Lamarchesoarapuòuscirealle5?. Arbasino a A. Guglielmi Caro Critico Pentito, «l'intreccio non è per se stesso un elemento strutturale», hai scritto recentemente («Una democrazia delle forme», in Alfabeta n. 59), dando un benvenuto - all'indietro - appunto ali'Intreccio, sia pure condito con l'Ironia del Post-Modem. Non ne sarei tanto sicuro: 'intreccio', 'trama', 'plot', e 'struttura' possono risultare elementi affini, e confondibili, al di là delle formulazioni teoriche. Nella Recherche, ad esempio, l'intreccio e la struttura mi pare che coincidano; e così in numerose opere di saggistica fatte con genio narrativo: La casa della vita, La carne, la morte e il diavolo... Forse, l'ironia non deriva tanto dall'atteggiamento sarcastico o giocoso del Post-Modem in architettura e in pittura. Forse, in letteratura, l'abbiamo già sperimentata fin dai tempi di Robbe-Grillet. (In prima persona: quegli esperimenti passati come Il principe costante e Specchio delle mie brame, dove appunto l'intreccio veniva recuperato, e fornito nudo e crudo, esposto a manipolazioni ali'aria aperta che si demistificavano da se stesse). Attualmente, insomma, un recupero in buona fede o per ironia dell'intreccio narrativo mi sembra un vecchio pio desiderio, piuttosto. • Credo che possa risultar frutto, invece, oggi, neanche più di ingenuità consolatorie o di manierismi rétro, bensì di disperazione, o di cinismo. Questo non evita, tuttavia, anzi avvalora, la circostanza che l'intreccio continui a riproporsi in funzione (come ieri) consolatoria, forLettere di Alberto Arbasino e Angelo Guglielmi nendoci en passant i suoi bravi strumenti per la Comprensione del Mondo. Alberto Arbasino Roma, maggio 1984 A. Guglielmi a Arbasino Caro Arbasino, nel rivolgerti a me con la formula «Caro critico pentito» già riveli l'intenzione di tirarmi le orecchie, cosa che tuttavia penso di non meritare. Non credo, infatti, che sia difficile rendersi conto che quando nel corso dell'articolo cui tu fai riferimento mi dichiaro critico pentito ovviamente lo faccio in senso autoironico e di denuncia dell'abuso che di questo termine si va facendo ai nostri di. Così tu finisci per fare ironia sulla mia ironia, correndo il rischio di restituire autorità a una parola che tanto tu che io riteniamo doveroso lasciare nel ridicolo. Ma non è questo il punto essenziale del tuo biglietto di rimprovero. La sostanza della tua contestazione è diretta contro il mio tentativo di restituire importanza all'intreccio in narrativa - intreccio che in altri tempi avevamo ferocemente avversato - con ciò rendendomi responsabile «neanche più di ingenuità consolatorie o di manierismi rétro, bensì di disperazione, o di cinismo». Intanto, cosa era l'intreccio che noi avversavamo? anzi, che cosa dell'intreccio rifiutavamo? Rifiutavamo quella sua pretesa di offrire un quadro di personaggi, di azioni e fatti esemplari, tali cioè da porsi, ciascuno, come un condensato dei succhi del mondo, un attestato di verità, una proposta di comportamento. Noi sapevamo invece che, nella realtà così ingombra e affastellata in cui ci era capitato di vivere, non era possibile coltivare pretese del genere e che l'intreccio con cui erano confezionati i romanzi dell'epoca (siamo negli anni sessanta) nel migliore dei casi si risolveva in una proposta di ordine funesto sotto il cui peso la realtà moriva anziché trovare l'auspicato caMarica Larocchi nale di espressione. In altre parole l'intreccio era un inganno, era una maschera che veniva fatta indossare, a forza, alla realtà, con la conseguenza di immiserirla, occultarla, mistificarla. Di qui l'abbandono da parte della neoavanguardia italiana del romanzo ben fatto, così insopportabilmente reticente e generoso di falsa consolazione. Ma l'intreccio non è solo una organizzazione di azioni e di fatti esemplari: è anche la manifestazione di una vocazione favolistica, di un impulso fabulatorio che è e sarà sempre insopprimibile nell'uomo. In un vecchio saggio Italo Calvino scriveva che l'uomo primitivo, che disponeva di pochissime cose dotate di nome e che evidentemente riguardavano le operazioni della sua vita animale, sentì ben presto l'impulso di armeggiare con quei nomi (quelle parole), «per sperimentare fino a che punto potevano combinarsi l'una con l'altra». Nasceva così un discorso-racconto in cui le cose nominate acquistavano un senso diverso a seconda di come i nomi (le parole) s'inseguivano (si combinavano) nella sequenza. Ogni sequenza era una proposta di senso e la scope~ta di nuovi nessi tra le parole si trasformava nell' acquisizione di nuovi valori per le cose nominate. Così con il narrare nasceva il linguaggio e cresceva il mondo. Ora è proprio