e iò per cui le dorine riconoscono o, in ogni caso, detengono la loro specificità consiste nella loro inesorabile tensione non verso i fatti come tali, ma verso~ l'intenzione e la volontà che dà a. essi il loro significato. Se si potesse chiamarla cosl, la voce femminile (della lingua femminile •scritta o parlata) si caratterizza per un tono che è fondamentalmente quello dell'interrogazione. La lingua delle donne in linea di 1 massima non costruisce sistemi, non avanza tesi, non tende nemmeno al possesso dei fatti; si lascia piuttosto definire mediante la differenza rispetto a tutti quegli atteggiamenti. Lo stile della voce femminile si estrinseca più nella forma dell'interrogazione, della domanda, che non in quello dell'affermazione. Essa si dispensa dall'affermazione, perché di fronte all'enunciazione della voce maschile che vuole concludersi su un fatto, su una constatazione, essa ripropone continuamente un rinvio al significato del fatto e della constatazione. Non brama e non accetta il possesso che sui fatti rivendicano gli uomini, quel possesso dal quale si finisce poi per essere posseduti, perché avverte nel possesso lo sbarramento dell'intenzione, della volontà, del significato. La voce femminile, si potrebbe dire non si accorga nemmeno del fatto che la voce maschile si affanna a enunciare con una sorta di inesorabilità, perché avverte in prima linea lo sfondo opaco del possesso di cui l'enunciazione di un fatto è soltanto pretesto. Lavoce femminile, per così dire, sfronda i fatti, allenta la tensione paranoide con la quale il linguaggio maschile vorrebbe far sentire una necessità dura e ineluttabile; infine, essa scopre al di là dei fatti, delle tesi e dei sistemi eretti dagli uomini lo spazio della contingenza, dell'intenzione, del senso. La voce femminile scopre la forma modesta e incerta che si cela dietro l'armatura verbale del linguaggio maschile, che ha paura e al tempo stesso vuol far paura. Per questo la voce femminile si distende in una lunga, interminabile interrogazione che va alle spalle degli uomini, dove essi non riescono a vedere perché naturalmente non vogliono vedere. E, per questo anche, così spesso la donna è la «compagna» dell'uomo, il quale erra e misconosce per parte sua. I o credo che la circostanza per la quale scrittrici così diverse tra loro quali V. Woolf e I. Bachmann presentano, nonostanIl senso della letteratura / Riferimenti Lavoce 111111inile te tutto, deile affinità dipenda dal tono di interrogazione e di richiamo nel quale si percepisce la loro voce. E questa è anche la ragione per la quale le donne non vogliono vedere quei fatti che sono l'ostacolo alla visione del senso nella tensione verso il quale esse vivono. Per questo anche le donne possono o temono, da bambine, di diventare cieche o addirittura pazze. Ma ciò che costituisce la specificità della voce femminile tra scrittrici fra loro diverse è la tensione verso un senso che, di fronte alla resistenza eretta dalla verità notarile sottoscritta dagli uomini ordinariamente, fatalmente si estrinseca come richiamo, come strazio, come grido. In ogni caso si estrinseca come propensione alla descrizione, al passaggio da una condizione di yerità alla condizione del senso di quella verità, anziché all'argomentazione sistematica paranoide che assolve al bisogno di affermazione e di possesso che spinge normalmente gli uomini. Per questo, il mondo evocato dalla voce femminile è il mondo del tempo e della memoria. Quest'evocazione della sfera del tempo e della memoria è anche il disarmante richiamo dell'eticità che si contrappone ai sistemi armati del discorso maschile. Disarmante non perché sopraffà l'avversario armato, ma perché semplicemente svela che dopo tutto non è armato affatto. Il tempo e la memoria costituiscono un processo di ritrovamento, di riorganizzazione di sé attraverso uno stato di senso; proprio come tali essi rigettano il sistema, l'assiomatica di un fondamento, la rigida continuità che negli uomini non fa altro che ripetere un fondamento che si vuole ben protetto e fondato, e che è invece soltanto un arbitrio originario. Aldo Gargani Il tono femminile non parte da ciò che per effetto di un arbitrio iniziale si pretende come già noto, e anzi si manifesta come richiamo, come interrogazione, talvolta addirittura come grido e accusa perché tende a raccogliere le tracce delle voci disattese, le voci che qualcuno, uscendo sull'uscio di casa nel silenzio della sera, avverte levarsi tutt'intorno dalla oscurità che circonda il ménage familiare illuminato all'interno, e avverte che in quelle voci è rappreso tutto il suo essere. Questo richiamo si riflette nella voce femminile e la sua eticità risplende nella chiamata che essa rappresenta nei confronti di tutti i segni, tracce, voci che sono state dimenticate e disattese. Tutto quanto è disatteso e dimenticato dagli uomini che si turano le orecchie con la cera per non sentire il proprio peccato. Tacchina