certo momento di scegliere fra i propri interventi giornalistici quelli che gravitano attorno a pochi motivi o temi eccitanti della cultura, ciascuno dei quali abbia calamitato attorIl senso della letteratura / 12 L'inter.ruzione terruzione come punto contraddittorio di qualsiasi apparato rituale che difenda la propria aura mediante la chiusura verso l'esterno. Per quanto riguarda la letteratura, più che sulla continuità dell'esecuzione (precaria: a meno di non abbandonare l'oggetto-libro per il concerto vocale), è possibile calcare sulle prerogative rappresentative o evocative di un organismo separato dal mondo, e proprio perciò equivalente di esso. Quanto più il mondo esterno è escluso, tenuto a distanza, tanto più il microcosmo varrà per la totalità e ne sarà il sostituto. Il testo come metafora del mondo: si potrebbe dire, con Lotman, che grazie alla dislocazione dei limiti (la cornice che separa il testo dal non-testo) qualsiasi opera assume la fisionomia di «modello finito di un mondo infinito». • Eppure, è sufficiente allargare lo sguardo perché lo stesso fenomeno testuale appaia come parte marginale, contigua ad altre produzioni: intratterrebbe allora un nesso metonimico, nel riferimento al mondo. Per rendere conto di questa duplicità di metafora e metonimia del mondo, il testo deve superare i limiti, uscire fuori di sé: a ciò, potrebbe servirsi anche dell'interruzione, se trasferita dal consumo alla sfera della costruzione della scrittura. Direi che il passaggio è distintivo della ricerca letteraria moderna: non solo al modo del frammento, del non-finito con cui il testo enuncia la propria parzialità e lacunosità rispetto a un continuum ormai irrecuperabile; e non solo con l'esplosione del grido e della opacità somatica nelle maglie prevedibili della comunitazione convenzionale. Si tratta, indubbiamente, di incompostezza; preferi- ... Francesco ·Muzi,ioli rei però parlare di interferenza tra convenzioni e ipotesi espressive in contesa su di un terreno dove le dissonanze linguistiche (e culturali) non vengono più occultate, ma riconosciute e messe in gioco. Almeno quanto basta a sospendere Jo scontato senso comune della letteratura, su cui si basano le risposte immediatamente emotive. R iprendo l'idea di una interruzione nel testo da alcuni cenni di Walter Benjamin, teorico per altro interessato all'interruzione anche sul piano più generale della filosofia della storia. Nel saggio sulle Affinità eletti.ve di Goethe (riproposto qualche tempo· fa nel volume di scritti 19191922, Il còntetto di critica nel romanticismo tedesco, Toi:ino, Ei- . naudi, 1982), allargando il discor- ~o ·dal testo in esame, Benjamin _s_corglea necessità di un «arresto» èhe costituisca il controcanto della bellezza e dell'armonia prodotte dall'opera d'arte. Questo qualcosa che «interrompe» è da lui definito das Ausdruckslose, il «privo di espressione» - la precedente traduzione dicendo l' «inespresso» ne faceva qualcosa di implicito ed assente, mentre invece è una funzione esplicita. Nell'interruzione, secondo Benjamin, «il bello deve render conto di se stesso»; più precisamente, il «privo di espressione è la potenza critica» o «la potenza superiore del vero» che spezza «quello che resta, in ogni bella apparenza, come eredità del caos: la totalità falsa, aberrante - la totalità assoluta. Esso solo compie l'opera riducendola a un 'pezzo', a un frammento del vero mondo, al torso di un simbolo». C~i volesse servirsi, in tutta la sua problematica, di questa ipotesi benjaminiana potrà ritrovare l'intero brano, assai ridotto nella mia citazione (è alle pp. 233-35 de Il concetto di critica; nella ed. in Angelus novus, Torino, Einaudi, 1962, si trova alle pp. 211-13). Per ora e qui, va segnalato il contrasto, nell'interruzione, tra totalità e frammento (che sarà poi nella nozione benjaminiana di allegoria), e va notata l'apertura di uno spazio critico interno all'opera e determinante per il suo valore. S'intravede la possibilità di una posizione duplice e straniante. Questo modo consente di ricollegare il «senso della letteratura» al contesto culturale senza annullare l'apporto e le peculiarità specifiche. Inoltre, il doppio punto di vista lavora, da un lato, a inserire una nota disarmonica (una asimmetria), che deforma le regole convenzionali della letterarietà, e le· assoggetta al mutamento storico_,.Dall'altro lato, e nello stesso tempo, rende problematica la fantasmatizzazione, il sistema di modelli (comportamentali, spaziotemporali, ecc.) connessi al serbatoio tematico della letteratura. Risulta opportuno operare insieme su entrambi i versanti che in realtà sono le facce di una stessa medaglia. Altrimenti si finisce in braccio o a una letteratura autosufficiente che si riproduce per partenogenesi (senza toccare le radici, ossia senza mettere in questione il ceto corporativo); o a una letteratura al di là e al di sopra dei linguaggi dell'uso, in quanto tale contestativa dei logori significati quotidiani, con ciò fuori della cultura e della lingua collettiva per privilegio poetico. Dal canto suo l'interruzione, intesa come un singolo procedimento, sarebbe facilmente isolata e riassorbita; dobbiamo piuttosto Letterat1ra, piedi no a sé un gruppetto di discorsi recensòri che entro questa nuova struttura tematica si illuminano e potenziano a vicenda. La seconda via è quella seguita da Paolo Mauri col volumetto dal- /' aria elegantemente discreta e dal bel titolo polisemico Corpi estranei. Gli articoliprovengono principalmente da La Repubblica e Alfabeta; uno di essi, il più lungo e conclusivo, è inedito: « La letteratu-• ra a piedi». Ecco grappoli di articoli