l'intreccio,- in quanto afflato combinatorio e istinto favolistico che io difendo e ripropongo ali'attenzione, che se riguarda tutta la letteratura tocca la sfera della narrativa in modo particolare. Mi puoi dire che in questo senso, così lato, l'intreccio è presente anche nel Tristano di Balestrini. Non è vero. Mi pare sempre più chiaro che l'aspetto più interessante della letteratura in prosa della neoavanguardia è di essere stata una letteratura di secondo grado, nel senso di essere stata essenzialmente e per intero il frutto di una riflessione sulla letteratura. È stata· una metaletteratura combattuta con l'obiettivo di ristabilire le conNanniBalestrini La signorina Richmond redige l'inventario degli affetti personali, saluta e se ne va dizioni per una espressione non più mistificata. Cosi l'intreccio, agente massimo della mistificazione, veniva aggredito e sconfitto o ricorrendo ali'accorgimento di metterlo alla berlina (vedi certi tuoi libri) o, come altri facevano, sottoponendolo a un radicale scompaginamento linguistico-strutturale da cui usciva irriconoscibile e a pezzi. Ora, negli anni ottanta, molta chiarezza è stata fatta e, allora, per la letteratura è possibile non certo rinunciare ma allentare lo spirito di vigilanza e ricominciare a restituire fiducia alla propria vocazione originaria. Noi da che cosa eravamo infastiditi? dal fatto che la marchesa uscisse alle cinque, così trasmettendo un messaggio d'ordine, imponendo uno schema di conoscenza obbligata che finiva per nascondere la realtà invece di scoprirla. Ma ora che la marchesa non esce più alle cinque perché abbiamo scompaginato la sequenza delle ore e cancellato i segni delle strade che una volta la portavano da un'altra marchesa a prendere il tè, o dall'amante, o dalla rivale per ucciderla, e che comunque le permettevano di uscire per raggiungere una meta di comodo, perché continuare a tenerla chiusa in casa? Ora che con il banale scorrere del tempo ha perso le sue abitudini, cioè la sua identità di marchesa, lasciamo che riprenda a uscire: tanto ora non è lei a guidare noi ma siamo noi a guidare lei, impedendole di immiserire, agganciandola a un fine troppo ottusamente predisposto, la sua scelta d'avventura. Angelo Guglielmi Roma, giugno /984 ecco qua lafilastrocca praticamente fiorentina che vada come vada finisce di prammatica ecco qua il pinocchio pittato per ipiccini ecco qua la vanitosa variopinta coi giovanotti che vada come vada ecco qua telegantone di turno _ lì legato nello stanzino ecco qua la bambolina molto bellina tutta bardata che vada come vada bazzica coi bellimbusti ecco qua i banditi gradassi e babbioni che vada come vada ballonzolano grassocci ecco qua la spiritosa spregiudicata nei salotti che vada come vada sulle spiagge si spoglia ecco qua il prosciutto piuttosto prosperoso che vada come vada sproloquia di primissima ecco qua lapecorina permalosa e spettinata che vada come vada pedala a perdifiato ecco qua l'ingegnere perduto nell'intrigo che vada come vada s'intestardisce che pena che vada come vada piroetta su un pippolo ecco qua la ranocchia riottosa rannicchiata che vada come vada si rianima col raggiro ecco qua il noto melone medievalista arcifrenetico che vada come vada armeggia a meraviglia ecco qua la mia sorella svogliata e micidiale che vada come vada sobilla di soppiatto ecco qua la capricciosa caparbia e parecchio carogna che vada come vada s'incaponisce causa la cattiveria ecco qua la mano buona della marionetta del burattino che vada come vada sbugiarda la magagna ecco qua un certopagliaccio pasticcione e un po' spavaldo che vada come vada spadroneggia sulla pacottiglia va afare la ginnastica ecco qua il capo indiano casinista indiavolato che vada come vada s'invelenisce e capitombola ecco qua la svergognata sfaccendata epure sventata che vada come vada si sveglia sfiduciata ecco qua il solito originale oltremodo riservato che vada come vada rintontisce ottenebrato ecco qua l'appassionata delle guance appetitose che vada come vada le appallottola in un.guazzabuglio ecco qua il mostruoso super moltissimo alla moda che vada come vada moliiplica la smodatezza ecco·qua la dispettosa disinvolta e cocciuta che vada come vada si compiace della dissolwrzza che vada come vada è eliminato ogni stagione ecco qua la superbia fatta persona e suscettibile che vada come vada persevera nel subbuglio : ecco qua lafidanzata fantastica e filologica che vada come vada fischia alquanto fanatica ecco qua lo stravolgimento della strabiliante strizzata che vada come vada stravede stralunata ecco qua la cuccagna unica squisita che vada come vada un bel dì si squaglia (1979)
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