Alfabeta - anno VI - n. 62/63 - lug./ago. 1984

-o g veste; ma il significato di questo atto è preparato dalla triplice· corrispondenza sul motivo «aprire»: aprire i segreti del linguaggio, aprire la camera, e aprire il corpo. Col rifiuto di parlare e il gesto di serrare le porte della propria camera, Fedra nega a Teseo l'accesso ai suoi più intimi segreti; ma proprio nell'alto di serrarequesti ingressidà vita a un discorso ambiguo che lo invita a dfsserrare le sue porte e a trovare i suoi segreti. Quando Fedra rompe il silenzio davanti a Teseo, non si lasciasfuggire subito il nome «Ippolito», laparola essenziale di questo discorso. Lo mette invece in fondo a una catena di significanti., da cui il nome stesso è eliso, sostituito dal più potente significante del desiderio, la spada. Quando dice a Teseo di essere stata violentata, lui risponde subito: «Quis, ede, nostri decoris eversor fuit?» (894). Segue uno scambio rapido di domande e risposte (895-902): Phaed. quem reris minime. Thes. quis sit audire expeto. Phaed. hic dicet ensis quem tumultu territus liquit stuprator civium accursum timens. Thes. quod facinus, heu me, cerno? quod monstrum intuor? regale parvis asperum signis ebur capulo refulget, generis Actaei decus. sed ipse, quonam evasit? Phaed. Hi trepidum fuga videre famuli concitum celeri pede. Cesare Greppi A questo punto del dramma, Seneca sposta /'-enfasidal .discorso verbale alla visione, dall'atto di sentireparole a quello di vedere oggetti. Ora la significazione non è tanto una funzione del discorso quanto delle immagini che le parole hanno evocato. La spada, ora visibile sulla scena, è il puntello concreto della mancanza di direzione o dell'obliquità della comunicazione in tutto il discorso di Fedra. Così, anche quando parla, essa parla con la faccia rivolta indietro e coperta: Quidnam ora maesta avertis et lacrimas genis subito coortas veste praetenta obtegis? (886f) È un gesto di pudicizia, certo, ma anche l'indicazione fisica di una qualità di copertura, si può dire, iner.entea questo punto a tutta la sua comunicazione. Ora è la spada, oggetto inanimato, non una lingua umana, a fare il discorso più importante del dramma (896f): «La spada dirà» (hic dicet ensis, 896). Questo parlare della spada prende il luogo del discorso fra padre e figlio ne/l'Ippolito coronato di Euripide (torse Seneca segue la perduta Ippolito velato, la prima versione di Euripide, ma questo problema molto discusso qui ·non ci interessa). La spada non prende solo il posto del dialogo parlato fra padre e figlio in Euripide; prende anche il posto della lettera, del messaggio scritto, della Fedra euripideo. In Euripide questa comunicazione scritta è il mezzo attraverso cui Fedra riesce a accusare Ippolito presso il padre. Nel perduto Ippolito velato Fedra lo accusava -personalmente. Doveva avere qualche prova, ma non sappiamo in che consistesse: forse (come indica un testo di Apollodoro) si serviva dell'evidenza della porta rotta (appunto a questo fine) della sua camera e delle sue chiome sconvolte. In ogni caso, quando fa parlare la spada, Seneca allude senza dubbio al motivo della lettera che troviamo nell'Ippolito superstite di Euripide. Lì Teseo legge la tavoletta e dice: «Grida, grida, questa tavoletta, cose indimenticabili» (877). In Seneca, Fedra dice: «La spada dirà» (hic dicet ensis, 896). In tutte e due, il parlare critico è trasferito a un oggetto inanimato. I «piccoli segni» (parva signa) sull'impugnatura presentano la spada stessa come una forma di scrittura: essa contiene un messaggio che Teseo deve «leggere» o decifrare. Nel dramma superstite di Euripide, la tavoletta ha come effetto di offrire a Ippolito l'occasione di essere presente in scena a subire la violenta accusa del padre. La tavoletta è anche un segno dell'assenza di Fedra, ormai morta e presente soltanto attraverso la scrittura che ha lasciato. Fedra è divenuta letteralmente una tracciascritta. In Seneca, Fedra è presente e porta la spada; ma questa è il segno dell'assenza di Ippolito, che l'ha abbandonata ed è fuggito con orrore alleparole e ai gesti di Fedra duecentocinquanta versiprima. In Euripide, la tavoletta può «parlare», grazie alle sue lettere, senza la voce di Fedra. Di fatto, la sua assenza, perché è morta, rende questo silenzioso parlare della lettera più potente di qualsiasi viva voce. In Seneca, l'assenza di Ippolito e la presenza di Fedra sono la condizione del parlare della spada. Questo motivo del parlare, del leggere e del silenzio può essere analizzato, dal punto di vista psicologico, come un modello per l'espressione problematica dell'inconscio nel linguaggio, di cui qui dirò solo qualche parola. Harold Bloom, dopo Jacques Lacan, ha suggerito la possibilità, da parte nostra, di vedere la psicoanalisi come una «scienza delle figure retoriche» (science of tropes)4. Ma si può anche rovesciare la sua formulazione e vedere negli spostamenti, nelle condensazioni, nella mancanza di direzione dellefigure retoriche, tutte caratteristiche della tragedia di Seneca, una specie di linguaggio dell'inconscio, affine a ciò che Francesco Orlando chiama il «linguaggio intransitivo» dei sogni, delle fantasie, degli incubi5. Dal punto di vista semiologico, questa