Alfabeta - anno VI - n. 62/63 - lug./ago. 1984

U n monaco, incedendo quasi per diporto lungo la riva di un fosso o rivo a nord ovest di Londra, oltre un'ansa di detto rivo si trovò d'improvviso il cammino impedito da una densa macchia di arbusti. Il luogo era quieto o remoto e persino segreto e pure a suo modo piacente, imbellito da qualcosa che pareva pendere dal cielo stinto come un regalo o un presente, come si dice anche a proposito di attimo presente, di forma presente o di ragion presente, persino nel senso in cui ne discutono i filosofi morali, che Iddio li abbia in gloria. Chi era questo monaco? «Chi sono?» si chiedeva; e considerato l'abito concludeva di essere né meglio né peggio di tanti altri: un religioso di incerta religione, di alquanto incerta reputazione anche, ma che ora, nella indulgenza del momento, poteva pure predicare di sé qualche lode senza doverne arrossire, ma anzi compiacendosene. Dunque, lui era di non povera dottrina, anzi intendente di molte cose oltre il comune; e, a voler chiedere con indiscreta puntigliosità di quante cose lui si intendesse, la risposta con spontanea quasi lieta semplicità era: «Di tante!» E così, lasciata evasivamente questa sua sapienza nel vago ma confortante numero delle tante notizie che lui possedeva e procedendo oltre, a chiedersi di altre lodevoli virtù, poteva alla luce di questa benignità, improvvisamente disce- •sa dal cielo, procedere a una sommaria o, anzi, confusa elencazione, che in ultima analisi pareva, più che un elenco, la ripetizione di una sola virtù: la virtù, per così dire, o la virtualità di essere vivo hic et nunc, alle cinque della sera. _ Una fortuna dunque, più che virtù. E che con questo? Dovendo parlare di sé non è forse modestia riconoscere la generosità della sorte? In ogni caso la sorte dà e la sorte toglie senza alcun merito, ma nessuna fortuna, per quanto malevola, può togliere se non ciò che ha dato e quindi la natura della fortuna deve riconoscersi nel dare, in questa quasi inesauribile generosità. E a tale pensiero fu preso da così ansiosa allegria o da tanta impaziente aspettazione che si mise a saltellare nel prato ai margini del macchione che gli impediva di proseguire. Perché proseguire del resto? - Chi sa che mi è riservato! Chi sa che mi viene addosso! - borbottava, ghignando senza ritegno e accennando persino a un passo di danza o saltello. - Son contento d'esser al mondo con due palle e il culo tondo-, sapendo nel contempo che né palle né culo né mondo, per sé presi, potevano intendersi come causa di contentezza; piuttosto viceversa la contentezza era cagione di mondo di palle di culo e di innumerevoli altre cose ancora, che per sé erano, come lui stesso, presenti, ma forse indifferenti o nascoste nella indifferenza, finché una qualche contentezza, una qualsiasi gioia o grazia o fortuna non le tirasse in scena nella piena luce dell'istante. Eccoti dunque e palle e culo e mondo: e poiché tutto sommato non era gran che soddisfacente starsene in contemplazione delle proprie palle, la fortuna soccorritrice interpellata rispòndeva alla svelta dall'alto del cielo: «Arrivo, arrivo!» Il monacoincedendo e on questa promessa di avvento ancora nelle orecchie, girando a casaccio lo sguardo lungo il fiume o fosso, oltre l'acqua limacciosa e pigra, il monaco scorse una figura ferma sotto un albero ai margini di un prato, che con gentile pendio inclinava verso il sassame della riva opposta. - Oh - si disse con qualche vergogna, pensando ai suoi salterelli di qualche istante prima, - credevo di essere solo. E così dicendosi, gli parve che l'imbarazzo o vergogna di essere stato in qualche modo scoperto spiato e giudicato si trasformasse in irritazione e rimpianto della solitudine perduta. Michele Spina silens et spiritus aurae - lenis et festivus ... Poi le cose erano cambiate, probabilmente per via di un'altra voce. Certo si può sempre picchiare una femmina perché taccia, ma nessuna quantità di botte può fermare il fruscio dei pensieri, quel correre o appena gocciare di altre parole, parola su parola in un altro interno, in un'altra anima. Proviamo? E giù botte! Lui monaco aveva fuggito questo cimento: al più qualche cazzotto