Alfabeta - anno VI - n. 62/63 - lug./ago. 1984

a chiave di lettura connessa a quella nozione artistica di materialità cui ci hanno abituato, per esempio, Duchamp e Cage, che sfuggendo ai dogmi di ogni storicizzazione monodirezionale legittima ugualmente più interpretazioni senza privilegiarne nessuna, ritorna utile alle nostre argomentazioni dove, volendo tentare un approccio critico alla poetica del compianto musicista americano di jazz Charles Mingus, si opera su spazi apparentemente settoriali del genere musicale. Mingus si pone storicamente all'interno dell'arco dell'evoluzione jazzistica in una linea di slittamento tra un jazz «moderno» (il bop) e uno «contemporaneo>> (il free), cogliendo di entrambi la comune essenza dell'improvvisazione come tecnica di esecuzione e di creazione. L'oggetto artistico che ne scaturisce si pone, qui particolarmente, come un centro - diciamo pure: tonale - sul quale convergono tutti i possibili percorsi di lettura, al pari dei modelli di improvvisazione-jazz nei quali il nucleo armonico del brano in esecuzione funziona da punto convergente delle melodie sviluppate da ogni singolo musicista che in qualsiasi momento vi partecipa: in tal modo la pratica tradizionale di questo oggetto diviene metafora della sua pratica estetica o, se vogliamo, critica. Questa immagine iniziale acquista però maggior vigore se la si consideri esorcizzando momentaneamente l'oggetto dai conflitti che l'hanno determinato sul piano storico e vagliando invece le logiche interne che ne hanno costituito lo scheletro sintattico, partendo dal fondamentale concetto di «struttura». Henry Laborit, in un'intervista pubblicata qualche anno fa', sottolineava l'importanza di analizzare i fenomeni come strutture e, in quanto tali, non in termini di elementi ma di relazioni. Laborit portava poi ad esemplificazione la scoperta della struttura spaziale del Dna, in forma di doppia elica, che Watson e Crick riuscirono a ricostruire negli anni cinquanta, dimostrando che pur conoscendo atomi e molecole era necessario capire come questi si organizzassero tra loro per giungere all'indispensabile ruolo, giocato appunto dal Dna, nel processo di informazione genetica. Pare ora riflettersi nell'impostazione metodologica mingusiana una scala creativa di questo tipo; e le connotazioni teoriche di quelle fasi compositive che potremmo senza difficoltà ridurre nominalmente a unità componenti, prima, ~ e combinazioni di esse, poi (e cioè ::s a elementi e relazioni di una strut- .5 C!() ::s ~ tura, in questo caso la composizione), consentono di porre in evi- ~ denza suggestive chiarificazioni --.. ideologiche. .9 c5 ~ .9 } n primo luogo sono le unità come valori indipendenti ricollegabili simbolicamente a bisogni istintivi e catartici del fruitore ~ e/o del compositore: «Tempo per- ~ fetto o tempo sincopato, è quando si un rubinetto gocciola da una rong della che perde. Sono più che sicu- -g ro che una memoria infantile può - ::s ricordare quanto tempo era l'in- - rles Renato Candia 1ngus tervallo fra ogni collisione della goccia e il suo schianto dentro il lavandino disordinato, in una tazza di caffè piena, con lo sporco di vecchia crema ancora attaccata sull'orlo, un lavandino così rugginoso che il padrone ha rinunciato all'idea che l'uomo della manutenzione cambiasse il ritmo del r~binetto gocciolante, cambiando la rondella marcia prima che il tempo finisca»1 . L'intervallo di tempo, momento-chiave della pulsione ritmica, diviene unità fondante non ancora combinata logicamente in legami sintattici e fornita semanticamente di un suo idioletto culturale. Come tale, offre maggiori aperture alle possibilità espressive (sul piano dell'oggettìvazione materiale dell'opera) e un notevole allargamento potenziale dell'asse sintagmatico (cioè dell'insieme delle combinazioni possibili). Gli agenti magnetizzanti che sviluppano, in uno stato successivo, l'amalgama delle componenti unitarie rispondono anch'essi a formulazioni teoriche di singolare natura: si veda in proposito l'idea, espressa da Mingus in più occasioni, di «rotary perception» in cui il flusso ritmico-melodico viene associato, dinamicamente, all'immagine di un cerchio all'interno del quale ognuno dei musicisti ha la sensazione di avere più spazio. È innegabile l'ampia considerazione riservata qui alla partecipazione emotiva dell'esecutore, masecondo una riflessione più accurata - balza evidente l'intenzione Giuliano Zosi polemica che mira a disabituare gli