e Q ual è il senso di quella settimana cominciata con la notizia della morte di Berlinguer, la mattina di lunedì 11 giugno, e terminata nella notte di do-. menica 17 con la notizia che il Pci ormai contendeva alla Dc la posizione di primo partito italiano? Se lo chiedono molti in questi giorni di fine giugno e si cercano risposte da diverse parti: dalla Sardegna, dove il 24 si tengono le elezioni regionali; da Botteghe Oscure, dove si sta decidendo chi sarà il successore di Berlinguer; dalla cosiddetta «verifica» tra i partiti di governo, dove è in gioco la sorte del ministero Craxi, almeno a breve termine. Chi ci legge già conoscerà le risposte a tali domande. Tuttavia è probabile che attendendo verifiche, congetturando e confutando, la domanda sul significato e sulle conseguenze di quella settimana si riproporrà ancora per diverso tempo. Abbiamo perciò radunato in pochi e brevi capitoli una piccola parte della grande quantità di materiali prodotti da quegli eventi, secondo ·prospettive che ognuno potrà confrontare con quelle depositate nella propria memoria. Prima e dopo L'inizio di giugno aveva visto svilupparsi, all'interno stesso della maggioranza di governo, uno scontro di rara violenza attorno ai massimi «misteri» d'Italia: P2, caso Moro e altro ancora. A detta di alcuni dei protagonisti, il sistema politico italiano era apparso sull'orlo di un collasso, di un bellum omnium contra omnes. Non solo una crisi di governo era sembrata Giornale dei Giornali er111az1onc0e111un1s lndex-Archivio Critico de~'Informazione. più volte inevitabile, ma alcuni (e tra loro lo stesso Berlinguer) giungevano a esprimere timori per la stabilità delle istituzioni. Pochi titoli di quei giorni basteranno a rievocare la situazione. Andreotti sotto accusa / Formica: 'Dai nemici di Moro la trama della P2' / E Piccoli replica: 'È un'azione destabilizzante' titolava La Repubblica del 6 giugno; e Il Giornale, lo stesso giorno, P2:·esplode la bomba Formica / vero e proprio 'avvertimento' contro la Dc e contro Andreotti. Il Giorno del 7 titolava a tutta pagina La Dc al Psi: «Sconfessate Formica~ e La Stampa apriva con un secco Governo in pericolo. In questo clima di avvertimenti e di ultimatum, tale da far sembrare imminente un ricorso generalizzato al deterrente di verità e di Davide Mosconi menzogne che i «misteri» italiani hanno stratificato nel sottosuolo del gioco politico, precipitava la notizia che il segretario comunista era in coma in un ospedale padovano. Basta un'occhiata ai quotidiani dei giorni seguenti per constatare il placarsi della tempesta politica, la rottura di una tensione e l'~scesa di una tensione di tipo diverso. La stessa campagna elettorale entrava in letargo per uscirne solo all'indomani dei funerali di Berlinguer, giovedì 14, vale a dire il giorno prima della sua chiusura ufficiale. Il contrasto tra il clima precedente 1'8giugno e quello dei giorni successivi è netto, palpabile, comunque lo si voglia interpretare. All'indomani del risultato elettorale permane qualcosa di rarefatto; non si poteva immaginare un contesto meno traumatico per l'affermazione elettorale comunista. La Borsa indifferente al sorpasso elettorale si leggeva sulla Stampa di martedì 19 giugno: dopo una modesta flessione, quello stesso martedì, l'indice azionario riprendeva a salire. È la quiete dopo la tempesta o la quiete prima della tempesta? Simboli Ogni serie di eventi che abbia avuto un contatto vasto e profondo con la memoria collettiva lascia dietro a sé un piccolo insieme di immagini e di parole destinate a durare più a lungo delle altre. Si potrebbero dire, semplicemente, i • simboli di quegli avvenimenti. Può essere utile tentare un inventario. In un articolo il cui titolo riprende uno dei temi che hanno fatto più discutere, I mass-media e la morte di Berlinguer (Corriere della Sera del 16 giugno), Luca Goldoni ha scritto: «Osservando le foto di Berlinguer - gli occhi ormai vitrei nel mortale pallore del volto - penso che diventeranno storiche, come la celebre istantanea di Robert Capa ... È da quelle fotografie di Berlinguer che comincia la grande emozione popolare che si acuirà nei giorni successivi, durante l'agonia seguita attraverso la Tv». Accanto alle immagini, alle registrazioni dell'ultimo comizio di Berlinguer (particolarmente drammatica la frase pronunciata prima del malore e ripetuta più volte dai telegiornali: «Guardate l'ironia - il decreto passa e il governo cade»), bisognerà porre alUnasentenzadacancellare Q uesto numero di Alfabeta esce a circa un mese di distanza dalla sentenza per il processo « 7 aprile». Ciò nonostante, teniamo anzitutto a rallegrarci, a esprimere la nostra gioia per l'assoluzione di uno degli ideatori del nostro giornale culturale, e suo condirettore, Nanni Balestrini. Diciamo subito che ci auguriamo che anche l'insufficienza di prove venga cancellatada una sentenza successiva che trasformi tale ambigua e ingiusta dicitura in un lampante «per non aver commesso il fatto» e che riconosca l'operato di Balestrini come intellettuale e poeta. Ma perché questo accada occorre, oltre a una