Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

Mensile di informazione culturale Settembre 1984 Numero 64 I Anno 6 Lire 4.000 . . 64 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonaménto postale gruppo 111/70• Printed in ltaly Agenzie per la comunicazione pubblicitaria in Milano e Modena Unlibrointero del 1921: ·Bellini Corti, Fenaris, leva; Porta, Rovatti A. Tagliaferri: Intervista a Harolcl Bloom. * P.A. Rovatti: Foucault in Italia * G. RioNa: Usa Toclay J. Meclclemmen: An morlencli * E. Franco: Brancléio e Marechal * R. Carbone: Poscritto cliGenette Prove cl'arlista: C. Olivierl/G. Celati: Dagli aeroporti./M. Cucchi: Pastosa omllra Da Parigi * Da Vienna * G. Fimi: La forza clisuggestione * A. Gargani: La voce fefflffllnlle F. Munioli: L'intenuzione * M. Corti: Letteratura a piecli * S. Marzocchi: Hercler, linguaggio e natura Testo: G. Bellini: Arclviagglo, 1921 (a cura cliC. Salaria) * R. Gasparotti: A partire eia Eraclito * G. Jervis: Le vecchie clebolene G. Bottlroll: Labirinto cliquarto tipo * A. lllumlnatl: Un equivoco terminologico * M. Ferrarla: Il nlchlllsmo lmpenonato P. Vinels: Probabile e penpicuo * A• .Z.nini: Moneta e infonncuione * N. Garnham: Tv via cavo * Lettere K. Hilgenberg: L'info111K1licanelle riviste * Cfr. * A. Porta: Cronaca cli «Milanopoesia» * M. Leva: Poesia in Provenza / M.W. Bruno: Wenclen viaggiatore lento * M. V-dia: Nel paese clel clesign * Giornale clei Giornali: Giornali cliqualità • lnclice clella comunicazione: Che me ne faccio clel computer? * Immagini: Il bicentenario cliCareme

Libri che restano. Il Flore e Il Detto d'Amore attribuibili a DANTEALIGHIERI "Le opere di Dante Alighieri" Edizione Nazionale a cura della Società Dantesca Italiana. In una prestigiosa edizione critica, Gianfranco Contini restituisce a Dante due testi di discussa paternità. Un grande avvenimento nel campo della letteratura e della filologia. GIUSEPPEGIOACHINO BELLI Sonetti a cura di Pietro Gibellini commento di Giorgio Vigolo Biblioteca Un "classico" della poesia dialettale italiana accessibile al grande pubblico in un'esemplare edizione economica. CARLO BETOCCHI Tutte le poesie Lo Specchio Introduzione di Luigi Baldacci nota ai testi di Luigina Stefani Tutta l'opera in versi di uno dei maggiori poeti del nostro Novecento (con una sezione di straordinari inediti). JACOUELINE RISSET Dante scrittore Passaggi Un'interpretazione globale: un saggio stimolante e originale che ci avvicina al "segreto" di Dante. M.AGEEV Romanzo con cocaina Traduzione dal russo e prefazione di Serena Vitale Medusa Serie '80 Un romanzo venuto dal nulla. La singolare, miracolosa scoperta di un capolavoro russo degli anni Trenta. Premi letterari ANTONIO PORTA Invasioni Lo Specchio Premio Viareggio 1984. PAUL CELAN Luce coatta e altre poesie postume a cura di Giuseppe Bevilacqua Premio Internazionale Biella 1984. Premio Mondello per la traduzione 1984. MONDADORI Biblioteca Minima Maarice Merleaa-Ponty Elogio della mosofla a clll'a di Carlo Slnl Un classico del pensiero fenomenologico: "Il filosofo è l'uomo che si risveglia e che parla". Lire 6.500 N. Bobblo, G. Pontara, S. Veca Crisi della democrazia e neocontrattaalismo Tre filosofi analizzano la relazione che si istituisce oggi tra teoria e politica. Lire 6.500 Tallio De Mauro Ai margini del linguaggio Uno studio su un sistema molto particolare, quello della parola, capace di mettersi in discussione e farsi, disfarsi e rifarsi di continuo. Lire 6.000 Editori Riuniti Leimmagindi iquestonumero Non preoccupatevi, è solo un gioco, un gioco serio come tutti i giochi, e ancora più meditato per ricordare il bicentenario della nascita del genio fondatore della cucina francese moderna e subito classica, Antonin Careme, 1784-1833. Di Careme avevamo pubblicato (vedi Alfabeta n. 30) le illustrazioni di un suo capolavoro di disegno architettonico, Le patissier pittoresque (Parigi 1828), con un commento di Omar Calabrese. Ora presentiamo le illustrazioni dei suoi allievi e seguaci, quelle della Cu1sine classique de l'école française, a cura di Urban Dubois e Emile Bernard (Parigi 1879). Basta guardare le date per rendersi conto di un passaggio preciso, per fissare il momento in cui la nuova grande borghesia produsse il meglio, a stupire di sé e mettersi in vetrina con il decoro che era stato degli aristocratici cui si stava affiancando più che sostituendo. È del tutto conseguente ai cambiamenti radicali de~'epoca che il pensiero borghese si sentisse al massimo livello possibile, tanto che Antonin Careme, mentre ne inventava la cucina nuova, ponendosi contro l'uso tradizionale, poteva scrivere: «Quando non ci sarà più cucina nel mondo, non vi sarà più neppure intelligenza elevata, veloce, capace di relazioni flessibili, né vi sarà più unità sociale». Beh, che c'entra - dirà qualcuno -, Alfabeta non vorrà per caso assomigliare alla Gola? Niente di male, non si tratta, infine, di orrenSommario Aldo Tagliaferri Intervista a Harold Bloom pagina 3 Pier Aldo Rovatti Foucault in Italia pagina 4 Gianni Riotta Usa Today pagina 5 John Meddemmen Ars moriendi (Famous Last Words. The Ultimate Dictionary of Quotations, a c. di f. Green; Petit Dictionnaire A Mourir de Rire, a c. di Ph. Héraclès) pagina 6 Ernesto Franco Brandao e Marechal (Non vedrai paese alcuno - Vietate le sedie, di J. de Loyola Brandiio; Adan Buenosayres, di L. Marechal) pagina 8 Prove d'artista: Claudio Olivieri pagina 9 Gianni Celati Dagli aeroporti pagina 10 Maurizio Cucchi Pastosa ombra pagina 11 Rocco Carbone Poscritto di Genette (Nouveau discours du récit, di G. Genette) pagina 11 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auIl bicentenario di Careme di connubi ma di vicinanze e parentele ironiche, sul filo dell'antropologia e con l'avallo delle grandi microstorie degli Annales. Non c'è alcuni filosofi italiani chiedano di essere riconosciuti mentre sono solo dei divulgatori, spesso intelligenti, di dottrine prese in prestito in Antonio Careme (1784-1833) troppo da stupirsi se ì francesi prendono sul serio La Gola e l'apparentano alla ricercafilosofica in Italia. C'è da stupirsi, invece, che Da Parigi a cura di Nanni Balestrini e di Maurizio Ferraris pagina 12 Da Vienna a cura di Margit Knapp Cazzo/a e di Maurizio Ferraris pagina 13 Gilberto Finzi La forza di suggestione («Il senso della letteratura» 11) pagina 15 Aldo Gargani La voce femminile («Il senso della letteratura I Riferimenti») pagina 16 Francesco Muzzioli L'interruzione («Il senso della letteratura» 12) pagina 17 Maria Corti Letteratura a piedi (Corpi estranei, di P. Mauri) pagina 17 Stefano Marzocchi Herder, linguaggio e natura (Giornale di viaggio 1769 - Sprachphilosophische Schriften, di J. G. Herder; Ursprung und Utopie. Aporien des Textes, di K. Grob) pagina 18 Testo: Giovanni Bellini Arciviaggio (1921) a cura di Claudia Salaris pagine 19-22 Romano Gasparotti A partire. da Eraclito («Il giorno prima» 6) pagina 23 Giovanni Jervis Le vecchie debolezze . («Debole I forte» 4) pagina 25 Giovanni Bottiroli Labirinto di quarto tipo («Debole I forte» 5) pagina 25 A1JgustoIlluminati Un equivoco terminologico («Debole I forte» 6) pagina 26 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di territori che da