etti Silvano Petrosino Jacques Derrida e la legge del possibile Napoli, Guida, 1983 pp. 165, lire 16.000 Jonathan Culler On Deconstruction Ithaca, Cornell U.P., 1982 pp. 307, s.i.p. Q uasi vent'anni fa, con De la grammatologie (Paris, Ed. de Minuit, 1967), Jacques Derrida tracciava a grandi linee il progetto di una decostruzione del pensiero filosofico: una _lettura della tradizione occidentale (quella che, per Heidegger, va sotto il nome di onto-teologia) condotta sulla base della nozione di écriture; nel progçtto di Derrida si trattava cioè di considerare la tradizione filosofica non come un corpus attuale e potenzialmente vivo, ma come un insieme di tracce scritte, di testi tramandati, opachi e non necessariamente permeabili alla nostra interpretazione. In questo proposito emergevano varie influenze e abitudini culturali: la riflessione heideggeriana sulla storia della metafisica e sulla differenza ontologica (per cui, ar- . gomentava Derrida, la differenza • non risiede nella parola, bensì nella scrittura come traccia di una voce assente, di una tradizione lontana); l'interesse strutturalistico per una fenomenologia delle forme simboliche non pregiudicata da presupposti storiografici (considerare la 'filosofia occidentale' come un deposito di testi consente una analisi sincronica, e permette accostamenti simili a quelli effettuati da Lévi-Strauss su miti geograficamente e storicamente remotissimi gli uni dagli altri); finalmente, in questa ricerca, al tempo stesso, di un rapporto con la tradizione che ci ha preceduto (l'archivio filosofico, i testi) e di una prospettiva nuova con cui guardarli, cioè di una certa nai"veté filosofica, riappare un aspetto importante della fenomenologia husserliana, la matrice culturale forse più influente nella formazione di Derrida. Anche con il favore di uno stile caratteristico, e senza precedenti nella tradizione filosofica francese, il progetto grammatologico ha incontrato un largo seguito, a più livelli e in diverse aree culturali, (esponendosi anche a usi eclettici, a travisamenti o a revisioni). Di questi esiti si discuterà in un convegno, a Urbino, nell'ambito delle attività del Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica (Decostruzione: teoria e pratica, 23-27 luglio).. Ma prendiamo ora, come esempio, due testi tra i moltissimi a disposizione: il libro di Silvano Petrosino Jacques Derrida e la legge del possibile, uscito l'anno scorso; e On Deconstruction, di Jonathan Culler, di due anni fa. Si tratta di due lavori sorprendentemente diversi, al punto che è difficile immaginarli ispirati a uno stesso autore. Petrosino insiste sulla portata filosofica della riflessione derridiana, ne ricostruisce le fonti, ne registra gli esiti, e concl_usivamenteinterpreta la decostruzione come apertura di nuove possibilità a partire da una destrutturazione della traditio filosofica. Viene esclusa - in modo forse legittimo sul piano metodico ma piuttosto sbrigativo - quella che Petrosino definisce come· 'scolastica derridiana', e cioè la fortuna del decostruzionismo in campo extrafilosofico (letteratura, scienze umane), e in aree culturali diverse da quella francese e italiana - che per altro si sono rivelate piuttosto refrattarie alla penetrazione del pensiero di Derrida, a differenza di quanto è avvenuto in Germania e, soprattutto, negli Stati uniti. Del tutto diversa è la posizione di Culler, che è programmaticamente una registrazione dell'impatto del decostruzionismo sulle scienze umane, e in particolare sulla teoria della letteratura, in area anglosassone. Una fenomenologia straordinariamente ricca, anche se talvolta macchinosa: la filosofia di Derrida è vista da Culler come una ridefinizione del concetto di letteratura, come una fonte di temi, come un esempio di strategie di lettura, e come un repertorio di suggestioni circa la natura e gli scopi della ricerca critica. Quasi l'opposto della prospettiva di Petrosino, e comunque una visione molto eterogenea. e