ascoltatori a rigide scansioni metronimiche che fissino le scadenze tematiche dell'improvvisazione strumentale, a vantaggio di una riconsiderazione della concettualità ritmica che sostenga maggiormente le qualità tecnico-creative dell'esecuzione. L'oggetto musicale, per Mingus, non, possiede una determinazione temporale esterna, è provvisorio, è una struttura «aperta» nel senso specifico del termine, priva cioè di qualsiasi stabilizzazione omeostatica - ed è tutto queJto che consente a Mingus di parlare"{fr·~mental score paper» e di «framework», come mezzi della sua razionalizzaAmari/lo zione progettuale. Il fatto di non offrire agli esecutori una partitura oggettivamente completa (che tale non è nemmeno nel disegno «mentale» del compositore) salvaguardando, in generale, la potenzialità della creazione artistica nel suo svolgersi, ma di mantenere comunque una personalità o meglio un gusto particolare che legittimi, anche solo geneticamente, i valori propri dell'iovenzione (attraverso un'intelaiatura che funziona da semplice traccia per le melodie arricchitrici dei musicisti che suoneranno quel brano), non fa che rimarcare la processualità della realizzazione poetica mingusiana, esplicantesi in un dinamismo de-strutturante, ma non a-strutturante. Con l'uso subito accantonato dell' «a» privativo a favore di una negazione solo parziale del medesimo concetto, si intende sottolineare la consapevolezza dell'autore di operare per manipolazione e non per rifiuto con gli oggetti della sua arte. Non appare superfluo accennare alla riscrittura melodica operata sull'armonia di celebri temi quali l'ellingtoniano Take the A-Train o le notissime What is this thing cal/ed love (di Cole Porter) e Ali the things you are ( di J. KernO_.Hammerstein), liberamente rivedute rispettivamente nelle sue G.G. Train, What love e Ali the things you could be by now if Sigmund Freud's wife was your mot- ' her. 11 musicista di jazz, è noto, dopo aver eseguito con il suo strumento il motivo centrale del brano che presenta al proprio pubblico, improvvisa mantenendo come riferimento il tessuto armonico di quel brano che nel frattempo i suoi accompagnatori continueranno a suonare: la struttura rimane quindi inalterata e l'originalità è riposta nella sensibilità e nella cultura «tecnica» del solista. Per Mingus, invece, tutto ciò avviene in fase di composizione, cioè prima dell'esecuzione, e quindi sensibilità e cultura, al di là di un semplice meccanismo di citazione (che diviene, a volte, anche autocitazione: vedi Peggy's blues skylight e Music for Todo Modo), funzionano con peculiarità diverse all'interno delle sue ragioni artistiche: non più virtualmente (come nel musicista per cui l'esecuzione di quel brano non sarà mai uguale alla precedente) ma teoricamente, fondando così la logica comportamentale dei moduli compositivi. Ecco che allora il crogiuolo della manipolazione si adden~a di nuovi sapori nella concett1,ialità della «extended form» e, ancor meglio, in quella di «pedale»: «note sostenute sotto un'armonia che· cambia, ma sopra queste note si possono cambiare le tonalità in modo da avere ogni genere di effetti»'. È un evidente rovesciamento di posizioni: non più il ricamo melodico che appoggia il suo bisogno di regolarità al tessuto armonico, ma la reiterazione della frase melodica fissa che sostiene le variazioni dell'armonia. Difficile giudicare in modo staccato le sensazioni che lasciano all'ascolto i risultati di un così complesso puzzle intenzionale, ma il ricordo dei quattro movimenti della suite Pithecanthropus erectus (1956) ci può aiutare in proposito rimandando alla voluta simbologia delle tappe percorse dall'uomo, dalla condizione animalesca a quella di essere pensante e eretto: una rappresentazione d'artista senza dubbio suggestiva, quadro apparente di un'immanenza continuamente rincorsa (come testimonia una contorta autobiografia) e non sempre desiderata ma, forse per questo, più profonda e eloquente. Note (l) H. Laborit, Discours sans méthode, Paris, Stock, 1978; trad. it. di E. Franchetti, Intervista sulle strullure della vita, Bari, Laterza, 1979. (2) Note di copertina da Ch. Mingus, The Black Saint and the Sinner Lady, lmpulse Imp 428, 1963. (3) Note di copertina da Ch. Mingus, Mingus ah-um, Columbia CS8171, 1959. (4) Ch. Mingus, Beneath the underdog, New York, Knopf, 1971; trad. it. di S. Torossi, Peggio di un bastardo, Milano, Il formichiere, 1979. '

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