noi sorprendono ancora un poco. Nulla di male a ben divulgare, ma allora rassegnamoci a non essere indicati come Maurizio Ferraris Il nichilismo impersonato (Dostoevskij e la filosofia, di S. Givone) pagina 27 Paolo Vineis Probabile e perspicuo (Induzione, accettazione, informazione, di f. Hintikka; Wittgenstein, di G.H. von Wright; Informazione, di A. Wilden) pagina 28 Adelino Zanini Moneta e informazione (L'essenza e i principi dell'economia teorica - Stato e inflazione, di I.A. Schumpeter; Moneta senza crisi, di A. Graziani; L'economia politica keynesiana, di A. Covi) pagina 29 Nicholas Garnham Tv via cavo pagina 30 Kurt Hilgenberg L'informatica nelle riviste pagina 31 Cfr. pagina 33 Antonio Porta Cronaca di «Milanopoesia» (Milanopoesia. Per una cultura della pace - Milano, 26 maggio-I° giugno 1984) pagina 34 Marco Leva Poesia in Provenza (l" Festival international de poésie de Cogolin - l°-7 luglio 1984) pagina 34 Marcello W. Bruno Wenders viaggiatore lento (L'idea di partenza. Scritti di cinema e music4, di W. Wenders; Il cinema elettronico, di Autori vari; Wim Wenders, di F. D'Angelo) pagina 36 Maurizio Vitta Nel paese del design (Atlante del design italiano. 1940/1980, di A. Grassi e A. Pansera; Il disegno del prodotto industriale. Italia 18601980, di V. Gregotti; Il disegno industriale italiano 1928-81, di E. Frateili) pagina 36 collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo originali. La Gola, nel suo piccolo, nei_suoilimiti precisi, ha colpito gli osservatori estranei, tanto che l'hanno fatto notare, sollevando il solito vespaio nelle tane del tardo idealismo. Un omaggio alla Oola? Ma sì, anche, senza falsi pudori, e soprattutto la rapida visione di un mondo che non c'è più, di una classe che non intende né sa riconoscersi e. rappresentarsi, la borghesia, appunto. Una perdita, un rimpianto? Nossignori, un fatto, da cui la società tutta sta traendo tutte le conseguenze. Lo stile non è più borghese, è già qualcosa d'altro, è una conquista, diceva Pier Paolo Pasolini, di tutti e per tutti. Per Antonin Careme «sociale» era sinonimo di borghese; neppure l'unità sociale fa testo e non è più un test (scusate il bisticcio). La società oggi è in ascolto e anche la - grande cucina non è più fatta dalle alzate e dalle elaboratissime composizioni che qui possiamo ammirare sorridendo. La grande cucina è semplice, mette in risalto alcuni odori e sapori, tenta mescolanze inedite ma non troppo complicate, spiritose più che presuntuose, e non disdegna anzi coltiva la tradizione, anche regionale, più povera e più ricca insieme della grande cucina della borghesiafrancese scom- . parsa. Tutti siamo in attesa, in ascolto, e c'è una dote che vogliamo ereditare da quella borghesia: l'intelligenza flessibile, veloce, che Careme ammirava e praticava. Lettere pagina 37 Giornale dei Giornali Giornali di qualità pagina 38 Antonio Porta Indice della comunicazione Che me ne faccio del computer? pagina 38 Le immagini Il bicentenario di Careme a cura di Antonio Porta alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Comitato di direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione: Carlo Formenti, Maurizio Ferraris, Marco Leva, Bruno Trombetti Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giovanni Alibrandi Coordinamento marketing: Sergio Albergoni Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

t-:·:::)/~lntervista a HaroldBlaom Aldo Tagliaferri ·conseguente dal fatto che era bel- nerale, vi.sia una specie di neo-or- Questo testo costituisce • circa il 50 .per cento di una intervistaregistrata a Brunnenburg (Tirolo), in casa di - ga - doveva µiolto alla scuola,,di : . tpdossia, eh~.è una dotttjna forma• . • rMary de Rac~wiltz, figli:adi Ezra Pound. ' ... D Nel febbraio 1983, il .Ti- ' mes Literary Supplement ., e pubblicò una lettera di . Parigi, e Hart~an ora è inconc~pi..,· .Jç consegue_~tedaH'idea secondo la_ _bile,credo, senza Derrida. . ,quale il -logos è fondamentalmente stabilito dalla storia della te<;>lqgia, . Origini e formazione .: e questa ,stotja delimita rigorosaD.. E cosa mi di,cidelle tue stess.e mente l'area entro la quale la critiorigini? Bloom. Assolutamente nessun -rapporto con la cultura e il pensie-. Cleanth Brooks nella quale si, difendeva la validità del lavoro com-. . piuto dai critici raccolti sotto, l' etichetta del New Criticism (R. Penn Warren, J. Crowe Ransom, Allen Tate, Donald Davidson . e W. K. Wimsatt) e si sottolineava energicamente la differenza tra questi critici . ro..francesi, La mia alle<1;n~caon alcun.iamid .diYale va intesa stret-. ca, e in un.certo senso la narrativa e la poesia, possono operare. E tutti loro credevano appassionatamente che si dovesse mantenere netta questa distinzione, tra critica e teologia, mentre io credo che tale distinzione non sia mai stata netta, e neppure possa esserlo. e i rappresentanti· di «una. nuova generazione di critici, come Paul de Man, .Geoffrey Hartman, Harold Bloom e Stanley. F,is.h».Sei d'accordo con Brooks nell'evidenziare questo salto generazionale? Harold Bloom. Penso, in tutta onestà, e anche se altri considerassero.questa una enormità, che sussista· .una cont,ihui~à.assoluta tra Brooks;War.ren, Wi~satt, Tate e .. Ransom da una parte, e la genera~ zione di q~elli che io, quale che sia l'immagine che propongono di se stessi, chiaiherei New Critics di Yale: mi riferisco a Hartman, Miller, Jacques Derrida e anche a Paul de Man, da poco sçomparso. Sono tutti ironisti. Non vedo alcu- . tamente in termini di politica accademica. Avevamo gli stessi nemici . tra i docenti più anziani ma, tutto sommato, vi erano tra noi grandi differenze spirituali e intellettuali. _Pensodi aver fatto un grave errore quando mi venne l'idea di fare un libro che doveva intitolarsi Deconstruction and Criticism. Il titolo aveva un'implicazione scherzosa, ma non venne preso come uno scherzo. A volte temo di aver inventato il termine «decostruzione», perché ricordo una conversazione •con • Jacques· Derrida, circa dodici o tredici anni fa, quando ci incontrammo la prima volta e gli dissi: Quello che lei sta facendo è un forte fraintendimento, o una forte dislettura, di Heidegger; alla sua distruzione lei ha sostituito quella. che possiamo definire una decostruzione. Così mi trovo nella na differenza tra queste due gene- ironica situazione di aver datò razioni e vorrei aggiungere che . un nome a qualcosa che io stesnon ho nulla da spartire con entrambe, e che non è corretto, mister Brooks, classificarmi come appartenente all'uno o all'altro gruppo. La mia posizione non è conciliabile né con quella del primo né con quella del secondo. In effetti - come de Man disse - per entrambi l'ironia non è un tropo, bensì la condizione stessa del discorso letterario e critico. D. Tuttavia ricordo che già i critici della generazione di Brooks trovavano generica l'etichetta del New Criticism e si poteva capire la loro insofferenza, visto che per certi versi erano persone molto diverse... Bloom. Beh, se parli di loro in quanto persone, anch'io vedo differenze, ma non le vedo se consideriamo la questione nei termini di un discorso critico. Ransom forse era un po' più liberale degli altri, non solo in termini politici, ma anche