nò, non potrebbe avere altra più coerente definizione anche alla luce di una netta distinzione della sua opera da quella dei suoi predecessori. Nel Sogno, Viganò è parzialmente collocato anche in ambito di storia della danza, ma senza proiezioni o tentativi di analisi che servano a renderlo possibile e problematico modello per il dibattito sulla coreografia attuale, mentre invece le proiezioni sono continue in altri settori affrontati. Tuttavia, anche sorvolando su queste lacune colmabili, andrebbe riverificato il rapporto che si profila, sempre nel capitolo dedicato alla gestualità, tra la sua opera e il melodramma. La metafora di «canto muto», che ancora una volta si deve al provvido Ritorni, è appropriata in quanto dipinge tutti i possibili toni, le sfumature, i pieni e i vuoti della scrittura scenica viganoviana, ma certo, a nostro avviso, non può essere fraintesa con l'espressione melodrammàtica in quanto tale. Come, d'altra parte, risulta riduttivo supporre che la scomparsa gestualità magniloquente di Viganò sia sopravvissuta (solo?) nel teatro liric_odi tradizione. Certo, la mancanza di testimonianze visive pare giustificare orientamenti diversificati, non quando però un preciso percorso .~di danza ritrova puntualmente affioranti i nodi centrali che Viganò tentò di risolvere nel suo grande teatro di danza. Quella gestualità forte, espressiva, ma già trasfigurata sulla base di un attento esame della musica e del ritmo complessivo dell'azione nonché delle pulsazioni interiori degli interpreti, quel danzare le viscere senza emettere grida, si ritrova nella danza libera centroeuropea degli inizi del nostro secolo. Molto più stimolante sarebbe stato allora il confronto con i protagonisti di quella Ausdruckstanz sul piano mimico e gestuale, piuttosto che il dispersivo raffronto con forme di mimo tra l'altro inferiori (Lindsay Kemp). Q uanto alla danza, è bene precisare che il binomio Viganò/Balanchine, quest'ultimo molto citato nel testo, ha una sua grande verità per ciò che concerne la capacità - evidentemente propria a entrambi - di comporre passi e figure secondo logica (contrappuntistica rispetto alla musica per il «decoratore» Balanchine, drammaturgica per Viganò). Tuttavia, nulla è più distante dallo spirito apollineo quasi trascendente del discorso balanchiniano (neoclassico) dell'approccio davvero complessivo alla danza nei suoi caratteri basilari di meccanicità e dinamismo che fu di Viganò (preromantico), che è di molti coreografi contemporanei. Con Viganò, inoltre, si stabilizza una certa tendenza italiana alla confezione di grandiosi spettacoli di ballo. Le scene neoclassiche, statiche e pesanti del Sanquirico dovevano risultare, come si profila anche nell'ultimo capitolo di questo Sogno, non poco discrepanti rispetto al movimento composito, talvolta minuzioso, ai piani continuamente intrecciati del racconto coreografico. Questa forma di spettacolo riaffiora con caratteristiche analoghe, ma di segno opposto, allo scadere del XIX secolo con le produzioni di Luigi Manzotti, apice di un discorso tersicoreo che, perdendo il suo quoziente di ricerca linguistica, ma salvando a tutti i costi la perfetta rispondenza con l'apparato scenico, esaltava tutte le caratteristiche esteriori e effettistiche del ballo (Excelsior). Tali curiosi ritorni ciclici di grande presa su un pubblico assolutamente stratificato andrebbero anch'essi verificati alla luce di un percorso di danza più che di forme discendenti ma del tutto imbastardite (music hall, rivista). Tanto più che Viganò, a differenza di Manzotti (e, naturalmente, di tutti gli autori del teatro musicale che balla), aveva maturato con non poca sofferenza il sogno che l'effetto, il «coup de théatre,., il gesto smodatamente espressivo, potesse rompere una tradizione svelando agli spettatori, sotto l'allettante