crescereattorno al tema dell'Amore, del Corpo, della Terra, dei Maghi, del Comico, ecc. La struttura del libretto consente a Mauri. di affiancare e mettere in relazione· vari punti di vista, quaestiones in modo che l'oggetto tematico di base comune si sfaccetti come un brillante di buona lavorazione. Se una civiltà può, per esempio, senza difficoltà produrre degli amori sublimi, ancor più agevolmente la civiltà che segue può disfarli richiamando l'uomo a diverse prospettive della cosa. Di qua allora il De amore di Andrea Cappellano, costruito su una fissa classificazione sociale di esseri atti e non atti ali'amore, o i poemetti antico francesi raccolti ne Il falcone desiderato della «Nuova Corona» di Bompiani; di là l'ossessione sessuale della settecentesca poesia di Giorgio Baffo. E quale incremento porta all'una e all'altra sponda della terra amorosa l'analista del tipo di Norman Kiell, autore di La masturbazione nella letteratura? Un'operazione del genere, di· muovere. i libri recensiti entro il flusso delle idee che li collega o li contrappone, mostrando nel contempo la loro sublime e artificiale libertà dentro i contesti e gli extratesti, può funzionare solo se il critico è, come Paolo Mauri, non solo subtilis, ma fornito di quello che egli chiama a più riprese il senso parodico della letteratura. Stimolanti le assemblee, entro la letteratura, di Corpi e di Non-Corpi (metti Beatrice) e di Corpi affamaii (metti Bertoldo, dalla gigantesca fame). Per non parlare dei mostri (cfr. l'articolo sul Liber monstrorum, edito ancora nella «Nuova Corona» di Bor.npiani_da Corrado Bologna), dei nani o dei giganti (racconti di Fiedler; Freaks). E acute le osservazioni su una nuova edizione delle Metamorfosi di Ovidio, opera per la quale Mauri recensore intuisce sulla inconsapevole scia di Sceglov l'ideazione ovidiana di «una grande enciclopedia del racconto possibile» entro una chiusa struttura di collegate trasformazioni. Particolarmente suggestiva appare la sezione di articoli collegati dal tema della Terra e dei rapporti fra elementi naturali e loro lettura culturale; è questo un punto di vista su cui molto recentemente Jurij Lotman ha detto cose assai acute in un articolo inedito in Occidente fuorché in Autografo n. 2 (giugno 1984). Ma passiamo al lungo articolo inedito dal curioso titolo, ironicometaforico, «La letteratura a piedi». Che cosa vuole mai dire con questo concetto Paolo Mauri? La meta/ora nasce dalla contrapposizione fra le ragioni della critica e quelle della industria culturale: «L'industria va in jet e il critico a piedi». In apparenza la posizione del critico è debole: «Il critico va a piedi, è vero, ma oggi è come se andasse a piedi sui bordi di un' autostrada: corre il rischio d'essere investito ad ogni passo». Eppure egli ha la forza di contrapporre ali'evento-acquisto l'evento-libro. I due percorsi della critica e del- /' industria si scontrano e a volte si considerarla come uno dei lati con cui si presenta la scrittura «in cerca di nuovo statuto». È solo uno dei lati possibili. Vale, provvisoriamente, da indicazione alternativa nei confronti delle varie forme di recupero di valori letterari sicuri: che altro è, in fondo, il privilegiamento dell'emozione, se non un fermarsi al primo dato di fatto che si incontra, facendone un incontestabile e comodo metro valutativo? Si va sul sicuro: con una gamma di offerte, dal classico al moderno, al postmoderno, ma in ogni caso senza spingere il riciclaggio oltre i limiti dell'accettabile. La narrativa, con l'occhio ai successi del triviale, chiude agli esperimenti, lasciando all'autore, al massimo, l'ammiccamento indicante consapevolezza nel servirsi di trucchi accattivanti; la poesia, dopo la febbre giovanile dell'oralità, •sembra ora voler attestare la ricomposizione del proprio valore positivo in una ritrovata funzione redentrice e sublimante. Le eccezioni a questo blocco sono presenti e attive, ma troppo spesso disperse - di qui l'importanza di estendere le occasioni di confronto e di dibattito sul senso della letteratura. Per paradosso, l'omologazione pretende di agire nel nome dei sacri diritti del lettore a una degustazione indisturbata; mentre è con l'allontanamento dell'interruzione che ii destinatario viene svalutato, confinato com'è sullo sfondo di una ricezione passiva e muta. La ricerca di un rapporto intellettuale interattivo richiede che la scrittura accetti il destino del mondo profano e materiale: l'eterogeneo e il discontinuo, la molteplicità dei codici e delle prospettive, la violazione dei confini. Un oggetto manipolabile: da usare. intrecciano; ma il critico deve sapere andare da sé, darsi da solo il suo compito. Mauri non è un moralista, è anzi autore spesso ironico,. ma mi pare ci sia una profonda serietà dietro la descrizione dei ludi letterari;diamogli laparola: «Il parodico come specularità o ricreazione o riutilizzazione del fitto intreccio di relazioni possibili è dunque, alla fin fine, tutt'altro che un gioco. La parodia si nega nella sua attuazione, che la rende modello, concretezza, la invera. Come per la letteratura la forza della critica sta nelle sue precarissime radici». Per sua fortuna, il critico Mauri prova l'unica passione capace di accendersi in un giornalista recensore: la lettura. «Come il brano di musica non suonato, il libro non letto di fatto non esiste». È a questo grande esercizio che il piccolo libro di Mauri ci invita quando ci parla di parodia e di riflessione sulle modeste possibilità dei npstri giudizi. Paolo Mauri Corpi estranei Palermo, Sellerio, 1984 pp. 136, iire 7000

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