per quanto concerne quello che potremmo chiamare il discorso della poesia e della critica. Quanto a me, non credo di avere qualcosa in comune con de Man, o Derrida, o Hartman, o Miller, per non parlare di Fish. D. Però era notevole la diff erenza tra la posizione tomista di Wimsatt, per esempio, e quella di Brooks. Bloom. Bill [Wimsatt] era cattolico, Brooks appartiene alla High Church. Bill era un dogmatico assoluto, mentre Brooks è un dogmatico relativo, ammesso che si possa parlare di un dogmatismo relativo ... D. Forse Brooks tocca il nocciolo della questione quando, dopo averti situato tra i critici della nuova generazione, aggiunge che la nuova scuola di Yale è «progenie di alcuni signori francesi». [Bloom scoppia a ridere.] Che ne dici di questa genealogia, per quanto ti riguarda? Bloom. Questo è vero degli altri. Cioè, Miller viene prima da Poulet e poi da Derrida; Paul de Man - nonostante la differenza so non posso sopportare. D. Puoi dire qualcos'altro circa la tua formazione? Bloom. In realtà ho cominciato come revivalista romantico. Brooks, Warren e Wimsatt e tutti gli altri erano seguacidi Eliot, prendevano parte alla polemica culturale eliotiana e come Eliot, alquanto influenzato da Pound, deploravano la letteratura ottocentesca inglese e americana. Per loro Tennyson aveva scarsa importanza, Whitman aveva scarsa importanza. E naturalmente erano tutti ostili a Wordsworth e a Shelley. Un critico come Hazlitt, che personalmente giudico il critico inglese più forte dopo Samuel Johnson, per loro non aveva alcun peso. Molti anni fa ebbi con Bill Wimsatt una conversazione nel corso della quale cercai di spiegargli che Hazlitt era una figura fondamentale: Hazlitt aveva capito che poesia e potere si trovano in un rapporto molto intimo. Bill mi investì aspramente dicendomi che i teologi l'avevaqo già detto molto tempo fa. Ecco, penso che, in quella prima generazione della critica di Yale, o del cosiddetto New Criticism in ge- . Il famoso detto di Arnold, che tutti loro in un modo o nell'altro sottoscriverebbero, secondo il quale «la poesia è_religionetraboccata», a me sernbra assolutamente sbagliato. Quando si sostiene che la teologia comprende uno spazio etico così ampio, con altrettanta Grande bastione moderno fondatezza si potrebbe dire (contro Arnold, contro Eliot, ma non necessariamente contro Pound) che la teologia in un senso profondo è sempre poesia traboccata. Per quanto ne so io (ma accetterei di essere contraddetto su questo punto ).Pound non era un cristiano. Ho torto? Eliot era un cristiano, e cristiani erano i seguaci di Eliot. Invece non credo che Pound fosse un cristiano, come poeta, come teorico o come essere umano: era un classicista, un seguace della tradizione poetica e culturale del Mid-West, ma non credeva nell'incarnazione, no? La nuova generazione, invece, è fondamentalmente neo-heideggeriana, e io con tutto ciò non ho nulla da spartire. La tradizione poetica D. Proponi una diversa prospettiva della tradizione poetica? Bloom. Vi sono numerose tradizioni occidentali che non sono quella di Eliot. (Non sono sicuro che ciò valga anche per Pound, ma non mi sembra che abbia molto senso attribuire a Eliot e Pound lo stesso atteggiamento verso la tra: dizione). L'approccio molto selet-· tivo alla tradizione proposto da questione della dizione poetica, ~liot - approccio che costituì il che è una questione di enunciato·e , pun~o di partenza della prima ge- . di tradizione dell'enunciato. La nerazione del New Criticism ....mi teoria moderna francese;, per .par~ costituisca un modello critico quanto ne so, nella maggior parte estremamente rigoroso nel delimi- . dei casi si basa su quella che ·consitare lo spazio della critica lettera- dero una lettura debole del moviria: crede che la tradizione filosofi- mento. del pensiero• tedesco- del- - ca sia interamente costituita da l'Ottocento e deL Novecento, e una mescolanza di platonismo cri- . • trovo molto ironico il fatto che una stiano e di aristotelismo cristiano, e dimentica la tradizione stoica e epicurea, forse altrettanto profondamente presente, con la sua inclinazione materialistica, nella storia , della letteratura occidentale (quest'ultima riappare in poeti così di- -versi come Shelley, Whitman .o Stevens, che sono materialisti epicurei o lucreziani). È una versione molto selettiva dell;i tradizione, che lascia fuori , gran parte degli elementi propri della tradizione -protestante inglese. E, dopo tutto, la sequenza più importante della poesia inglese· non è cattolica.· È una tradizione che comincia da Spenser, passa· per Milton e continua con i mag- • giori poeti romantici e vittoriani e poi con i poeti americani dell'Ottocento e del Novecento: è protestante, radicalmente protestante. D. Vuoi precisare il senso e la portata della differenza tra la tua posizione teorica e quella della nuova generazione dei critici di 1 Yale? Bloom. Dissento da loro totalmente. Loro attribuiscono priorità alla figurazione sul significato (e io non l'attribuisco), credono nell'epistemologia del tropo (nella quale io assolutamente non credo), pensano che la filosofia e la critica siano sempre quasi alleate (mentre io penso che siano in guerra l'una contro l'altra). Loro non credono in quello che Emerson chiama «il grande, imponente Sé americano», mentre io ci credo fermissimamente. Non so che farmene di questo curioso vangelo francese che sostiene che il soggetto in qualche modo è stato fatto esplodere. Non ho niente a che fare con. costoro. Ma c'è qualcosa di più essenziale: a me non interessa un linguaggio della critìca che sia lontano dal linguaggio dei poeti. Credo di essere vicino alla «poetic diction», che non è affatto la concezione francese del linguaggio, che considero semplice tropo, una specie di macchina demiurgica. La questione che interessa è perché i poeti usano una parola, o un'espressione, invece di un'altra, e questo ripropone, naturalmente, la vecchia .sorta di .riduzione linguistica francese del pensiero tedesco dell'Ottocento· e del Novecento v,engaora trapiantata nella diversissima tradizione della poesia angloamericana, e che in qualche modo si -supponga. che la poesia si adegui a quella tradizione. Freud e Lacan D. Quando· scrivevi L'angoscia dell'influenza l'opera di Freud ti sembrava «non abbastanza sublime», ma nel 1982 ritenevi che fosse individuabile una linea di continuità ·tra l'anonimo autore della storia di Giacobbe (Genesi 32, ,23-32) e Freud, ,e che proprio il «'sublime agonistico» li accomunasse. Mi sbaglio o Freud nel frattempo è di- . ventato per te più importante? Lo hai riscoperto? Blooin. Vero, vero, ma non è . una riscoperta. Leggo assiduamente Freud dal 1965, così come leggo Emerson, ma, ovviamente, mentre Emerson non mi causa alcuna angoscia, Freud mi turba molto. Sono sette anni che cerco di finire un libro su Freud, ed è la mia Waterloo... non ci riesco. Penso che, alla fine degli anni sessanta e poi nei settanta, quando stavo scrivendo su Freud, mi illudevo. Invecchiando, occupandomi sempre di queste questioni, lo trovo orribilmente inevitabile: dovunque tu vada, lui ci è gi~ stato. D. E Lacan? Come giudichi La rilettura di Freud proposta da Lacan? Bloom. Ci sono due Lacan. Il