più esatta valutazione dei fatti, per Balestrini e per molti altri, un orientamento politico generale decisamente diverso e nuovo rispetto a quello che ci ha accompagnati durante questi cinque anni di resistenza e attesa, anni in cui è nettamente prevalso l'indirizzo della estesa criminalizzazione del '68 e dei movimenti degli anni settanta. Stiamo, come tutti, attendendo il dispositivo della sentenza per capire un po' meglio come è stato rifmito questo «mostro» giuridico del «7 aprile» (e già ora non comprendiamo affatto l'esultanza di un Calogero che ha proclamato: «io avevo ragione», quando tutto il processo gli ha dato palesemente torto). Leggiamo, per esempio, talune osservazioni di Guido Neppi Modona (su La Repubblica, 13 giugno /984) che sottolineano in tutta tranquillità gli «aspetti abnormi di questa vicenda giudiziaria», e avanzano un dubbio significativo, chiedendosi «se i giudici di Roma hanno creato una nuova specificafigura di banda armata per gli imputati del '7 aprile', di cui ancora non si conosce il nome». «Perché» conclude Neppi Modona «in questo caso non potremo far altro che richiamarci alle garanzie del nostro sistema processuale che conosce l'appello ed il ricorsoper Cassazione per porre rimedio agli eventuali errori dei giudici di primo grado». Leggiamo ciò con forte amarezza e un'inquietudine che si rinnova . e aumenta, perché queste affermazioni, come altre, arrivano dopo cinque anni di carcerazione preventiva, anni indegni di un sistema che continua a proclamarsi istituzionalmente democratico. Se torniamo per un istante a un caso tra i più fortunati, pur nella durezza dell'esilio, appunto quello di Baiestrini, possiamo osservare come la sua vicenda ne chiariscamolte altre consimili. Partito da un'imputazione di /9 omicidi, tra cui quella di strage (l'assassinio di Aldo Moro e della sua scorta), le cosiddette prove a suo carico sono man mano impallidite fino a diventare grottesche e dover essere dichiarate «insufficienti» dai giudici romani. Infatti, il crollo del pilastro fondamentale del cosiddetto «teorema» Calogero, il delitto Moro, non ha cancellato la rete che vi era stata appesa, tessuta da imputazioni immaginarie, sempre meno gravi, e comunque sempre senza prove reali, ma egualmente gravide di anni di carcere, come abbiamo constatato. Fatti abnormi che saltano agli occhi di tutti. E allora? Il «mostro» nato dalle rovine del «teorema» calogeriano, dall'invenzione dell'insurrezione armata contro lo Stato (che ha fatto portare il processo a Roma, lontano dalla sua sede naturale, Padova) e infine inquinato nella sentenza dal sospetto finale di una nuova e autonoma definizione della figura giuridica di banda armata, ora deve essere distrutto, mentre questa sentenza tenta ancora disperatamente di tenerlo in vita, nonostante risulti mutilato fino al punto da diventare irriconoscibile, dunque ancora più mostruoso. Questo incubo va cancellato da una volontà politica nuova di profondo rinnovamento delle istituzioni democratiche che ancora resistono. Uno Stato democratico non può reggersi sulla volontà di «sorvegliare e punire» che di per sé lo nega, come si autonega e autodistrugge nel momento stesso in cui punisce le opinioni, che deve invece salvaguardare, comprese quelle che ne teorizzano la distruzione. Perché la risposta di una democrazia è il suo stesso funzionamento secondo le regole e le leggi indivisibili delle libertà, in primis quella di avere e esprimere opinioni. Gli eventuali limiti di questa essenziale forma di libertà sono tracciati dai fatti e dai comportamenti, ma un democratico non può tollerare una repressione di tipo giudiziario che pre-giudica i fatti e criminalizza chiunque si opponga con la forza della passione e della logica al degrado della res pubblica. Questo il punto. Abbiamo letto anche lo scritto di Virginio Rognont, non direttamente riferito al « 7 aprile», pubblicato dal Corriere della Sera (/3 giugno 1984). Certo non si può che essere d'accordo su~'esigenza di una lettura non mediocre, non appiattente della nostra storia, dalla Resistenza in poi. Ma perché una lettura forte, e perfino nobile, sia possibile occorre togliere di mezzo i guardiani impropri, come il «mostro» del « 7 aprile», che sottolineano soltanto la debolezza della politica, la sua riduzione a corporazione privilegiata e onnipotente, affaristica e corrotta, come è ovvio che sia al di fuori dei principi democratici. Ci auguriamo dunque che si smetta di contrabbandare sotto la comoda etichetta di «terrorismo» tutto ciò che si vuole ridurre al silenzio. Nelle presenti condizioni, in questo Stato, il terrorismo diventa un bersaglio depistante per fare avanzare nell'ombra complotti come la P2. Le vicende di Toni Negri sono state senza dubbio sconcertanti, ma il loro peso si vanifica se lo confrontiamo con tutto quel che è successo negli ultimi dieci anni a livello di corruzione e di inquinamento, e perfino di utilizzo dello stesso cieco terrorismo. Difficile, ci sembra, negare queste evidenze. La direzione e la redazione· di Alfabeta
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