al collo del novizio più melenso nella quiete del cortile. Le foglie pendevano già rosse d'autunno, ma nel cielo il calendario era assente: né mese né giorno né ora. Solo il frusciare dei Gregorio Spini Dopo tutto, in compagnia o agli occhi della gente, lui era un monacaccio qualsiasi: Cucullatus, come taluni lo chiamavano con qualche spregio, latinizzando il nome Cuclato e così togliendogli il proprio e personale e riducendolo a genere. Un monaco dunque: e che sorte mai o fortuna poteva toccare a uno del genere suo? quali imprevisti, quali scommesse e rischi? quali piaceri o trionfi o sorprese? Ma, a parte queste vaghissime cose, le ipotizzate delizie della buona sorte o meglio, a monte di ogni suadente fantasia, la stessa attesa della fortuna, a cui si era abbandonato senza ritegno, cominciava proprio dalla solitudine o da un dialogo ristretto tra sé e la natura, alberi sassi acqua: oggetti naturali appunto, che erano tanto innegabili quanto silenziosi. Nel paradiso terrestre, probabilmente, Adamo, trovandosi dinanzi tanto silenzio, dovette subito pensare che tra l'«altro» silenzio e la «propria» voce, o il fruscio dei pensieri che dall'interno confrontava la quieta differenza esteriore, ci fosse solo un patto di pace: Herba virens et si/va passi e la montagna ancora ilfuminata che pendeva come un cande- • labro sull'ombra vaga della valle e quella più densa del cortile. Uccel- • li in cerca di destinazione scambiavansi nel loro linguaggio becchereccio informazioni sul meglio e sul peggio, su luce e freddo, su caldo e ombra. Alberi pazienti, ormai nel buio, lungo le rive del fiume, aspettavano interminabili migrazioni dalle alte pasture del cielo e poi passo dietro passo il silenzio arrivava. Ma un istante prima - Tiè, fratello, e beccati questa! - cioè una manata in pieno collo. Perché poi? Non sapeva o forse non voleva spiegare. Ma, volendo, avrebbe potuto dire ancora una volta di questo rimpianto èlella solitudine, che in momenti di gratuita allegria lui pensava fosse una facoltà di guardare, quasi avesse dinanzi un immenso giardino: anzi, nel mezzo di questo, un suo aggirarsi, ombra senza sostanza corporea, per le vigne o gli orti è anche per i dormitori delle monache; e, ombra nell'ombra, penetrare nella stanza della più leggiadra e lì contemplare nel sonno della mente e dell'anima il dispiegarsi nelle membra della quieta forza degli umori e del sangue, in tutto simile alla forza degli alberi nel frutteto. Qui la vera solitudine e il vero silenzio: non quello catarroso e stropicciante dei frati nelle notti di interminabile uggia e freddo. «Queste erano per certo tentazioni diaboliche, cioè fantasmi di femmine, ancor che monache. Cosa facevano poi queste diavolesse?» Niente facevano. Neppure si muovevano, che anzi a muoverle da una posizione all'altra era solo la sua mente, che a volte prendeva quasi in volo la figura giacente e la poneva in piedi, ma senza peso o quasi più per via di geometria che di trasporto. Di fatto, poteva dirsi che negli occhi della mente ora vedeva la figura eretta, a partire dal triangolo equilatero formato dalle due punte dei seni e dell'ombelico, come se il triangolo e non la donna fosse principio di evidenza. - E il ventre, com'era il ventre? Certo per questo la geometria gli pareva meno importante: ciò che importava era una qualche rotondità e levigatezza, non già di superficie solida, ma più tosto come per lustro quasi da luce lunare, confondendo però lui a volte in questa descrizione tra il vero confine della forma e quello dell'aria o spazio che questa forma avvolgeva. A ogni modo, questo quasi quarto di melone bianco poteva dirsi tanto convesso che concavo: inoltre, a questo punto la sua propria ombra si era come persa o essa stessa diluita nella notte e non poteva più né vedere né riferire alcun che. - Ventre come pancia?