patina esteriore, le più intime, impervie, oscillazioni dell'anima. Il processeo//~-•castico Giacomo Marramao Potere e secolarizzazione Roma, Editori Riuniti, 1984 pp. LIII-231, lire 14.000 Gregory Bateson Mente e natura trad. di Giuseppe Longo Milano, Adelphi, 1984 pp. 312, lire 20.000 Verso un'ecologia della mente trad. di Giuseppe Longo Milano, Adelphi, 19845 pp. 533, lire 25.000 U no dei fili che annodano il testo di Marramao è la riflessione sugli effetti del mutamento delle strutture della temporalità nelle concettualizzazioni e nelle pratiche politiche. Nel quinto dei saggi raccolti in Potere e socializzazione ( «Tempo della norma e tempo dell'eccezione: per una metacritica del paradigma sistemico») si spiega come, mentre la politica classica, protomoderna, fonda la propria artificialità sull'idea che gli eventi sociali siano soggetti al principio di reversibilità, secondo un paradigma mutuato dalla dinamica dell'era newtoniana, quella postmoderna, nella sua rinaturalizzazione della storia, si ispira piuttosto a paradigmi indeterministici e soprattutto è dominata dall'immagine del ripiegamento entropico, in cui l'essere-per-la-morte dei sistemi complessi è un portato del naturale assestamento intorno all'equilibrio, insomma del successo non del fallimento. L'ospite inatteso A questo punto Marramao in- . troduce l'apparato thomiano delle catastrofi e corregge la metafora termodinamica con gli stati prigoginiani lontani dall'equilibrio, per uscire dalla deriva entropica di un programma «moderno» privato dei simboli legittimanti del progresso e della liberazione. La rivalutazione della discontinuità e dell'innovazione - ma si poteva ancor più sottolineare proprio il momento del «disordine» creativo, forse in memoria di altri grandi disordini sotto il cielo - viene fatta giocare per spiazzare una critica riformista dei limiti di Marx e per ridimensionare la tematica degli «specialismi» nell'epoca della solidarietà nazionale e la retorica della crisi/trasformazione tutta ancora interna a un'articolazione progettuale del soggetto. La crisi, infatti, era riferita al progresso, quanto la catastrofe taglia il tempo dell'entropia. La fluttuazione è così contrapposta al riduzionismo sistemico, la cui positiva liberazione daile assunzioni metastoriche non evita la confusione fra diversi tipi di equilibrio e l'afflosciamento sulla riproduzione di identità'. La vera catastrofe è invece «creazione di identità mediante produzione di forma»2 , ritrascrizione della crisi nei termini dello «stato d'eccezione». La morfogenesi è quindi un'alternativa alla trasformazione: essa però è soltanto locale e imprevedibile a livello macroscopico. Sappiamo come si è formata in passato, non possiamo prevederla per il futuro in base a una teoria generale della successione delle forme (alias senso della storia). Siamo qui a una riformulazione in base a metafore scientifiche aggiornate di un tema già hegeliano (almeno di una certa lettura di Hegel, quale quella classica di Rosenzweig, per cui la razionalità del reale è a posteriori e solo così, sta cioè nel carattere finito/concluso dell'esperienza). Per usare i termini di un famoso metalogo batesoniano (dell'Ecologia della mente) è un problema di contorno: lo si può descrivere solo dall'esterno (cioè a discorso concluso), non quando si è dentro l'esperienza, altrimenti l'uomo stesso sarebbe prevedibile, come una macchina. Resta dunque la «disponibilità ad accogliere un ospite inatteso», articolazione politica attiva della coappartenenza prigoginiana dell'osservatore al mondo. Naturalmente Marramao fa qui molte considerazioni sull'impatto che tale disponibilità potrebbe avere sull'articolazione sclerotizzata della sinistra. In modo del tutto analogico viene però da pensare alle sequenze frenetiche di Prénom Carmen, alle promesse implicite nel