Lévinasl,tzwscrittura Emmanuel Lévinas Quattro letture talmudiche trad. di Alberto Moscato Genova, Il melangolo, 1982 pp. 156, lire 14.000 Autrementqu'etre ou au-delà de l'essence La Haye, Nijhoff, 19782 L'au-delàdu verset. Lectureset discours talmudiques Paris, Minuit, 1982 Maurice Blanchot La communauté inavouable Paris, Minuit, 1983 Edmond Jabès «Judai:smeet écriture» in L'écrit du temps n. 5: , Questionsde Judaisme Paris, Minuit, 1984 pp. 5-16 L a connessione fra alterità e scrittura direttamente al centro della riflessione di Maurice Blanchot - centro fisso e mobile a un tempo, come direbbe lo stesso Blanchot, un centro che si sposta diventando sempre più centrale, più riposto, più incerto e più imperioso - è anche presente indirettamente come traccia leggibile nella ricerca di Lévinas, essa stessa scrittura per il particolare modo con cui affronta il problema del rapporto con l'altro. Nei lavori filosofici di Lévinas, il tema della scrittura appare solo di scorcio; e tuttavia anche questo è vero fino a un certo punto, soprattutto se si tien conto del saggio, accolto nel 1948 in Les Temps Modernes e ora ripubblicato nella Revue des sciences humaines (1982, n. 1), intitolato «La réalité et son ombre» il quale si occupa direttamente della scrittura letteraria. Con la scrittura hanno invece immediatamente a che fare gli scritti - come chiamarli? - «ebraici» di Lévinas, gli scritti «confessionali», quali Quattro letture talmudiche (ed. orig. Paris, Minuit, 1968), e L'au-delà du verset. Ma la stessa distinzione fra queste due serie di scritti è solo apparente dato che anche nelle opere filosofiche, come Totalité et lnfini (Nijhoff, 1961: trad. it., Milano, Jaca Book, 1977) e Autrement qu'etre ou au-delà de l'essence, è presente il riferimento, sia pure non esplicito, alle fonti ebraiche (bibliche e talmudiche). Da esse sono riprese le citazioni che come epigrafe si trovano all'inizio di Autrement qu'etre. Viceversa, in Quattro letture talmudiche troviamo continuamente l'allusione ai temi sviluppati da Lévinas nella riflessione filosofica: le nozioni di responsabilità, di prossimità, di sostituzione, la nozione dell'io come «ostaggio» di tutti gli altri, «nozione per mezzo della quale, al di là della libertà, si definisce l'io»; il concetto di «alterità assoluta», contrapposta all'alterità relativa stabilita per opposizione, determinata dal ruolo, dalla funzione, ottenuta per riconoscimento altrui; l'alterità come costitutiva dell'io, collocata nel cuore stesso del medesimo, per cui «l'ultima intimità di me a me stesso consiste nell'essere in ogni momento responsabile per gli altri, l'ostaggio degli altri» (Quattro letture talmudiche, pp. 150-51). D'altra parte, il rapporto con un'alterità che resta irriducibilmente altra nel rapporto, l'incontro nel linguaggio con una parola altra che ha l'individualità assoluta, l'irripetibilità e l'autosignificanza del volto, coinvolge la scrittura, è un rapporto di scrittura: una scrittura prima della lettera, come traccia che rinvia fuori dall'essere determinato dal pensiero, al di là di ogni oggettivazione, di ogni progettazione; la scrittura come dépense, nel senso di Bataille; come gioco insensato, come assenza d'opera, nel senso di Blanchot. Il rapporto di alterità è fuori dal linguaggio che nomina, che oggettiva, che fissa, che orienta, che programma, che determina; ma neppure è nel silenzio, nel tacere: tacere - come dice Blanchot - è un modo di esprimersi la cui illegittimità ci rimanda necessariamente alla parola. Il rapporto di alterità è un rapporto di scrittura. I n La communauté inavouable, fin dal titolo stesso, e nei continui riferimenti alla scrittura di Bataille, al suo concetto di «comunità negativa», la comunanza di coloro che non hanno comunanza, è