Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

Il senso della letteratura / 11 Laforza - ' • - 1Gil~ggest1one B isogna, forse, confrontarsi con l'ovvio. Prendiamo due immagini, affatto diverse fra loro. La prima, letteraria, è un aneddoto narrato da M.me tle Stael nell'Alemagna, qui nella traduzione italiana del 1814(voi. I, p. 73): «Un uomo dotato di assai criterio narravami che trovandosi una sera, in una festa da ballo in maschera, passò dinanzi ad uno specchiò, e che, non sapendo come riconoscer sé stesso in mezzo a tutti coloro che vestivano un dominò simigliante al suo, si fece un lieve segno di capo per ravvisarsi... » L'altra è un'immagine in senso proprio, precisamente una vignetta senza parole del cartoonist Quino: in primo piano due astronauti, sbarcati (per dir così) da un mezzo spaziaìe su un qualsiasi pianet11 della galassia, osservano il suolo sconosciuto su cui si trovano, raccolgono campioni, ecc., mentre in· secondo piano, più esattamente in alto sopra di loro, una mano enorme, drammaticamente ironica, sta per spingere via, lontano nello spazio, con un semplice buffetto, quella biglia minima che è la Terra. L'impressione è quella di una domanda insieme tragica e comica: «Che cosa conta?» Le due immagini, letteraria e visuale, con le loro rispettive ambiguità, sembrano in qualche modo oscuro rappresentare o evocare il senso, anzi «i sensi» della letteratura: e la creazione, o l'attribuzione di senso a qualche cosa che di per sé non ne ha o non è detto che ne debba necessariamente avere, è già una risposta·intrinseca e indiretta al quesito. Solo che si tratta di sensi indotti e aggiunti· a simiglianza di una pròtesi: la letteratura prolunga la mano oppure la mente, è l'arnese che aiuta il lavoro, lo strumento che lo completa. Ma quale lavoro? Sembra davvero di fare l'elogio del fantasma: qui però i fantasmi sono almeno due, o comunque di due tipi - il revenant e il replicante. Quale fa più paura, colui che ritorna visibile e udibile dall'Oltre, o colui che ci raddoppia, talora sorpassandoci? Il senso, il significato diventano così un nodo, un groppo, una significazione, modo o modi di una ricerca. Infatti, in un mondo come il nostro dominato e segnato dalla generale «perdita di senso», ogni persona, cosa, aspetto reale o astrazione concettuale, un «senso» se lo cerca da sé; si è costretti a inseguire una realtà immaginaria, un'esistenza fittizia, una parola senza retroterra. N ell'aneddoto della de Stael (forse non sconosciuto a lr), • Borges. quando - vedi G. ..... c::s Nascimbeni, Il calcolo dei dadi, .5 Milano,· Bompiani, 1984 - affer- ~ ma: ~<Houna grande esperienza in "'t- materia d'incubi. Quello che riten- ~- ..... go il più terribile di tutti è il veder- ~ si mascherati in uno specchio») lo °E specchio diventa «figura» che fa ~ nascere il doppio: e fin qui, ap- "' punto, siamo nell'ovvio. Ma da un i punto visuale più allontanato o dii: sincantato lo specchio vale per sé, ~ è (rappresenta) la_ietteratUFa, la Ì quale è il luogo della creazione di ~ doppi, di altri «me», facce fantasmatiche eppure reali, identiche e differenti, dove fra l'altro resta confermato (implicando Freud magari per l'interposta persona di Gramigna) che il «reale» non corrisponde necessariamente alla «realtà». Questi «doppi» separati/uniti dallo specchio letterario, queste irrealtà o sogni dell'io che assume come Altro il me dietro/oltre se stesso, si concretizzano «attraverso» il linguaggio. Si è, così, messi in contatto con la realtà individuale della letteratura, il suo essere «in sé» prolungamento di parole fuori dell'io, verso l'altro. Un altro io si protende verso un altro me: mettere in comune, comunicare e tramandare), quindi, per estensione, storia. Vecchie distinzioni, fra letteratura-istituzione e •letteratura-invenzione, fra autocoscienza (il testo) ed eterocoscienza (la critica), sdoppiamento scrivente/leggente e relativa doppia creazione di senso? Semplicemente, la metafora letteraria tiene, e «serve» a evidenziare, quando non a inverti- ·re e a sovvertire, gli umani giochi delle parti. Non è lo specchio della letteratura ad avere o a perdere senso, ma l'io e i suoi «replicanti» ad attribuirglielo. Il dentro e il fuori della letteratura sono compresi in questi limiti: delle cose; anche, e soprattutto, come civiltà, come capacità èli es- • sere oltre che di fare, di dire o di conoscere. Non pensiamo (fingiamo, ci imponiamo di non pensare) alle ipotesi catastrofiche, pur così prossime, della bomba o della fine ecologica: la letteratura, infatti, basta da se stessa a distruggere i propri labili ponti col pensato da una parte («a monte»), col vissuto dall'altra («a valle»). L'io continua a riprodursi nella parola scritta senza vedere (per fortuna) la mano metafisica che spinge fuori campo la sua base reale: resterà, non resterà (sottinteso: «qualcosa») per i futuri? Attraverpulsione, mezzo di trasmissione e trend (il tendere verso). Così maledettamente oscuro. Il «che fare» letterario, allora? Bisognerebbe ricitare Borges dalla prefazione al Manuale di zoologia fantastica («Ignoriamo il senso del drago ... ») per significare che è impossibile determinare· quando e come lo specchio suddetto risulti efficace, sdoppiante o raddoppiante. • Certo è letteratura la parola .consumata che da oggetto (significatò) diviene metafora dell'oggetto (significante), cioè parola rinnovata. Nel gioco o trappola del · linguaggio l'io-identità si nega e si oggettiva moltiplicandosi nello spettro prismatico e superindividuale della lettura. Di questa parola che si fa vita altra, innovativa nella scrittura, negli occhi dei leggenti restano solo brani, brandelli, paglie e forse meno, fosfeni e bÒl- ·1eastratte. Altrettanto certo che persino l'uomo dell'organizzazione, il grigio manager, oggi si dibatte fra istituzione e invenzione (o reinvenzione) sostenendo che la vera innovazione consiste nel trasformare «le cose note in cose nuove» (R. e M.L. Varvelli, Come cambia il potere in azienda, Milano, Angeli, 1981). Fra l'utopia degli anni settanta e il ritorno alla perfetta brutalità dell'ordine restaurato, ecco il punto, fra il già detto e il nuovo a dirsi (sempre più improbabile e ormai inamato ), fra la parola consumata e la parola rinnovata, fra scrittura e lettura e persino fra leggibile e illeggibile (due categorie dell'uso e non del valore), non mancano piccoli spazi, crepe utilizzabili, interstizi in cui situarsi e situare una parola (pensiero/scrittura) differente ma di senso incompiuto, cioè da riempire con wit, background, vissuto, ecc., dell'Altro («E dunque vale un coefficiente possibile di interstizialità» ecc., F. Leonetti L-------==:::=~~~~~~~~~~::=:~~~:::=:~::~==-------J in Alfabeta n. 57). Ci troviamo fra i sensi o la signiletteratura, dunque specchio pulsione, identità, ·riconoscimento, ecc. Ma letteratura è anche oggetto «per sé», passaggio fra la cosa scritta e la cosa sognata, come dire fra una terra concreta e una terra simbolica. Da questo punto di vista (non meno specifico), la letteratura appare in tutt'altra prospettiva da quella in cui si presenta all'individuo che la fa, mentre la fa: qui funziona da rapporto e documento, non più specchio ma «cosa specchiata», riflesso di se stessa, un fantasmatico e concreto oggetto separato da trasferire nelle mani/coscienze