Il senso della letteratura / 8 l'artistae lastoriadell'arte Con questo scritto estendiamo anche e più direttamente alla ricerca artistica il dibattito su « IL senso della letteratura», cominciato su Alfabeta n. 57, che ha accolto finora interventi di F. Leonetti e A. Porta (n. 57), G. Raboni (n. 58), G. Gramigna (n. 59), R. Luperini e R. Cari/i (n. 60), M. Forti (n. 61), e, nella serie «Riferimenti», contributi di G. C. Ferretti, F. Muzzioli, A. Guglie/mi, G. Patrizi, F. Masini. .I .I Ciò che la sua miracolosa '' escursione nel passato soprattutto gli fa - egli se ne rende conto con angoscia - è di farlo sentire sempre più lontano e perduto, assai più spaventato, in effetti, e atterrito, assai più orribilmente, cioè dolorosamente e nostalgicamente dislocato ( ... ). Il suo intero presupposto era stato che si sarebbe trattato di un'escursione e. nulla più, da cui, come per la pressione di una molla, o un arresto, o l'uso di una qualche parola d'ordine o incantesimo avrebbe potuto uscire, tornando alla propria consapevolezza, al proprio tempo e luogo e rapporto con le cose. Ciò che è terribile, egli dopo un po' percepisce, è il sentirsi immerso e chiuso, perduto e dannato, in effetti, oltre ogni salvezza». Così Henry James descrive la posizione singolare in cui si è venuto a trovare Ralph, il protagonista del suo romanzo The Sense of the Past, un artista che si è immerso nel passato per il tramite di un dipinto e non è più riuscito a tornare indietr0. La situazione narrata da James mi sembra emblematica di uno stato delle cose che riguarda le vicende odierne dell'arte, e non dell'arte soltanto: non pochi artisti, oggi, entrano nel passato per il tramite di un dipinto, scegliendo di vivere una esperienza anacronista e mettendo tra sé e il presente lo sbarramento di una cormce. Se la comunicazione sociale si svolge lungo percorsi sempre più veloci, se i soggetti singoli vivono la loro vita quotidiana sotto il segno della mobilità e della dispersione, l'artistt anacronista assume un atteggiamento opposto, gioca al ralenti, e s'impegna in una prati~ ca pittorica cui viene attribuito il senso antico di una lunga, paziente pratica artigianale. C'è di più: mentre l'arte va incontro a un processo di diffusione laica, anche a costo di perdere quota, e aura, l'anacronista vuole recuperare il valore dell'Arte e della Poesia con le maiuscole. Lo accompagna il critico con i propri supporti storicisti e lo sostiene in questa sua pratica dell'arte che prende accenti sacrali, al limite del misticismo. Gli antichi procedimenti alchemici, riletti da Jung come pratiche di iniziazione e identificazione, co- .stituiscono il riferimento storico e teorico privilegiato di questo neoirrazionalismo artistico e critico: «Nelle pale o nei grandi teleri la pittura canta l'apoteosi delle icone. La storia dell'arte s'apre con un movimento di dolce fatalismo e lascia affiorare le incantate memorie delle sue più incredibili incarnazioni. La forza di seduzione della pittura ci rapisce, nell'ora escatologica, lungo i bordi di altri secoli. Lo spiazzamento è detto da,una luce tremolante di cere che i11uminano la cartografia di una provincia cattolica o mistica ove il sacro e il profano sono sepolti dentro l'ar-. chivio del tempo ( ... ). È da questo assunto di partenza che si può cercare il percorso di una vicenda critica, che si muove obliquamente e su centri neurotrasmettitori (proteici direbbero gli scienziati) delle emozioni, su un concetto di cono-· scenza che è soprattutto reminiscenza( ... ). Ma l'arte, che è 'percezione' del sogno, può ormai percepire e attualizzare la storia, nel momento in cui essa si riconfonde con la natura e con il mito. L'archetipo tende così a storicizzarsi, ma la storia diventa essa stessa archetipo» . A nche la critica _sirifugia nel passato e non nesce a tornare nel presente: Tomassoni, Vescovo, Calvesi (Calvesi, Tomassoni, Vescovo) se ne stanno dentro la cornice in compagnia di Piruca e Di Stasio, di Ongaro e Galliani, l'ultimo acquisto. Tutti ricordano la condizione di Ralph, con questa differenza, tuttavia, che i nostri artisti e critici non sembrano avvertire nessuna angoscia, non si sentono orribilmente dislocati, giacché non si accorgono nemmeno di non vivere più il presente. Qualcuno, però, di questi artisti appare più disincantato e scaltrito, in quanto vive la cornice come soglia, attraversamento e passaggio di andata e ritorno: si tratta di pittori colti, nel senso indicato da Italo Mussa, più che anacronisti. Sembrano coprire la stessa area, e in qualche punto si incontrano e sovrappongono, ma rimane tra loro una differenza sensibile: nella pittura colta c'è la consapevolezza mentale della distanza e dello scollamento - l'artista, cioè, adopera le immagini del passato con una certa freddezza intellettuale e con quella che chiamerei una memoria analitica. Penso in particolare a C.M. Mariani, che vedo molto a disagio in ••compagnia degli anacronisti e che considero piuttosto un erede di Paolini. E proprio su questo punto