ricorrente il tema della indicibilità - se non nella scrittura - del rapporto di alterità assoluta, il rapporto con ciò che è irriducibile allo stesso e all'unico, refrattario all'essere quale è detto nella nominazione del linguaggio. «Communauté et écriture» (è il titolo di uno dei paragrafi del libro citato di Blanchot): dell'una e dell'altra si può dire: «toujours déjà perdue, sans usage et sans ouvre» (p. 25). Non è, del resto, la scrittura esposta a una alterità assoluta, sconosciuta, dalla quale è separata da un intervallo incolmabile, quale quello indicato da Lévinas come «tempo morto»? «Colui per il quale scrivo è colui che non si può conoscere, l'ignoto», e ciò «mi espone alla morte o alla finitudine» (p. 44). Si comprende allora ciò che si trova scritto in Le coupable di Bataille: «Non potrei far leggere nessuna di queste note a nessuno dei miei amici». «Da ciò- commenta Blanchot - l'anonimato del libro che non si indirizza a nessuno e che, per. il rapporto con l'ignoto, instaura ciò che Georges Bataille (almeno una volta) chiamerà comunità negativa» (p. 45). Il rapporto fra alterità e linguaggio, considerato anche in ciò che non è la cancellazione del linguaggio ma una sua particolare affermazione, cioè il tacere, ricompare nel riferimento, verso la fine del saggio di Blanchot, alla nota frase del Tractatus di Wittgenstein: «Ciò di cui non si può parlare, deve essere taciuto». Essa attesta, dice Blanchot, per il fatto stesso che per enunciarla non ci si può imporMario Giusti e Antonio Porta re il silenzio, che in definitiva per tacere bisogna parlare. Ma, forse, proprio il riferimento al rapporto alterità I linguaggio / scrittura può far riscrivere quella frase in questa maniera: «Ciò di cui non si può parlare può essere _scritto». La scrittura dice l'indicibile, dice e tace l'indicibile. La scrittura si presenta come fuoriuscita dalla rappresentazione, dall'immagine, dalla visione: è ciò che accomuna, secondo Edmond Jabès, ebraismo e scrittura, è ciò che rende sacra la scrittura, in contrapposizione alla «trascrizione», alla scrittura «transitiva» nel senso di Roland Barthes, e la pone in rapporto con l'alterità, fuori dal mondo «profano» della rappresentazione, della identificazione in base al ruolo, in base al reciproco riconoscimento. 11 collegamento fra ebraismo e scrittura su cui Jabès insiste nel testo che apre il fascicolo di L'écrit du temps intitolato Questions de judafsme è un'altra traccia che può farci cercare anche negli scritti filosofici di Lévinas, «ebraici» non meno di quelli dedicati alla lettura della Bibbia e del Talmud, la presenza del problema della scrittura. Non è casuale che Lévinas venga nominato all'inizio del testo di Jabès; certo il riferimento è alle sue lezioni talmudiche; ma non è tutta la ricerca di Lévinas - come ricerca della traccia di un'àlterità non relativa alla totalità, al sapere, alla visione - una ricerca della scrittura, una ricerca di scrittura? Come Jabès definisce la scrittura ponendola in rapporto con l'ebraismo? «Scrivere - essere scritto - sarebbe dunque, senza che ce ne si renda conto, sempre passare dal visibile - l'immagine, la figura, la rappresentazione, la cui durata è quella di un approccio - alla nonvisibilità, alla non-rappresentazione ( ... ); dall'udibile, la cui durata è quella di un ascolto, al silenzio dove, docilmente, vengono a perdersi le nostre parole; dal pensiero sovrano alla sovranità dell'impensato, rimorso e supremo tormento del verbo» («Judatsme et écriture», p. 5). Il problema del rapporto con l'altro, come lo pone Lévinas, cioè come rapporto al di là del detto, del significato, dello scambio di messaggi, della oggettivazione, della totàlità, non può dunque non çoinvolgere il problema della scrittura." Gia in