Lacan del famoso discorso di Roma è un tipo molto bizzarro, una specie di gnostico naturale, che ha avuto qualcosa come una illuminazione, una visione sulla strada per Damasco, nella quale improvvisamente vede che tutto il discorso umano e quello freudiano si compenetrano, e quello è molto simpatico, e l'ho letto con un certo •senso di divertito piacere. L'altro Lacan, che diventa una specie di mostro semiotico, lo trovo insopportabile e non ha alcun rapporto con Freud. Cercherò di esprimere questo in qualche modo dicendo che non è vero che l'inconscio, per quanto ne so, sia strutturato come un linguaggio: è strutturato come il linguaggio di Freud, per il semplice motivo che è il linguaggio di Freud. Questo sarebbe il mio modo, in quanto pragmatista, di starmene lontano da Lacan. In effetti Lacan, come Jacques Derrida (che è una persona molto più simpatica di quanto lo fosse, a mio parere, Lacan), è un esempio di quell'abitudine francese di leggere le cose tedesche l'una attraverso l'altra, per così dire, così da produrre una incredibile mescolanza di Heidegger e Freud, che, penso, è semplicemente assurda. Freud riconosceva la priorità del fatto. E credo che lì stia la vera differenza. Credo che se sei un hegeliano - e Lacan infine è hegeliano, tutti i francesi sono hegeliani tardivi -, se dunque sei un hegeliano tardivo, allora sei intellettualmen-

P ossiamo fissare una data, il 1977. In un momento in cui si consuma, nella cultura militante, la crisi delle ideologie su uno scenario attraversatoda incertezze e profonde agitazioni sociali. I saggi raccolti nel volume La microfisica del potere ( che l'editore Einaudi pubblica appunto nel '77) vengono proposti al lettore italiano in una situazione scossa da episodi di eccezionale violenza politica, che ora possiamo considerare la punta anomala e impazzita di una inquietudine generalizzata a ogni livello intellettuale. Il grande successo, la presa, dei saggi di Foucault nasce qui: in essi viene letta una spiegazione non regressiva della crisi del marxismo, la proposta di un mutamento netto di orizzonte. Sull'Unità Alberto Asor Rosa, non disconoscendo la novità dellaproposta, cercò allora di sollevare dubbi sull'ipotesi microfisica: certo il potere - egli osservava - si intesse attraversopratiche microfisiche, ma questo non deve far dimenticare il livello macroscopico, lafzsica del potere, il luogo delle decisioni e delle strategie. Era un tentativo di «compromesso» tra idee diverse, ma chiaramente era anche il riconoscimento della presa della proposta foucaultiana. La lettura «politica» di Foucault (spesso parziale, talora a(lche semplicisticae deformante) ha continuato in seguito a essereprivilegiata: ali'autore che parlava di «strategie»e di «resistenza» si chiedeva un modello per l'agirepolitico e solo spezte un ottimista, e ritieni che ogni fatto dato debba essere distrutto, e l'empirismo è uno scherzo, per quanto ti riguarda, e David Hume è uno scherzo. Ma Freud è ferocemente empirico, per quanto sia speculativo: è intellettualmente e umanamente pessimistico e non ottimistico, non vuole distruggere la priorità del fatto, e quindi la sua nozione di Verneinung ( o negazione) è irriconciliabile con quello che gli hegeliani, gli heideggeriani e i lacaniani chiamerebbero il processo di negazione. Penso che la vera differenza sia nel concetto (per quanto si tratti di un concetto difficile) di io corporeo ... non c'è modo in cui Lacan possa sistemare quello straordinario concetto che Freud chiama l'io corporeo. In verità, l'idea lacaniana secondo la quale l'io è essenzialmente narcisistico (come dice in ·modo incantevole, ogni io è necessariamente paranoide) non è •affatto freudiana, bensì è una costruzione hegeliana e heideggeriana, mentre per Freud l'io può essere narcisistico, ma questo non è cruciale, ciò che conta è che si tratta di un fatto, nel senso in cui il corpo è un fatto. Perché è fondato sul concetto piuttosto difficile (il più stra-✓ no in tutto Freud e il più difficile da assimilare, ma anche il più necessario da assimilare) che l'io corporeo sia, in effetti, introiettato da noi in modo da formare quello che inevitabilmente è il nostro senso del sé o la nostra scelta di un particolare sé, perché qualcosa di puramente immaginario viene inghiottito come se non fosse affatto immaginario, e fosse invece un'entità o una cosa. E ciò, naturalmente, ci situa in un'area di Freud (con la quale, credo, il Freud francese dei vari Derrida, Deleuze e Lacan non riesce a fare i conti) che è quella per cui, in Freud, la distinzione tra psiche e corpo è sempre una distinzione di frontiera, una specie di diFoucaulitnItalia zoni di analisi chef ossero utilizzabili, e in effetti Foucault poteva indicare qualche alternativa all'idea schematica di lotta di classe suggerendo un'altra dimensione del conflitto e la incongruenza di ogni prefigurazione ideologica, senza dimenticare la svalorizzazione dell'intellettuale organico di ascendenza gramsciana. Surveiller et punir (uscito in Italia poco prima, nel 1976) si imponeva ali'attenzione per il tema stesso della «prigione» - la questione dei «detenuti politici» è rimastafino a oggi un luogo caldo del dibattito - prima ancora che per il disegno teorico rispetto al quale la prigione funziona, nel libro, come sintomo esemplificativo della trasformazione dell'idea e della pratica del potere. Se però la variegatae diretta lettura «politica» è stata il punto di partenza, essa ha poi lasciato il posto a una lettura «teorica»più significativa. Il successo editoriale (nel '78 Feltrinelli pubblica La volonté de savoir, e intanto vengono ripubblicate le opere precedenti - per esempio Rizzcli fa circolare un'edizione pocket de L'histoire de la folie) corrisponde a una domanda che non è più o non è solo politica ma che deve essere interpretata considerando un quadro più ampio e articolato di esigenze teoriche. In realtà,· in Italia, su Foucault non si è scritto molto: manca a tutt'oggi una buona monografia critica. Nelle aule universitarie non ha avuto eccessivo credito, anzi: non raramente ha destato sospetti. Ma la sua «presenza» non va valutata a stinzione limite. Freud sostiene, mi sembra, che la pulsione è un concetto di frontiera, non più psichica di quanto sia corporea. Potremmo andare oltre e dire che la Pier Aldo Rovatti partire da qui. Al contrario, tutta la nuova saggistica teorica italiana degli ultimi anni reca i segni della lezione foucaultiana: essa non -haavuto necessità di un riconoscimento «accademico» proprio perché è penetrata in modo diffusivo sia come metodo di ricerca sia come scena teorica. La rivista aut aut ha dedicato alla proposta foucaultiana due fascicoli monografici (entrambi curati da Mario Galzigna: uno nel '78, intitolato Potere/sapere, e un secondo nell'83 su Il governo di sé e degli altri) che hanno permesso di verificare quanto sia disseminato questo interesse. Il convegno internazionale su Sapere e potere promosso a Genova (e di cui ora, presso le edizioni Multhipla di Milano, sono usciti i due volumi degli Atti) può esserne una buona spia. Ma ancora più rilevante è il fatto che in Italia, in varie città, esistono piccoli gruppi di ricercatori, spesso informali, che