Argan, leggendo l'opera di Mariani, ha dato a tutti una ennesima lezione di lucidità critica. Nella definizione teorica dell'anacronismo, invece, si avverte il vagheggiamento di un'arte come pura essenza, permanenza, immutabilità, tutte cose che ricordano le teorizzazioni di Novecento e dei ritorni alla tradizione contro le novità delle avanguardie. L'arte come storia dell'arte non si identifica, comunque, con la situazione anacronista, ma rappresenta un vero e proprio leitmotiv delle esperienze artistiche degli anni sessanta e settanta; cosa che la critica ha da tempo posto in chiaro distinguendo almeno tre momenti diversi: negli anni sessanta l'artista attinge al repertorio della tradizione con una sorta di atteggiamento cleptomane che si traduce in una prensilità diffusa, disseminata in contesti diversi, compresi tra i dati della più banale e corrente quotidianità e la tradizione «alta» della storia dell'arte. Si tratta di un atteggiamento riflesso, colto, sofisticato e ironico, che gioca sulla continuità dell'esperienza artistica e considera la tradizione come una eredità produttiva, una riserva di materiali e di strumenti linguistici da prelevare liberamente con i procedimenti della citazione e della contaminazione. Ma sempre dal punto di vista della comunicazione sociale di mas.sa. Filiberto Menna L'arte alla «seconda mano» degli anni settanta appare invece più fortemente marcata da un atteggiamento analitico, autoriflessivo, per cui la pratica artistica si presenta essenzialmente come investigazione linguistica. In entrambe le situazioni ciò che caratterizza i procedimenti di prelievo e di citazione dal passato è la consapevolezza dello scollamento e della dist.anza, giocata ora sul piano della parodia ora su quello dell'analisi. Dalla nostra distanza possiamo rileggere questo atteggiamento distanziante anche come una pratica della negazione della influenza che il passato esercita sul presente e della angoscia che ne deriva, secondo i modi indicati dal critico americano Harold Bloom. La tesi è nota: l'artista, soprattutto se è un grande artista, opera sempre con un sentimento di angoscia nei confronti dei propri modelli, dei propri padri poetici. E la sua opera è tanto più significativa quanto più riconosce e nega, al tempo stesso, questo rapporto. Mi viene in mente Apollinaire: «Non si può portare dovunque con sé il Giuseppe Conte cadavere del proprio padre. Lo si abbandona in compagnia d'altri morti. Ma, dal suolo che racchiude i morti, i nostri piedi non si staccano che invano». Per questa ragione l'antistoricismo che molti teorici postmoderni imputano alle avanguardie non è rifiuto del passato, della verità storica (per dirla con Freud) disseppellita «dalla rimozione di epoche antichissime e dimenticate», ma - questo sì - rifiuto dello storicismo che chiude la storia nel museo. Ef la situazione degli anacronisti, ,appunto. Ma non di essi soltanto. In questo si può ritrovare forse il limite di fondo anche. di altre esperienze artistiche recenti, e penso in particolare alla Transavanguardia considerata sia nella sua definizione propria, fornitaci da Bonito Oliva, sia come termine di riferimento paradigmatico di una più diffusa e articolata rete di pratiche artistiche. Per queste''Cleclinazioni dell'arte il discorso si fa necessariamente più problematico e aperto: intanto gli artisti della Transavanguardia appaiono sorretti da una più acuta consapevolezza linguistica e il loro gioco di citazioni, contaminazioni, e simili, è condotto con maggiore sofisticazione intellettuale. Riprendendo il paragone con il protagonista del romanzo di James, si può dire che questi artisti sanno che.il loro tuffo nel passato è «un'escursione e nulla più», e danno l'impressione di conoscere il funzionamento della «molla» o dell' «arresto» o della «parola d'ordine o incantesimo» in grado di ricondurli all'oggi. Riletta alla distanza degli anni che ci separano dalla sua apparizione, la Transavanguardia assume pertanto un significato e un valore più certi, più tipici e caratterizzanti della condizione presente. In definitiva, non si può non riconoscere a questi artisti di aver immesso nel circuito espressivo una carica di energia nuova di cui tutti si sono giovati, anche i più anziani. Ciò che trovo mancante, tuttavia, in questi artisti è un pur minimo senso di allarme che la facilità stessa delle loro escursioni nel passato dovrebbe pur suscitare. Essi mi appaiono cioè troppo felici e paghi di poter dipingere tutto e in tutte le maniere: un'idea, questa sì, criticamente ingenua, indebitamente estrapolata, forse, dal paradosso lyotardiano secondo cui «si può leggere tutto e in tutte le maniere». Certo, essi sanno come ritornare dal passato, ma il loro presente somiglia troppo a un giardino incantato dove basta stendere la mano per divertirsi, senza fatica, con i reperti della storia dell'arte bellamente allineati come i fiori nelle aiuole o le opere nelle vetrine di un museo. Eppure il presente può essere vissuto con maggiore consapevolezza