hi ha ragione? L'interrogativo è tanto più rilevante in quanto sia Petrosino che Culler non compiono deliberati travisamenti del pensiero di Derrida, ma anzi sono molto attenti alla lettera dei suoi testi. Sicuramente, l'estensione del decostruzionismo a campi piuttosto lontani da quelli originari (come è avvenuto negli Stati uniti) riflette certe peculiarità anche istituzionali della organizzazione dell'insegnamento della filosofia e delle ripartizioni disciplinari nei paesi anglosassoni rispetto alle consuetudini 'continentali' della Francia e dell'Italia. L'uso del decostruzionismo negli Stati uniti, infatti, rappresenta una reazione importante e un po' scomposta alla specializzazione della ricerca filosofica nella filosofia analitica, per cui, da una parte, filosofi come Nietzsche e Kierkegaard sono studiat_i nei dipartimenti di letteratura, e dall'altra gli usi argomentativi della Linguistic Aqglysis banno finito per diventare]-"u' n gergo obbligatorio per chiunque pretenda di fare filosofia. Così, come ha scritto Richard Rorty in The Philosophy and the Mirror of Nature (Princeton, Princeton U.P., 1980), il ricorso al decostruzionismo - e, in maniera - ecostruz1one Maurizio Ferraris FrancoBattiato eclettica, alle ricerche genealogiche di Foucault, alle teorie della écriture di Barthes, e in genere al cosiddetto post-strutturalismo - ha rappresentato una via per reintrodurre il saggismo, la filosofia pratica e, paradossalmente, la filosofia della storia, in una tradizione che da qualche tempo li aveva esclusi dal dibattito propriamente filosofico. Si potrebbe anche aggiungere, pretare la generalizzazione del decostruzionismo come un errore collettivo. C'è anzi nella deconstruction americana qualcosa che porta a compimento - nel bene e nel male - il progetto di Derrida. Come sostiene Petrosino, l'idea della decostruzione è inseparabile da una certa contaminazione della filosofia con il suo 'altro' (scienze umane e letteratura); l'intertestualità non esiste solo all'origine, cioè nelle varie letture fatte da Derrida su temi che vanno dalla✓etnologia alla psicoanalisi alla filosofia di Hegel e di Rousseau, alla semiotica e alla linguistica - ma con ogni probabilità lavora anche negli effetti, cioè nella creazione di nuovi incroci disciplinari, nella istituzione di campi applicativi diversi. E su questo punto gli americani si sono dimostrati molto più attivi degli europei. S e si vuole deporre per un momento qualche pregiudizio sugli americani, sulla loro ingenuità e sul loro eclettismo postmoderno, si può forse trovare nel decostruzionismo una 'pretesa di universalità' molto vicina a quella dell'ermeneutica. Lo ha sottolineato ancora Rorty, in un paio di saggi raccolti nel suo libro più recente, Consequences of Pragmatism (Minneapolis, University of Minnesota Press, per quanto riguarda il settore spe- 1982): in alternativa a una lignée cifico della critica letteraria, che filosofica 'kantiana', incarnata dall'adozione del decostruzionismo e la Linguistic Analysis, che-conserdel romanticismo che implicita- va un approccio epistemologico mente esso presuppone, è servita nei modi e nelle finalità, si può come reazione al classicismo tema- ravvisare nella filosofia dopo Kant tico e metodico propugnato daJ.-- una lignée hegeliana (nel senso che New Criticism: E ora sotto il nome la sua data di nascita corrisponde di decostruzionismo (o terminolo::..