lavorano sulla scorta delle ipotesi genealogiche di Foucault. A questo proposito va segnalata l'iniziativa editoriale promossa dallo stesso Mario Galzigna e da Alessandro Fontana (una collana di materiali e di studi, presso la Marsilio di Venezia, intitolata «Il corpo e l'anima»). Dunque si può dire che Foucault sia penetrato molto sensibilmente nel tessuto culturale italiano: prima con «rumore», inserendosi in un disagio «politic9», poi in modo più silenzioso e sostanziale, interagendo diffusamente con il lavoro culturale corpo, per continuare ad agire, introietta pensieri, immaginazioni, fantasie. Penso dunque che, proprio perché i francesi hanno intorbidato le concezione freudiana della pulsio- acque, non disponiamo ancora di ne, in termini freudiani, dovrebbe una chiara lettura di Freud. Gli essere definita come qualcosa che rende inadeguata qualsiasi risposta a essa, sia psichica che corporea, precisamente perché l'altro elemento è mancante. Così, quale che sia la dialettica praticata da Freud, egli è indub-: biamente un pensatore dialetti- \', co, ma assolutamente non nel senso in cui la tradizione •• , .,.,., . "'', tf:t'l:,J~ ◄ i,-rit•·i' i, 1tii~f if hi'llutj •,.• e con le ipotesi di ricerca. L'intreccio principale è forse avvenuto con la più meditata ricezione di Nietzsche che si è sviluppata in questi anni soprattutto attorno all'idea di «nichilismo», sfrondata da ogni remora irrazionalistica. Questo ha permesso di entrare in sintonia e di poter utilizzare l'ipotesi di una ricerca «genealogica», limitando anche il rischio di prendere in modo semplicistico e sloganistico l'idea stessa di «microfisica del potere». Non credo però di sbagliare dicendo che la posta teorica che ha suscitato maggiore investimento di interesse è quella sulla quale Foucault, non senza problemi, ha concentrato lapropria attenzione a partire da La volonté de savoir, fino ai due ultimi volumi pubblicati in Francia pochi giorni prima della morte. La questione del soggetto - tale è la posta - si accompagna in Foucault alla questione del potere fin dal libro sullafollia, da quelle tre , pagine dedicate a Descartes su cui poi si è molto discusso. Nelle ricerche più recenti Foucault ha mostrato come - si tratti del «panopticon» benthamiano o della storia della «confessione» - il soggetto, l'idea moderna di individuo, si produce come un effetto di molteplici pratiche di potere e di sapere. . Questa «decostruzione» o meglio «costruzione» del soggetto ha dato molto da pensare a una cultura teorica, come la nostra, da sempre abitata dall'idealismo e dallo storicismo e quindi dal «mito» del soggetto. Ma qui - a questa svolta - il problema si D. Nel tuo libro sulla Kabbalà si parla di un nuovo paradigma costituitosi in Francia, di «un amalgama di Nietzsche, Marx, Heidegger, Freud»... Alludevi a Lacan? Bloom. Oh, sì. Naturalmente utilizzavo il tropo di Blake, che si riferiva alla rivoluzione francese. D. Hai conosciuto Lacan personalmente? Bloom. Sì, sì, l'ho incontrato in una splendida occasione, a Yale, vediamo: circa sette anni fa, un paio d'anni prima che morisse. Paul de Man era preside della facoltà di francese, che si trovava nella sfortunata situazio- «Buisson» di code di gambero e gamberetti metafisica dell'idealismo tedesco definisce la dialettica. Da questo punto di vista è del tutto britannico, sta cercando di trovare un modo (anche se non sa come, ma nessuno-sa come fare) per riconciliare la priorità del corpo, il fatto che . l'io sia sempre primariamente un _io corporeo, con la difficoltà che il tolgono tutto quello che è materialistico, ma se gli togliamo tutto quello che è materialistico e gli togliamo il suo dualismo (che, egli ha insistito, è assoluto), allora direi che Lacan e Derrida e tutti gli altri ci danno un Freud che non solo non è affatto dualista, ma che è una specie di monista narcisista. ne di dover ricevere ufficialmente Lacan. Lacan fu così gentile da dire che desiderava conoscermi, e io, che non desideravo incontrarlo, seguii una tattica evasiva. Ma Paul de Man mi convinse: «Senti, organizzo una colazione da 'Maurice'. Ci sarà Lacan, ci saremo noi due, e poi Miller e Hartman». ripropone con maggiori difficoltà. • Lo stesso Foucault aveva recentemente riconosciuto che ora la questione è quella di individuare «nuove forme di soggettività». Oggi si discute molto di «pensiero debole» con lo sguardo rivolto a Nietzsche e a Heidegger: in questa prospettiva l'idea tradizionale di soggetto come centro r~ulta «illusoria» non diversamente da come, per Foucault, essa è un «effetto». Da questa illusione o da questo éftetto non si può comunque prescindere: al tempo stesso non è più possibile un'identificazione. Quali sono, allora, i tratti di un'identità che è - in certo modo - la negazione stessa dell'identità? Questo paradosso teorico corrisponde a un'esigenza culturale che sta rivelandosi il punto chiave del dibattito teorico. Negli anni sessanta, al tempo del Foucault «strutturalista»di Les mots et les choses, la sua diagnosi sulla «morte dell'uomo» gli aveva attirato qualche adesione e non pochi dissensi. Ora, il montaggio/smontaggio del soggetto che ci ha proposto, al di là di ogni fallace steccato ideologico, si incontra singolarmente con la esi-. genza di un ri-orientamento della soggettivitàstessa. Cos'è un soggetto nell'epoca della microfzsicadei poteri? Si spalanca uno spazio da riempire, un territorio teorico da esplorare. L'attualità di Foucault continuerà a giocarsi ne~'orizzonte di positiva insoddisfazione che circonda questa domanda - che lo stesso Foucault ha contribuito a suscitare. Fu una colazione fuori dell'ordinario. Da «Maurice» Lacan ignorò gli altri e, senza lasciarmi dire una parola, incominciò una tremenda tirata perché non riconoscevo il fatto che tutto quello che avevo da dire era comunque preso da lui. Io me ne stavo seduto, mangiavo il mio antipasto e aspettavo l'occasione per fuggire, mentre questo mattacchione continuava a concionare. Quindi venne il momento di· ordinare la portata successiva. Sapete, nel menù di «Maurice» hanno un piatto abominevole, che non ho mai assaggiato, che chiamano Yorkshire Buck, con sopra uno strato colloso di formaggio fuso, orripilante già da vedere. Lacan ordinò proprio questo piatto e mi zittì perentoriamente quando cercai di convincerlo a cambiare ordinazione. I colleghi avevano rinunciato a intervenire nella conversazione, mentre io avrei tanto desiderato essere in un altro posto. Quando ebbe sotto gli occhi il Yorkshire Buck, Lacan si interruppe un attimo, e guardando la massa fuinante rabbrividì, rabbrividì visibilmente, poi riprese il discorso gesticolando con la mano sinistra, mentre con la mano destra sollevava il piatto e lo allontanava dal tavolo. Aveva mani enormi, di dimensioni eccezionali, ricordi? Senti, Mary, cosa può fare un terribile perenne bambino viziato: con un improvviso movimento della mano capovolse il piatto lasciandolo cadere a terra e dicendo «Oplà!» E continuò la sua filippica. Tutti si girarono verso il nostro tavolo, i miei colleghi mandarono un gemito, i camerieri si precipitarono a portare un nuovo menù, e il grande uomo scelse qualcosa di più sobrio. Ma non aspettai il dolce per andarmene ...