Totalité et lnfini, e poi in «Langage et proximité» (trad. it. in E. Lévinas, La tracciadell'altro, Napoli, Pironti, 1979) e in Autrement qu' etre, Lévinas evidenzia nel linguaggio ciò che egli chiama la significanza della significazione, vale a dire che la significazione significa nel dire stesso e non si esaurisce nel detto. Questa eccedenza, questo in più, fa sì che il significante non coincida con il significato, ma si autonomizzi da esso, e - non più al servizio del messaggio, non più mezzo per un qualche scopo comunicativo - valga per se stesso, dica un contatto, un coinvolgimento, instauri un rapporto intercorporeo, capace di resistere, con la propria disimmetria e diseguaglianza, all'unificazione, all'universalizzazione, all eguagliamento che ciò che è detto dal linguaggio necessariamente comporta. e ome prossimità, come coinvolgimento, come contatto, il linguaggio esprime una significazione che non è tematizzata nei suoi segni, che non è oggetto, obiettivo, senso di qualche messaggio; anzi, ciò che ne costituisce la significazione - come risultaevidente nelle situazioni in cui la dimensione corporea del linguaggio si impone - è proprio il suo trascendere stesso nei confronti di tutto ciò. Possiamo chiamare, con Lévinas, traccia questa significam.a della significazione in quanto tale, in quanto Dire, ma possiamo anche indicarla come scrittura. Per la sua autonomizzazione dal Detto, per il suo carattere di surplus infunzionale allo scambio di messaggi, per la sua disimmetria, per la sua ex-cedenza, cioè in quanto uscita fuori dall'essere e dalle categorie che lo descrivono, per la sua inutilità rispetto all'economia della Narrazione, per la sua autoreferenzialità, ambiguità, equivocità, contraddizione, per il fatto che in essa ciò che si rivela non si svela, resta invisibile, non perde la propria interiorità e il proprio segreto, per la sua apertura verso un'alterità assoluta - per tutto ciò la significanzadel dire come prossimità, contatto, intercorporeità, ha le caratteristiche della scrittura ( della scrittura intransitiva che Barthes distingue dalla trascrizione). Riconoscere il carattere di scrittura al rapporto lévinasiano di alterità quale si realizza nel contatto della significanza del Dire, significa rendersi conto del fraintendimento in cui si è incorsi quando si è voluto vedere nella relazione dell'«a faccia a faccia» il privilegiamento del discorso orale e la conseguente svalutazione della scrittura. Per Lévinas - come egli esplicitamente dice nella prefazione a L'au-delà du verset- per la capacità di significare sempre di più di quanto non dica, per l'eccedenza del significante rispetto al significato, del Dire sul Detto, la parola umana è già scrittura. In quanto espressione dell'alterità, in quanto traccia, presenza di un'assenza, la parola si presenta come scrittura indipendentemente dal fatto di essere scritta nel senso letterale del termine. La scrittura sussiste nel linguaggio «prima che lo stiletto o la penna l'imprima come lettere su tavolette, o sulla pergamena, o sulla carta. Letteratura prima della lettera!», perché il linguaggio non ba il semplice statuto di strumento, non si esaurisce nella letteralità di ciò che prescrive o tematizza o fa conoscere, ma è anche l'enigma dell'espressione, del volto, del ri- ao velarsi di ciò che non si disvela, è c::s .s anche la letterarietà di un rappor- ~ to in cui l'invocazione, il contatto, Q. la presenza, l'intrattenimento ~ («intrattenimento» anche nel sen- -. so di Blanchot) costituiscono il te- ~ sto, mentre ciò che è comunicato, j rappresentato, è solo pre-testo. 0 1 ~ ~ i Su Emmanuel Lévinas sono già in- !:! tervenute in Alfabeta F. Sossi (n. l 59) e S. Teroni (n. 61). ~
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