suo disordine, rigorosamente privo di ogni sbavatura sentimentale -À bout de souffle ritrovato, ventiquattro anni dopo, dopo il '68, dopo la Cina, con ironia, violenza, pulizia... Ma è un'analogia che è difficile trasferire dall'intuizione al discorso. Perché però rinunciarvi? Cosa si può ancora trarre dalla teoria·dei sistemi Verso un'ecologia della mente è stato (certo non solo per chi scrive) un libro segreto, per così dire un cult-book degli anni settanta. Sarebbe ora che il secondo testo di Bateson, con cui si è conclusa anche la sua singolare esperienza di pensiero, segnasse l'inizio della circolazione in Italia delle sue idee. La loro immanenza nel mondo, al di là della vita personale, sarebbe così infine tortuosamente provata. Si potrebbe inoltre saggiare la tematica sistemica al di là del campo sul quale tanto I:..uhmann che Prigogine1 hanno operato arbitrari sequestri di metodo. Cosa c'è di nuovo in Mente e natura, al di là del tono sapienziale, equamente scandito fra saggezza taoista e iscrizione nella tradizione platonica•? Le considerazioni sul ruolo della forma, sulle differenze introdotte dal fattore temporale fra logica e causalità (fra logica combinatoria e logica sequenziale), sul rapporto fra tipi logici, mappa e territorio, ecc., riprendono a un livello di maggiore sintesi e organicità quanto già era stato articolato negli ultimi saggi di Verso un'ecologia della mente. Il nucleo di novità è concentrato nel sesto e settimo capitolo, e potrebbe essere esposto nei termini stessi in cui Bateson apre la trattazione specifica (pp. 197-99): «L'assunto generale di questo libro è che tanto il cambiamento genetico quanto il processo detto apprendimento (ivi compresi i cambiamenti somatici indotti dall'abitudine e dall'ambiente) sono processi stocastici. È mia convinzione che in ciascun caso vi sia un flusso di eventi che è per certi aspetti casuale e un processo selettivo non casuale che fa sì che alcune delle componenti casuali 'sopravvivano' più a lungo di altre. «Senza il casuale non possono esservi cose nuove( ... ). Il cambiamento evolutivo e quello somatico (compresi_ l'apprendimento e il pensiero) sono fondamentalmente simili, entrambi sono di natura stocastica, benché certo le idee in base a cui agisce ciascun processo siano di un tipo logico completamente diverso da quello delle idee dell'altro processo». Insomma, abbiamo due grandi processi stocastici (in cui cioè si combinano componenti casuali e processi selettivi che lasciano perdurare solo certi risultati del casuale), in parte autonomi, in parte interreagenti: l'evoluzione delle popolazioni e il pensiero dell'individuo (e la sua estensione a un intero patrimonio culturale). Attraverso un'attenta revisione del dibattito sulle tesi di Lamarck e Darwin, Bateson mostra come la cosiddetta barriera di Weissmann, garantendo la non trasformazione diretta del mutamento somatico individuale in mutamento genetico, salvaguardi la flessibilità dell'individuo, fin quando la stabilizzazione di certe condizioni ambientali non renda vantaggioso (a livello di popolazione, mediante selezione) il passaggio alla mutazione genetica (che è di tipo logico superiore alla precedente). In entrambi i processi stocastici abbiamo la combinazione fra meccanismi di stabilizzazione e di innovazione: evoluzione e apprendimento sono divergenti (constano cioè di successioni imprevedibili), ma sono frenati da meccanismi epigenetici convergenti (cioè di articolazione interna a una fondamentale tautologia, a un'interconnessione esauriente che manifesta coerentemente e prevedibilmente i suoi effetti). I processi stocastici innovativi o creativi sono divergenti, le sequenze prevedibili (epigenetico/ tautologiche) sono convergenti.