fredda alla parisienne La voce femminile è il sottotesto che accompagna la storia ufficiale condotta e combattuta dagli uomini armi in pugno. Rispetto a questa storia armata, la voce femminile non poteva esistere come storia, ma come descrizione disarmata che ha rinunciato alla certificazione del possesso. La voce femminile è l'allarme percettivo che si può incontrare soltanto nelle circostanze del segreto. F ondamentalmente la voce femminile è l'unica voce che non corrisponde al compiacimento del giuoco - del giuoco della guerra, delle carte o delle competizioni. Il giuoco, per un vasto numero di uomini, è quell'attività ove il piacere non consiste propriamente in ciò che si fa, ma nella circostanza e nella consapevolezza narcisistica di praticarla. Non gli eventi del giuoco 'recano piacere, ma l'autorappresentazione che l'uomo ha di se stesso nel praticare il giuoco come tale. È l'immagine compiaciuta dell'attività svolta in quanto tale che caratterizza il giuoco maschile. E per chi ne è fuori, il giuoco non può altrimenti apparire che come un tedio mortifero e una copertura di tutto quanto è essenziale ma viene disatteso. Per questo gli uomini sono spesso così mortalmente noiosi, e di questo tedio sono afflitti spesso i loro giuochi di linguaggio. La voce femminile sorge come grido di richiamo, come straziante interrogazione di fronte a quei giuochi che feriscono coloro che ne rimangono fuori, come le donne e quelle persone «deboli» (perché incapaci di sopportare la pressione della vita ordinaria) che sono i poeti e gli scrittori. E la voce femminile è la voce del coraggio del senso contro la ripetizione meccanica del giuoco maschile. Questa tensione del senso è dentro la voce femminile come tempo della memoria. Ma non si tratta di memoria di fatti accaduti, ma di possibilità, in effetti di una straordinaria varietà di possibilità, delle quali non si potrebbe nemmeno dire che non si sono verificate in un certo punto del tempo e dello spazio, perché sono piuttosto possibilità che in ogni istante vengono avvértite e scoperte ma che risalgono a una antica vicenda che ogni donna reca in sé e che costituisce anzi il suo sé. In questo senso, la voce femminile può avere la facoltà di inventare e costruire eventi, modi di essere, costumi propri di uno stadio primordiale dell'umanità a partire da ciò che è significante per lei ora. A partire da ciò che la colpisce come significante nel suo intimo, una donna potrebbe congetturare modi di vita primordiali, ap- ,. \ f ' • ' - • ..,, ' Decorazione in pasta di zucchero partenenti a altri gruppi dell'umanità. Lei non vive e non potrebbe vivere nella logica del qui e dell'adesso, perché essa non fa altro che testimoniare ogni volta la ferita, l'insulto che le ha recato la storia. 11 tempo della memoria femminile è lungo, arcaico quanto lo è il percorso di insulti, violenze, ferite e uccisioni, che sono i parametri nei quali si quantificano gli eventi della storia umana. Per questo la storia dei tempi antichi, moderni, di un anno fa, di avant'ieri e di ieri, per lei è un eterno presente. Lei non potrebbe nemmeno percepirla se quella storia non avesse il suo terrificante significato a partire da quel presente non storicizzato e non storicizzabile del quale lei si può considerare l'unica protagonista. Se lei detiene quell'unico tesoro che è il deposito del senso - attraverso il quale soltanto l'umanità si stacca dal terreno originario e amorfo della vita - è perché è sempre stata assoggettata alla presenza della violenza, della parola mortifera, al gelo delle strategie della Storia, senza condividerle. Di quella Storia alla quale si deve rinunciare perché la sua lettura è solo la propaganda di immani e crudeli macchinazioni, anche se l'ammetterlo può costare alla gente una. sorta di sacrificio, ma un sacrificio del cuore e del sentimento, non di altro. La Storia la si può leggere, tutt'al più, sapendo che essa esiste molto meno di quanto comurtemente si creda, e che in essa si deve imparare a non trovarvi conforto. Per questo gli uomini si turano le orecchie con la cera, non perché non vogliano udire una qualche voce seduttrice, ma perché di seduzione non ve ne è affatto. Lontano, lontano guarda una donna, così come un bambino al cospetto della morte del padre si mette alla finestra e investe con le sue arcaiche, primigenie immaginazioni il muro della casa di fronte, perché in quel momento egli scopre di apprendere per la prima volta una serie di verità, fino allora fugate, che un albero è un albero, che una foglia è una foglia, che ogni oggetto sta lì nella sua morte quieta. La trama filata nella voce femminile non sarà mai la Storia narrata dagli eruditi, perché essa non potrebbe avere altro termine, altra fine che non sia l'inizio di ciò che sta ancora una volta per raccontare, che si trova per così dire appena, ma anche già sulla punta della penna.
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