Q uando, nell'autunno di due anni fa, il quotidiano Usa Today_ fu lanciato nelle prime città americane «pilota», la reazione di molti esperti di mass media e direttori di giornali fu semplice: scoppiarono a ridere. Il giornale era in pratica l'opposto dello stile un po' cupo che accomuna i quattro maggiori quotidiani Usa, New York Times, Wall Street Journal, Washington Post e Los Angeles Times. La prima pagina era un caleidoscopio di brevissime notizie, titoli a grande corpo, foto a colori, grafici, tabelle, diagrammi. All'interno la sorpresa era anche maggiore: nessuna pagina aveva articoli più lunghi di due cartelle, massimo -50 righe. Su due paginoni uno 'spezzatino' di notizie da tutti gli Stati uniti, tre righe per sapere che cosa era accaduto dal New Hampshire al New Mexico. Previsione unanimè: non dura, non può durare. C'era grande meraviglia proprio perché l'editore del giornale, la grande corporation Gannett, la sapeva lunga in fatto di mass media. Con un giro d'affari di 1,5 miliardi di dollari l'anno, una catena di 87 giornali quotidiani e 33 settimanali, 13 stazioni radio e 7 televisive, un formidabile servizio di pubblicità stradale, Allen H. Neuharth, il presidente di Gannett, era considerato un mostro di bravura dai colleghi. Ma dopo le prime settimane in cui Usa Today, pavesato a festa . con i suoi paginoni colorati, andò in edicola, il prestigio di Neuharth sembrò scosso. L'uomo non fece nemmeno una piega, sotto il diluvio di critiche che s'abbatteva sulla sua creatura multicolore. «Abbiamo lavorato seriamente, per cinque anni di preparazione. Il successo arriverà», disse. Il successo è arrivato questa primavera. 3.700.000 lettori (sondaggio Mri, maggio 1984), che permettono a Usa Today di lasciarsi alle spalle non solo il Wall Street Journal (2.020.000 copie al giorno) e il New York Times (punta massima, la domenica, 1.523.000 copie), ma anche di prendere il largo rispetto ai giornali popolari e di sfruttare a fondo la crisi dei giornali locali e dei pochi superstiti giornali del pomeriggio. Louis Harris, il capo del più potente monopolio di sondaggi d'opinione (anche lui associato • a • Gannett), ha detto ai redattori di Usa Today raccolti in seminario: «Questo foglio in cui vi trovate ha la potenzialità di cambiare la faccia del giornalismo e della carta stampata per generazioni a venire, purché voi facciate quel che vi si dice». Il tono è un po' rude, ma lo stile è Gannett. lr) '::3 Infatti, nell'esaminare da vicino -5 quello che è diventato, a livello di ! novità e vendita se non ancora di ~ °' ..... ~ .,C) i ..., i prestigio, il giornale americano numero uno e l'unico «nazionale», dobbiamo considerare che lo «stile» è tutto, che ogni mossa o invenzione editoriale - dalla pubblicità, ai menabò, ali'architéttura degli uffici e della redazione, I:! alle_novità tecnologiche - è fina- ~ lizzata a un qualcosa che non ha ii · precedenti nella storia del giorna- ~ lismo. U sa Today è un giornale che dà ai suoi lettori solo quello . che vogliono, ma in un modo «scientifico». Ogni giorno Louis Harris conduce dei sondaggi per stabilire «di che cosa» gli americani hanno voglia e sono curiosi. L'indomani è in prima pagina su Usa Today. L'esperimento capovolge la tradizionale strategia dei grandi editori americani, da Luce a Hearst. Non c'è più la mitica figura dell'editore che «annusa» che cosa bolle in pentola, ma un marchingegno statistico che distilla i temi quotidiani. Per la prima volta, inoltre, un giornale è stato del tutto confezionato, nella fase di preparazione, avendo ogni giorno le statistiche e i sondaggi sui gusti del pubblico. Ai tempi d'oro del Corriere della Séra, il direttore Piero Ottone disse una volta: «Un giornale deve essere mezzo passo .)(': avanti ai suoi lettori, non di più non di meno». Usa Today, invece, è mezzo passo indietro. La seconda novità rappresenta il fatto di voler lanciare negli Stati uniti un giornale «per la nazione», come dice lo slogan pubblicitario di Usa Today. A impedirlo fin qui non è stata solo l'enorme area geografica da coprire, ma anche il gusto per il locale dei lettori: il New York Times può aprire la prima pagina con una foto delle lauree alla Columbia University o dei passanti al sole di Centrai Park, mettendo di spalla le notizie sul presidente Reagan. Usa Today raccoglie la sfida nazionale grazie a un sistema tecnologico unico. Il giornale ha i suoi uffici a Arlington, nei pressi di Washington. Da lì viene trasmesso via satellite in quindici città, dove viene stampato. Il quadrilatero include New York sulla East Coast, Los Angeles sulla West Coast,. Chicago a nord, Houston a sud, passando per il Midwest di Denver. Un sistema di accordi con catene di ristoranti e alberghi, chiamato «Colazione con Usa Today», permette al commesso viaggiatore di Dallas di leggere i risultati della squadra di football dei Cowboys mentre fa colazione a Atlanta, e allo studente di Seattle di continuare a seguire che cosa succede in città mentre studia a Miami. Usa Today è l'unico mezzo disponibile per questo scopo. Alla fine della catena tecnologica c'è il giornale. Le prime volte che lo si prende in mano non si crede ai propri occhi. «È come leggere la radio» ha detto David Hall, direttore del St. Paul Pioneer Press. «È come· leggere la televic sione» incalza James King, direttore del Seattle Times. Il commento più azzeccato l'hb avuto da Spencer Klaw, direttore dell'autorevole Columbia Journalism Review: «È il primo giornale non verbale. Usa Today non si legge, si guarda. Non si scrive, si disegna. La sua potenza espressiva mette in crisi la televisione». È vero. Il 29 maggio, per esempio, sulla prima pagina c'erano sei pezzi di notizia, nessuno più lungo I n media, Usa Today dedica due mezze pagine agli esteri e le notizie sono solo quelle comunque in relazione agli Usa: Golfo Persico, Israele, Salvador. Il giornale ha 32 pagine in tutto, divise in inserti: il primo con le notizie «News», «Life» cioè la sezione del costume, «Sportline» sulle cronache sportive, e «Money» a metà tra la finanza e i consigli su come investire. Ogni supplemento ha il suo snapshot, in basso a sinistra della prima pagina. Ma tutto l'insieme delle tabelle colorate, le foto stupende, da rotocalco, la fosforescente pagina delle previsioni del tempo con una mappa coloratissima che domina la vista, da soli non basterebbero a fare di Usa Today il primo giornale televisivo o, detto in manierapiù colta, il primo giornale non verbale. L'uso diffuso di immagini significherebbe in fondo solo l'ingresso dello stile televisivo nell'impaginazione, acTroncone di salmone in burro di Montpellier di 30 righe. Ventidue titoli brevissimi davano in mezza riga il succo della giornata. C'era poi quello che in redazione chiamano lo snapshot, l'istantanea. La didascalia recita: «Le statistiche che danno forma al paese». In un quadratino c'è un diagramma che racconta con schizzi, immagini e diagrammi un «articolo disegnato» in 5 centimetri. Il 29 maggio la storia era «Quanti satelliti ci sono in orbita» (5261 per i curiosi). Il 24 maggio la statistica era «Gli americani dell'Ovest divorziano più presto di quelli dell'Est»; il 25 la classifica dei parchi più amati dagli americani. Due paginone sono di notizie, una per Stato, di poche righe. «Quarto omicidio in quattro giorni a Springfield (Vermont)», «Si aggravano le condizioni del vescovo a Wilmington (Delaware)», e «Infruttuosa caccia a un orso bruno a Harrisburg (Nebraska)», sono titoli tratti dalle circa 150 notizie che affollavano i paginoni «Across the Usa» (Attraverso gli Usa) del 24 