altrui. Questo secondo aspetto, non più solo individuale, bensì interpersonale, oggettivo per il suo diramarsi fra più soggetti (il rapporto intersoggettivo affaccia un'oggettività basata sul numero), si prospetta come un momento successivo. Dopo il soggettivo-individuale (prima attribuzione di senso), il relazionale-oggettivo (seconga attribuzione di senso). Nel primo caso, immaginativa e inventiva (il senso del fare); nel secondo, documentaria (il senso del Grande alzata a ripiani, e Trionfo di Industria . limiti binari e convenzionali come le scelte del computer e l'è/non è del decisi.on.making. (Una terza dimensione, il silenzio, non trova misura fuori della persona). Ogni limite è creatore di senso. «Riempire to spazio fuori di sé significa svuota.re, dentro di sé, il senso del tempo», dice G. Pontiggia (Il giardino delle Esperidi, Milano, Adelphi, 1984). E tutte e due le dimensioni sono compresenti fin èlall'inizio nell'io che si sdoppia, che si moltiplica nell'Altro, coesistono nell'essere che è poi (secondo un'intuizione poetica di A. Porta) un fare, e cioè un divenire. I n una arbitraria nemmeno interpretazione ma solo suggestione, la vignetta di Quino pare alludere genericamente all'umanità, i cui due campioni sono gli astronauti (per analogia gli scrittori, i poeti); quelli guardano, bucano, raccolgono (questi scrivono, pensano, parlano,. ecc.) quando una enorme metafisica impossibilità sottrae il punto di partenza, la base, la Terra. Terra come humus, nel caso dello scrittore come cultura e senso so il linguaggio, viaggiare verso dove «le Pimplèe fan lieti / di lor canto i deserti» ecc.? •Spingersi verso l'ignoto fino a perdere l'appuntamento con la propria base? La mano metafisica è lì, senza scampo. La letteratura non ha potere, si sa, ma solo forza di suggestione: da.odo vita al replicante o ai replicanti s'illude di allontanare la mano enorme che grava sulla vita (vita dell'io, vita di tutti). In questa duplice, continua metaforizzazione, in questo riemergere del «prima» e puntare al «dopo», a ciò che sorpassa l'individuo nudo; c'è in sintesi l'evento, l'avventura letteraria e in fin dei conti la «finzione» letteraria intesa qui nel senso comico-tragico del «fingere che conti»: cioè appunto la ricerca e l'attribuzione di un senso, di sensi alla letteratura. D unque, nemmeno •troppo contraddicendo il .vecchio Sartre, oggi parliamo del «perché» si scrive (il «prima», il «dentro»), risultando il «per chi» (il «dopo», il «fuori») artatamente predeterminato dall'incrocio di ficazione della letteratura come in un dilemma che un Edipo sconosciuto si -lascia imporre da una nuova Sfinge: fra gli opposti scogli di due Nulla scoprire un passaggio - ma quali «interstizi», quali nuovi «sensi» scovare nella realtà per sopravvivere nella letteratura e per il sopravvivere della letteratura? «Mi accorgo di scrivere affermazioni piene di buon senso e ne provo un tal quale orrore» (G. Manganelli, in Corriere della Sera, 8 aprile 1984). Chissà, «senso della letteratura» e «senso della vita» potrebbero riaccostarsi, tendere di nuovo a coincidere. Il dibattito sul «senso della letteratura», cominciato su Alfabeta . n. 57, ha accolto finora interventi di F. Leonetti e Antonio Porta (n. 57), G. Raboni (n. 58), G.· Gramigna (n. 59), R. Luperini e R. Carifi (n. 60), M. Forti (n. 61), • A. Prete e N. Tedesco (n. 62/63), e,· nella serie «Riferimenti», contributi di G. C. Ferretti, F. Muzzioli, A. Guglie/mi, G. -Patrizi, F. Masini. Con l'intervento di F. Menna (n. 62/63), il diba"ttitosi è esteso anche e più direttamente alla ricercaartistica.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==