- balbettò a casaccio. - E le coscie? - insistette il priore. - Come erano le coscie? - E non venendogli nessuna risposta proseguì con un sussiego minaccioso: - Venient autem dies quando dicant: Beatae steri/es et ventres qui non genuerunt. V entres qui non genuerunt! si ripeteva, preso da un irrefrenabile riso, perché ora, contro il grigiore del fiume, questi ventri nel loro pallore freddo gli parevano finalmente di gran nettezza e distinzione, quasi per una allucinazione chiarificatrice. Ma in questo caso, che bisogno c'era di ridere? L'allegria che sentiva, per quanto improvvisa e fulminante, non aveva bisogno di effusione, ma anzi di essere trattenuta col pensiero sospeso in una specie di interno silenzio lucente: la ste.ssa parola 'ventre', nella sua sterilità incontaminata, non era solo allegria ma forse anche subitaneo dolore: un grande nome, come la ragione titolare del suo stesso silenzio. Perché non ridere, d'altra parte, o almeno cachinnare o come tutto suono appena dire il nome a tutte lettere? Ma appena pronunciato, il nome volò via dalla sua voce come un grande uccello immacolato, svanendo nell'azzurro duro del cielo e, come temuto, il silenzio gli parve deserto di gioia e anzi di grande tristezza e severità: Multiplicabo - inquit mulieri - tristitias tuas et gemitos tuos. No, meglio non ridere a cospetto di maledizioni; ma più tosto, da che c'era, godersi la pace campestre. Del resto, comunque le cose stessero circa questi ventri, ormai il monaco era piuttosto calmo che inquieto, e più tosto tollerante che indispettito. «Non potrebbe essere» si chiese «questa persona oltre il fiume una donna?» E senza indugiare in inchieste ulteriori, che data la distanza gli parevano difficili, si accontentò della supposizione. Dopo tutto niente accadeva senza donne e la stessa fortuna, per quanto potentissima dea, doveva ben giovarsi di queste, come sue figlie e ministre. Lui stesso nel passato, se ricordava qualcosa di sé, ricordava per via di donne. A dire il vero, lui sempre aveva avuto debolezza non di memoria ma quasi di Cuclato, e se le sue confessioni erano indegne di fede, ciò era non soltanto per malizia, ma per una fondamentale labilità di persona che, parlando, subito lo smarriva in un vuoto incerto fra dire io come monaco o io come menzogna. Se invece cominciava a dire di una donna, il se stesso, o meglio la voce parlante nella sua mente, si avvolgeva quasi al nocciolo o centro . della verità, e dipanandosi quasi come una spirale per via di geometria, generava un Cuclato vasto_come un paese o una notte o _ungiorno intero: un sé come spazio_dunqùe o un gigante popolato di case e contrade, in cui la sua mente, ò, per quanto ne sapeva, l'altrui, lietamente potesse andare a diporto nel freddo e nella canicola, nella neve o nel deserto, ma senza patire di queste cose o, patendone, come non ne soffrisse. Certo questa genesi di sé somigliava •alla genesi di un universo intero, più che di una singola persona. Ma forse tutto il generare si somiglia e, in ogni caso, come avrebbe potuto dire di sé o confessarsi, come i superiori pretendevano, •se non dicendo una qualche storia .e in questa storia partendo da una qualche causa, reale o immaginata che fosse? Così, in qualunque momento, all'inizio c'era una dorina. - E che fece costei? - lo sollecitavano. - Niente fece - cominciava lui con pazienza. - Era notte o sul calar d~lla notte. E poiché più a monte la strada era franata, non mi restò che bussare a quella casa che era l'ultima della valle verso il passo: .. L a.·donna che aprì la porta, per : quanto poteva vedersene in •quella specie di ombra acquosa che è comune di sera in posti stretti tra alte montagne, era rossa di capelli e aveva sul davanti un veritre •sporgente, trapuntato di aghi grossetti e lucenti: ciò era - capì poi - perché costei si occupava di ricami al tombolo in cui era esperta e la sporgenza del ventre era solo un cuscino. Inoltre costei era vedova e viveva sola con una cagna molto vecchia che era anche molto malata. «Ma come faccio a dare asilo?» si chiese lei con scrupolo. «Se a volte do ricetto a persone di passaggio è perché queste sono femmine e· spesso anche monache». Ma poiché la pioggia si era già cambiata in neve, e il fiume grosso pareva già avere invaso la strada più a valle, decisero in buona fede che Iddio avrebbe visto e provveduto. Così gli fu fatto cenno di entrare ed ebbe anche cena abbondante con una grossa ciotola di grano e carne di porco, bollita nel

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