maggio. Nella stessa pagina «Offbeat, il lato umano della notizia»: la polizia di Atlanta mette a concorso la scusa più bella per non pagare una multa («Sono sotto l'effetto di un anestetico, e se non avessi superato il limite di velocità avrei rischiato di esser per strada al· momento di addormentarmi»). compagnato dalle tecniche note grazie a cartoni animati e fumetti. Quello che costituisce la novità assoluta, piaccia o meno, di Usa Today è l'adattamento della scrittura. Leggiamo nel manuale di scrittura che ogni redattore di Usa Today deve mandare a memoria: «La scrittura di un pezzo di Usa Today - dice la guida - è cruciale. Deve essere breve, concisa, coinvolgente, affollata di dettagli. I nostri lettori spesso leggono un altro giornale, dunque non vi affannate a dare l'antefatto delle notizie, lo sanno già. Non importa il background di un fatto, importa solo la notizia, e per darla basta una riga e mezzo. «Evitate di mettere più di un'idea in una storia. Se ci sono due •idee nello stesso articolo meglio fare due titoli. Stringete, stringete, stringete. Usate la punteggiatura. Punti, virgole, punti e virgola, asterischi, trattini, lineette e pallini possono sostituire più di una parola. Evitate le virgolette, la gente non ha interesse a conoscere le esatte parole dei politici. Perché costringere un lettore a sorbirsi due paragrafi, quando uno è sufficiente?» Dopo avere letto questa prosa, ovviamente, ognuno di noi è preso da sensi di colpa e guarda al suo prodotto pensandolo ridotto a una vignetta e due schemi nel futuro prossimo. In Usa Today la rottura della scrittura, la creazione - grazie appunto ai paragrafi rotti da freccette e pallini - di una sorta di inglese «ideogrammatico», raggiunge un livello a cavallo tra il popolare e lo sperimentale che lascia confusi i critici, si attira le ironie dei giornalisti e cattura lettori. Ci vuole la spocchia e l'autorità di Abe Rosenthal, direttore del New York Times, per concludere: «Usa Today? Francamente non lo vedo quasi mai e nori posso giudicare». Dopo avere rivoluzionato la tecnica di stampa («Voglio un giornale 'à freddo' che non sporchi assolutamente le mani» aveva detto Neuharth al momento della progettazione), di trasmissione, di ricerca delle notizie basata su sondaggi, di impaginazione, di scrittura, di vendita ( Usa Today più che nelle edicole si compra per 25 cents, 420 lire circa, in 30.000 eleganti macchinette diffuse ovunque per strada), di reclutamento delle redazioni (Gannett ha semplicemente scremato dai suoi 87 giorna- 'ii locali i migliori reporter, ingaggiato molti «cuochi di redazione» e nessuna grande firma), Usa Today è riuscito a cambiare anche il più classico dei luoghi della carta stampata, la redazione. Gli uffici di Arlington stanno al progetto commerciale del giornale come la scrittura flash sta ai menabò. Ecco come li descrive la giornalista Katharine Seelye, per anni reporter per Gannett e ora al prestigioso Philadelpia Inquirer: «Sul tetto dell'edificio la scritta Gannett è alta 16 metri. All'interno, gli ascensori vi portano tra arbusti e cascate d'acqua. Al quattordicesimo piano c'è la redazione del futuro: un ambiente totale, decorato solo in bianco, nero e metallo cromato. Allineate su un lungo corridoio le scritte in lettere bianche indicano in che supplemento del giornale vi trovate: Money, Life, News o· Sport. «Ogni reporter siede al suo posto, una fila dietro l'altra di videoterminali. Accanto a·ogni reporter gli schedari con le statistiche. I capi servizio sono raccolti in uffici circolari, tutti in vetro. I copy-editors (coloro che passano e riscrivono gli articoli) siedono tutti insieme, separati dagli altri, a un enorme tavolo nero dalla forma di tibia. Quattro televisori a colori pendono dal soffitto. La vista è sul fiume Potomac. Tutto è ordinato, mellifluo ed efficiente». Premiato nel 1983.dalla rivista Time come «il capolavoro del design nell'elettronica da uffici», l'arredamento di Usa Today riflette il carattere composito, tecnologico e gerarchizzato, che costituisce l'ideologia del giornale. Il reporter è sempre solo al tavolo, con computer e schedari. I caporedattori possono parlare tra loro e controllare a ogni secondo come il «nemico», cioè la televisione, ha visualizzato una notizia. I grafici lavorano su «computer graphics» per allineare tabelle e colori. In quella che i giornalisti chiamano in gergo «The Lair», cioè «il covo» dell'editore Neuharth, il colore dominante è il nero. Da ogni tavolo, sfiorando un tasto, è possibile fare apparire uno schermo televisivo. Sulla parete domina una map-

pa elettronica degli Stati uniti. Sul grande tabellone appare tutto ciò che il cervellone centrale del giornale elabora: Quante copie sono state' vendute oggi a Dallas? Dove sono in crescita? Dove calano? Un computer - detto «Intelligent Desk», il tavolo intelligente - può comunicare su e giù nella catena gerarchica del giornale. (Per la curiosità dei lettori italiani, ricordo che il principe di questo design per gli uffici post-industriali si chiama Araldo Cossutta). U sa Today è UD; così bell'oggetto che nell'analizzarlo ci si dimentica dei due elementi che invece costituiscono la sostanza dei giornali tradizionali: pubblicità e linea politica espressa dai commenti editoriali. Di pubblicità Usa Today, inaspettatamente, ne ha ancora pochina. I motivi sono tre: 1. la pubblicità nei giornali americani è soprattutto locale, di grandi magaza zini e negozi, e i rivenditori preferiscono concentrarsi sui giornali cittadini; 2. malgrado gli sforzi possenti di Louis Harris manca ancora un identikit dei lettori di Usa Today e il primo giornale non verbale degli Stati uniti manca di tarFamous Last Words. The Ultimate Dictionary of Quotations a c. di Jonathon Green London, Pan Books, 19802 (prima ed. Omnibus Press, 1979) pp. 317, Ls 1,95 Petit Dictionnaire A Mourir de Rire cbolsi et réalisé de leur vivant par Philippe Héraclès avec la collaboration de Lionel Cbrzanowiski Paris, Le Cherche Midi, 19842 pp. 256, ff 96 S uperato lo spavento, l'incidente sembrò ridimensionarsi;ma l'aiuto, subito richiesto, non arrivò, né poté arrivare, e intanto intorno alla nave incagliata nella Manica già da due giorni infuriava la bufera. Persino i più forti, i marinai appigliatisialle sartie, cominciarono a cadere assiderati in mare, il corpo decapitato di uno di loro ripresentandosi a intervalli agli occhi esterrefatti dei sopravvissuti. Ma nella memoria di quanti in seguito sarebbero arrivati a terra torreggiava la figura di una donna descritta come eccezionalmentealta e legnosa, laMadre superiora di un piccolo gruppo di suore; queste, raccolte intorno a lei, bisbigliavanopreghiere, ma lei urlava: «Loudly and often»urlava, e sempre le stesse parole: «O Christ, come quickly!» Leggendo tutto questo sul Times dell'll dicembre 1875,un seminaristaparticolarmente sensibile, Gerard Manley Hopkins, si lasciò commuovere, si sentì anzi direttamente coinvolto- al punto da intraprendere un lungo poema indagatore, The Wreck of the Deutschland, suo capolavoro. Possiamoporci una domanda anche noi: chi era l'interlocutore di questa donna? Era il Dio che nella tempesta si rivela, o era un fantasma, assente del tutto? La forma stessa del suo impressionanteenunciato è esemplare nella sua ambiguità, e non solo teologica. Prima get; 3. il giornale è così vivace, colorato, costruito per accattivare il lettore con le immagini, gli shots e la scrittura messaggio-flash, che più d'un esperto pubblicitarìo teme che gli inserti commerciali possano finire «dispersi»nell'uragano di colori. Quanto alla linea politica di Usa. Today, posso dire che, letto fede!