· Nessun sistema - né un calcolatore, né un organismo - può produrre alcunché di nuovo se non possiede una sorgente di casualità. Il divergente è così la fonte potenziale di ogni disordine e di ogni innovazione. Scartando in questa sede i molti problemi che sorgono da questa impostazione (mi limito a ricordare l'opposizione fra somatico/ quantitativo/analogico e genetico/ digitale/strutturale), è il caso di marcare fortemente lo slittamento della problematica evolutiva nel campo del pensiero (il tentativo di stabilire l'omologia fra i due settori). Se nel testo precedente Bateson aveva in qualche modo lasciato intravvedere un'identità deistica della Mente connettiva dei sistemi, qui viene detto chiaramente (taoisticamente) che il parallelismo fra evoluzione biologica e mente viene istituito non postulando un Artefice nascosto, bensì un proces_;iostocastico del pensiero. Il processo creativo è anche esplorativo e l'esplorazione del nuovo avviene su percorsi casuali che vengono sottoposti a selezione per sopravvivenza. Il processo mentale, come quello evolutivo, comprende due metà stocastiche, delle quali l'una digitale (la logica · o coerenza tautologica, la costanza di forma), l'altra analogica, la genesi delle idee nuove (corrispondente al. mutamento genetico casuale). I due livelli logici differenti operano praticamente per alternanza. L'ispirazione formalmente russelliana di Bateson ha due eccezioni: quando (nell'Ecologia) si sottolinea l'inevitabilità della mescolanza vitale dei livelli logici, nella forma positiva dell'ironia, del gioco, dell'arte e nella forma negativa della schizofrenia, e (qui) con la sostituzione del criterio di alternanza alla semplice gerarchia. La generazione di discontinuità è necessaria per innestare processi di comunicazione per differenza, e cioè un prerequisito per l'esistenza di mondi vitali. Appare qui la determinante influenza di Wittgenstein su Bateson: il mondo è mondo di eventi, è insieme di giochi linguistici. Ma torniamo al nostro tema iniziale: un rigoroso sviluppo della teoria dei sistemi formalizza la possibilità dell'innovazione, della discontinuità, della casualità nell'evoluzione di sempre nuovi livelli di equilibrio (forma/iter di gradini logici). In tale contesto il modello cibernetico è molto più flessibile di quanto spesso non si creda, ripropone in altra veste vecchi problemi (dialettica, contraddizione, rivoluzione e suoi limiti e controfinalità, ecc.). . Soluzioni politiche? Bateson vuole 1esoltanto»insegnarci a pensare. I materiali sui quali lavorare sono purtroppo quelli di esperienze contraddittorie, macerie di progettualità, incubi di distruzione: «If we share this nightmare / Then we can dream / Spiritus mundi». Note (1) Marramao riporta accuratamente Luhmann a Parsons, mostrando per quali aspetti vi sia dipendenza. E questo è buona cosa, tanto per non mcoraggiare le scoperte periodiche dell'acqua calda (e anche per dare effettivamente a Luhmann ciò che è specificamente suo). Forse avrebbe potuto fare altrettanto per Prigogine rispetto a Bertalannfy, che non è così ingenuo -o come lo si è spesso presentato per mar- Cl care la novità assoluta della formazio- .5 ne di sistemi lontani dall'equilibrio. ~ (2) Allo stesso risultato si potrebbe ar- ~ rivare per altra via, discutendo il rap- i porto informazione/rumore, così come ...... ha fatto esemplarmente A. Wtlden, ~ per es. nella voce «Comunicazjooe» ~ dcli' Enciclopedia Eina,.uli. Per questa J via, inoltre, potrebbe passare una criti- .... ca anche più tecnica all'uso sociologi- ;.::: ~ co-conservativo che Luhmann fa dei -::: teoremi di Ashby e Shannon. :a (3) Cfr. nota 1. --.. (4) Su questo terreno platonico si veri- ~ fica l'incontro fra Batesoo e Thom, ~ mediato dal comune riferimento a !:! D'Arcy Thompson: la problematica ~ comune è quella del nesso continuità/ ~ discontinuità nella forma. '3
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