---pressappoco alla pubblicazione gie affini) si trovano ricerche lette- della Fenomenologia): e su questa rarie come quelle dei cosiddetti seconda via si allineano filosofi coYale Critics, storico-sociologiche me Nietzsche, Heidegger, Gada- (Dreyfus e Rabinow, Said), e an- mere Derrida. . che psicoanalitiche, politiche, et- Jn. effetti, le analogié tra deconologiche... struzionismo e ermeneutica sono È la cosiddetta 'domestication moltò-più numerose delle differenof Derrida', che spesso consiste ze che contrappongono singoli sempliéemente nella adozione di pensatori o scuole particolari; nelcerte ter!Jlinologie o in ibridazioni l'ermeneutica come nel decostrucontraddittorie (Derrida con Fou- zionismo, la funzione della filosocault e Gramsci), che parrebbe - fia perde qualità epistemologiche dar ragione al sospetto con cui Pe- ma assume funzioni eminentementrosino guardal'f.lUa'scolastica der- te pratico-retoriche, di lavoro solla ridiana'. Del resto, non è il solo; tradizione, gioco con il linguaggio, diaspore e scomuniche sono all'or- organizzazione delle idee ricevute, dine del giorno nel deconstructio- cioè, in breve, collegamento fra nism americano. tradizione filosofica e scienze Ma, d'altra parte, è arduo inter- umane. Il fatto che l'ermeneutica sia una disciplina diacronica e il decostruzionismo sia sincronico, che la prima discenda propriamente dall'idealismo e il secondo piuttosto dal positivismo, è relativamente secondario, e si può facilmente ricondurre ai contesti entro cui sono nate queste due variazioni della lignée hegeliana. Volendo, anzi, la stessa insistenza del decostruzionismo sulla écriture rappresenta la variazione puntuale di un sentiero interrotto dell'ermeneµtica; Peter Szondi, nella sua Introduzione ali'ermeneutica letteraria (Panna, Pratiche, 1979), osserva che solo la insoddisfazione di Schleiennacher per la «solitaria considerazione di uno scritto» ha portato l'ermeneutica verso le direzioni della filosofia della vita e dello storicismo - mentre la tradizione di origine mallarmeana che si incarna in Barthes, in Genette, e soprattutto in Derrida, riprende la questione della écriture con una notevole consonanza con l'ermeneutica pre-schleiermacheriana. L'ermeneutica e il deoostruzionismo fondano quindi legittimamente le loro pretese di universalità proprio in base alla natura tradizionale-universale del loro oggetto - linguaggio, testi, documenti, monumenti. Una yolta che abbia rinunciato alle proprie ambizioni epistemologiche, la filosofia non può che presentarsi come una ibridazione tra aspetti diversi delle scienze dello spirito. E in questa intersezione si può anche intravvedere il senso pratico delle considerazioni, comuni all'ermeneutica e al decostruzionismo, intorno alla 'fine della filosofia' (oltrepassamento della metafisica, pensiero nell'età della scienza, ecc.). Rorty sostiene che la lignée hegeliana è parassitaria rispetto a quella kantiana, e che senza una 'tradizione metafisica· da superare il decostruttore non avrebbe lavoro; si può forse dire di più, e cioè che ermeneutica e decostruzione sarebbero sterjli se non potessero esercitare una funzione critico-terapeutica nei confronti delle scienze umane e della loro naturale tendenza a irrigidirsi in metodiche positive. Ora, in entrambi i casi assistiamo nei fatti a quella che potremmo chiamare •morte della filosofia': priva di funzione epistemologica vera e propria, e addirittura parassitaria rispetto alla filosofia 'kantiana', la filosofia 'hegeliana' si trova ad assolvere una funzione sofistica e destrutturante, anche nei confronti delle scienze umane. Ma, d'altra parte, proprio in questa dimensione critico-terapeutica, eventualmente corredata da concessioni al piacere della scrittura o della narrazione extratecnica, la filosofia conserva una dimensione pratica e retorica di cui anche le scienze dello spirito, come già •qiielle della, natura, si sono spo- ~ gliate da~--tnpo. ~ Questo parassitismo metafiloso- -~ (3 fico è una chance importante per Cl. la filosofia, quando non voglia ca- 00 dere nella ingenuità di un 'balzo ~ fuori della filosofia', come quello ~ che caratterizzava, almeno un &i tempo, le scienze umane, cioè in ~ un oltrepassamento puro e sempli- ~ ce (e illusorio) della tradizione -2! metafisica; e quando non voglia ~ neppure coltivare il sogno incredi- ~ bile di un ritorno alla 'filosofia pu- t:: ra', in un mondo traboccante di ~ conoscenze vere e di informazioni ~ culturali. ~
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