- mente per due mesi, non l'ho capita. Perché, credo, non c'è. C'è una pagina di commenti, certo, costruita nel seguente, stupefacente modo: apre la pagina un editoriale del giornale su un tema che non è solo politico, ma spesso di costume (esempi: Perché l'Urss ha boicottato le Olimpiadi? oppure: Le donne devono ricevere la stessa paga dei colleghi di pari grado maschi?). Il 6 giugno l'editoriale era sulle ricerche di ingegneria genetica. Dopo una generica introduzione al .tema, l'opinione dell'editorialista concludeva blandamente che «sì, si può fare ricerca su questi temi, ma con cautela». Di spalla, immediatamente dopo, due editoriali a supporto di questa tesi, di uno scienziato e di uno scrittore umoriSelk di capriolo arrosto stico, e il «punto di vista opposto» da parte di un economista. In un piccolo box, frasi celebri sul tema, inclusa una sciocchezza da Baci • Perugina di Margaret Mead. Infine la «trovata». Ogni giorno, sette lettori di Usa Today, in cinque righe ma sotto la loro bella foto formato tessera, forniscono la «voce dell'uomo della strada». Il 6 giugno erano un bancario di Scarsdale (favorevole alla ricerca, ma con il controllo di un teologo e di un filosofo), un lavoratore autonomo di Cuyahoga Falls (favorevole), una palazzinara di Little Rock (contraria), un negoziante di Green Bay (cauto), uno statistico di East Lansing (cauto), una commessa di Reno (favorevole con controlli), una impiegata di Kansas City (favorevole). Classe sociale e provenienza de~ gli intervistati (da tutti gli Stati uniti, ma specie da piccoli e medi centri) danno un'idea chiara del pubblico cui il giornale vuol rivolgersi. Questo buon senso «da caffè» è forse la linea del primo giornale telematico. È ancora presto, malgrado tutti gli sforzi, per dire se Usa Today sarà o no il giornale del futuro. Di certo è uno dei giornali del presenArsmorien - I di tutto, occorre osservare che la suora, essendo tedesca, in tedesco aveva gridato, e il fatto stesso spiega perché altri quotidiani inglesi danno versioni delle sue parole in contrasto tra loro. Lo stesso Hopkins, che si rifaceva volontariamente al resoconto del solo Times, aveva già e comunque imperniato tutto il suo discorso sulla domanda esplicita«What did she mean by it?» - che cosa voleva dire la suora moribonda con quel suo «Cristo, vieni presto»? La debolezza della carne nel suo terrore reclamava forse la magra bontà di una rapida dissoluzione(nel giardino, lo stesso Cristo aveva pregato in modo analogo)? Ma no, dice Hopkins, più esaltato, più esaltante il messaggio, e il suo testo allarga, arricchisce, dà alle parole della tribù un senso più alto. D elle 2.200 frasi di moribondi raccolte da Jonathon Green (che di fonti non parla nel modo più assoluto) molte sono fohn Meddemmen scontate: la sezione, ad esempio, dedicata ai santi (e intitolata Holier than thou, all'incirca, «Il più casto e puro son io!») documenta il fatto, poco sorprendente, che l'agiografia ha tramandato sul loro conto le più sublimi espressioni; uno dopo l'altro affermano la loro unione col Cristo sofferente mediante formule predeterminate: le anime degli uni si affidano nelle mani del Signore, mentre, per gli altri, «Tutto è compiuto!» E lo scopo didattico-esemplare si compie pure: davanti a tanta individualità obliterata, nui - poveri mortali - chiniam ( o magari non chiniamo affatto) la fronte. Potremo, comunque, osservare en passant la potenziale utilizzazione/ non-utilizzazione delle altre cinque «ultime parole di Cristo sulla Galantina di tacchina alla francese croce»: facilmente si capisce, ad. esempio, perché nessuno che voglia passare per santo chieda angosciato negli ultimi istanti di vita perché mai Dio lo ha abbandonato. Al contrario, l'autentica, sprovveduta umanità della povera gente - di noi, insomma - traspare dalla disinteressata banalità di tante e tante «ultime parole»: Rupert Brooke, il poeta, «Hullo!»; Calvin Coolidge, «Good morning, Robert»; William Hutton, chiestogli se stesse comodo, «Oh, yes». Un po' più preoccupante, forse, David Garrick, l'attore: «Oh, dear. .. !» O il poeta puritano John Greenleaf Whittier, che abbandona questa valle di lagrime gridando: «No, no!» Il che avrebbe fatto piacere a Dylan Thomas, che esortava il genitore troppo rassegnato: «Do not go gentle into that good night!»: davanti all'eclisse definitiva della «buona notte», della «buona morte», il singolo, irripetibile essere umano dovrebbe, ci dice il poeta, protestare - con tutte te e leggerlo (cioè guardarlo, ovviamente) aiuta a capire un bel po' di questa America.. Per adesso manca ancora di prestigio. Per esempio, non è presente con una collezione nella favolosa ·biblioteca della Columbia University School of Joumalism. Quando ho chiesto perché, mi è stato detto: «Noi non teniamo spazzatura». Qualcuno deve avere riferito questo giudizio a Neuharth perché pochi mesi fa, con un vero blitz, la Gannett ha offerto alla facoltà 16 milioni di dollari (circa 27miliardi, in lire) per creare un «Gannett Media Research Center» che diverrà il più potente Centro studi degli Stati uniti. I professori «liberal» di Columbia si sono opposti a che la filosofia dei, punti ·e delle lineette entrasse nel Sancta sanctorum fondato da Joseph Pulitzer, ma il preside non ha detto no alla montagna di dollari. Si sta già facendo spazio nei locali della facoltà per dare finalmente il prestigio culturale che ancora manca ai padri di Usa Today: pare, per esempio, che anche la biblioteca possa venir chiusa, per accogliere il Centro studi. le sue forze. Entro i limiti (piuttosto ristretti) del possibjle, s'intende. A prima vista questo libro po- •trebbe passare per un mero divertimento: lo stesso titolo è un evidente gioco di parole (sono «famous last words» quelle affermazioni o previsioni troppo ottimistiche che vengono quasi subito smentite dagli avvenimenti - come chi opina: «Oggi non c'è pericolo di valanghe» poco prima di sparire travolto). Eppure, se letta da capo a fondo, questa collezione, appunto perché troppo indiscriminatamente inglobante, non è affatto divertente. Un libro divertente sulla morte deve, ad esempio, prendere forma di bara con sopra la croce, come quel Petit Dictionnaire A Mourir de Rire, che usa il paradosso, il bisticcio, per tenere buona la morte, allontanarla mediante riequilibrante rimozione: «morir dal ridere» va bene, ma quante persone sono morte ridendo? Gli astanti in seguito diventano testimoni, e il letto di morte si trasforma in luogo di contrasto non solo tra il bene e il male, ma tra il sublime e il banale. Che cosa ha veramente detto il patriota irlandese Charles Stewart Pamell: «Che il mio amore sia dato ai miei compagni e al popolo irlandese», o «Baciami, mogliera mia; se posso, dormirò per un po'»? Morendo dopo la disfatta di Austerlitz, il giovane Pitt, nemico acerrimo di Bonaparte, avrebbe esclamato: «Paese mio, in quale stato ti lascio!»,ma secondo altri, non meno fededegni, le ultime sue parole sarebbe- "° ro state: «Forse sono in grado 1::1 di mangiare un pasticcio di vi- .s ~ tello da Bellamy». c:i.. È del tutto naturale che chi os- -.::i- ~ serva tenda a drammatizzare, ..., mentre il direttamente interessato ~ non di rado rimane ostinatamente E sul piano del quotidiano. Si inchi- i na reverente il nipote, chiede a Edwin Booth come sta; il mori- i bondo risponde gioviale: «How s:: are you yourself, old fellow?» A ~ Park Benjamin si rivolge la moglie Ì infranta: «Mi conosci?», e lui me- ~

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