critica e con più incandescenza. Ricordo l'impressione profonda suscitata in molti di noi, agli inizi degli anni sessanta, dal realismo spregiudicato degli artisti new-dada e pop, soprattutto se confrontato con le situazioni intermedie e eclettiche della cosiddetta. nuova figurazione. Difficilmente l'esperienza artistica si sviluppa rigogliosa sul terreno delle mediazioni. Essa predilige decisamente le posizioni estreme, radicali, come accade oggi con le esperienze dei graffitisti americani che -1' Alinovi aveva ragione - hanno messo a soqquadro, con la loro incandescente energia, il museo dei citazionisti e il cimitero monvmentale degli anacronisti. Ma il presente può essere vissuto senza una intenzionalità in qualche modo aperta sul futuro? E se questo non è possibile, se non si vuole considerare paradigmatica la condizione totalmente schiacciata sul presente propria della schizofrenia, in quali termini una simile intenzionalità si può esprimere, oggi, nelle pratiche dell'arte? Come si fa a parlare oggi di una sia pur minima intenzionalità progettuale e costruttiva quando tutto sembra convergere sull'improvviso e sullo spontaneo, su una soggettività decentrata, dislocata nei più diversi punti della fitta rete di relazioni che costituisce il sociale - quando i termini di riferimento dominanti sono la disseminazione, il nomadismo, l'effimero? P ersonalmente (e ciascuno si porta appresso fantasmi e desideri) mi interrogo sulle condizioni di possibilità di pratiche artistiche che non abbiano del tutto abbandonato una intenzionalità costruttiva. Per questa ragione, forse, mi ostino a seguire i percorsi degli artisti entrati in scena tra la fine degli anni sessanta e i primi degli anni settanta, a cogliere in essi il senso di una continuità che non si identifica necessariamente con una astratta coerenza e tuttavia rifiuta le mode e gli aggiornamenti opportunistici. Ma, per una ragione non diversa, mi sono particolarmente interessato in questi ultimi tempi alle vicende della scultura in cui quella intenzionalità di costruzione sembra più radicata. E intorno a queste vicende mi accingo a costruire un discorso critico in occasione del Premio Termoli '84, che sarà dedicato appunto a una ricognizione degli orientamenti recenti della scultura in Italia. Ma mi sembra necessario insistere ulteriormente sui nuclei teorici in cui si condensano le idee intorno ai concetti di progettualità e costruttività, da me riproposti nel 1982 per una mostra realizzata a Aosta proprio sul tema della Costruttività. Evidentemente, la questione non può essere posta nei termini di un progetto 'forte' che implica, a sua volta, la presenza di una sovranità del soggetto, un soggetto pieno, garantito da una razionalità sicura di reggere l'urto del reale incanalandone i percorsi entro argini certi. Oggi, se ancora possiamo parlare di soggetto, la pronunzia non insiste più sulla pienezza e sulla centralità ma, semmai, su equilibri provvisori, precari, di volta in volta raggiunti (e continuamente perduti), tra sollecitazioni opposte, interne e esterne, tra infrastruttura fantasmatica e durezza oggettiva del reale, tra onnipotenza del desiderio e onnipotenza delle istituzioni. Ma non possiamo nemmeno abbandonare una delle due polarità a esclusivo favore dell'altra: se la razionalità forte si sentiva troppo garantita nell'affrontare le accidentalità del reale, la soggettività decentrata di cui parlano i teorici postmoderni sembra attestarsi, forse con eccessiva soddisfazione, in un'area diffusa e sfumata, priva di emergenze e strutture. Muovendo da queste premesse è forse possibile delineare, sia pure in maniera sfumata, il configurarsi di procedimenti operativi segnati da una intenzionalità costruttiva: gli artisti sanno di agire in . ambiti settoriali, non di rado marginali rispetto alle correnti dominanti della informazione generalizzata, e non di meno non rinunciano a pensare e a realizzare una forma che abbia anzitutto un valore per sé, non commisurata cioè alle aspettative del consumatore e alle attese emergenti del mercato. I procedimenti nascono e si sviluppano secondo una coerenza interna, in cui il momento sintattico, della relazione dei segni tra loro, è sempre marcato e determinante. Ma si tratta di una sintassi (e a questo punto si inserisce, in particolare, il mio discorso sulla scultura d'oggi) che sfugge al rigorismo progettuale per compromettersi con una complessità di fattura che fa i conti con la manualità e le materie. Il dato finale non è predeterminato, non è consegnato tutto a un'idea e da questa dedotto con una operazione di semplice inferenza, come nella proposizioni specificamente analitiche, ma si presenta come un esito contaminato, eterodosso, imprevedibile rispetto alle stesse premesse progettuali e alla purezza astratta del metodo. In questa relazione aperta, che si instaura tra esigenza costruttiva e campo indeterminato di possibilità esplicative, arte e critica si riconoscono solidali.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==