scena è interessante come espressione dell'autoriflessione dell'autore sulla testualità del suo lavoro. I «piccoli segni» sull'impugnatura stanno a indicare non solo che Seneca ha sostituito una spada alla tavoletta di Euripide, ma che ha sostituito il suo dramma per intero a quello euripideo. Così questi «piccoli segni» sono una figura della testualità del lavoro: indicano il processo attraverso cui la scrittura genera. significazione. Mostrano anche che il lavoro di secondo grado, derivato dal dramma greco, è divenuto consapevole del proprio posto in una produzione di segni. Per creare la sua opera, Seneca entra in un sistema codificato di motivi e di convenzioni drammatiche, di elementi narrativi, di reti d'immagini, in tutta una serie di modelli testuali che ci riconducono a Ovidio, Virgilio, Euripide, e al corpus mitico dietro la tragedia greca. In questi «piccoli segni» Teseo «legge» un «mostro»-: «quod facinus, heu me, cerno? quod monstrum intuor» (898). Ma il mostro qui si rivela soltanto sotto l'aspetto di Valentino Zeichen miniatura. Questa è una forma puramente convenzionale e simbolica, una serie di «segni». Ma, subito dopo, arriva la realtà (per così dire) del «mostro» descritto dal Messaggero, il mostro che sorge dal mare per uccidere Ippolito. In questo cambiamento di scala - fra la miniatura e il figurativo, da un lato, e il gigantesco e l'eccessivo, dall'altro- il testo-dimostra il proprio potere di creare immagini che noi spettatori (o lettori) accettiamo come cose «reali». Da un altro.punto di vista, questi «piccoli segni» funzionano come le lettere di una scrittura che contemporaneamente presuppone e necessita del supplemento dell'immaginazione perché le parole diventino «realtà». Seneca riconosce i suoi personaggi per mezzo di una scrittura anteriore. Anni fa, il Wilamowitz ha osservato che il personaggio di Medea in Seneca sembra essere qualcuno che ha letto la Medea di Euripide<'.Nella scena della spada troviamo il momento preciso in cui l'autore richiama la nostra attenzione su questa scrittura anteriore che egli ha assorbita e poi cancellata, conservandone solo una traccia in lettere. Attraverso questa traccia, Seneca indica l'origine del proprio lavoro; ma, allo stesso tempo, indica anche la scomparsa di queste origini nel nuovo lavoro da lui creato. Dove erano le lettere del poeta assente, cioè la tavoletta della Fedra euripidea, Seneca ha messo la spada. Questo oggetto, ancora, si può considerare un segno visibile della «ansietà dell'influenza» dell'autore (l' Anxiety of Influence di Harold Bloom). Con la spada che sostituisce e fa sparire la tavoletta di Euripide, Seneca ha fatto del suo predecessore un'ombra, uno spettro. Avendo usurpato il po· tere generativo del «padre» - cioè di Euripide - egli lascia la spada, esattamente come il suo personaggio Ippolito lascia dietro di sé la spada, in un'altra finzione (cioè la bugia di Fedra), dove si tratta di un uomo che prende il posto del padre. Per tutti e due, questo atto di sostituzione è un delitto contro il padre. In questa sostituzione della spada alle letteresi pensi a ciò che Derrida, nel suo commento sulla «parola senza padre» del Fedro di Platone (275 d.:e), chiama la «subversionparricide» (sovversione parricida) che fa la scrittura7 . Questo è il processo in cui ogni scrittura uccide il proprio padre, e mette al posto dell'autorità della parola orale e presente La traccia - cioè, la lettera, il segno dell'assenza. Ma Seneca complica taleprocesso attraverso un simbolo a due tagli. La spada cancella l'autorità del padre nella pro• pria casa. Ma cancella anche le lettere nella scrittura del padre letterario, e ne colloca così il testo in una infinita serie di scritture, parole disseminate in assenza dei padri e simili ali'assenza dei padri. La spada è così la traccia di una scrittura in un duplice senso. Anzitutto, prende il luogo della tavoletta scritta, che è, a sua volta, la tracciadi una voce - la voce di Fedra morta e la voce di Euripide morto. In secondo luogo, la spada è il segno dell'autore più giovane che prende il posto del più . vecchio, del «figlio» che prende il posto del padre. È così il segno di un nuovo colpo creativo che riesce a spingere l'.arma alla sua destinazione, incestuosamente, nel luogo vuoto che per lungo tempo ne ha sentito la mancanza e il desiderio. La spada è anche il luogo d'incontro con un altropadre, il padre Ovidio. Fedra (899f) è una versione senechiana di Ovidio, Metamorfosi 7,419-423: ea coniugis astu ipse parens Aegeus nato porrexit ut hosti. sumpserat ignara Theseus data pocula dextra, cum pater in capulo gladii cognovit eburno signa sui generis facinusque excussit ab ore. ll contesio di questa «imitazione» è anche un discorso sopra la successione legittima fra padre e figlio. Nel testo di Ovidio, il-figlio -cheporta la spada ha il diritto di prendere· il posto del padre; nel testo di Seneca, la spada è il segno del più terribile delitto che possa fare un figlio contro il padre. In Ovidio, il padre (Egeo) riesce a superare la cattiva noverca e impedisce il delitto (facinus) del padre contro ilfiglio. In Seneca, la noverca sembra essere la vittima, ma in effetti ottiene la vittoria; e la spada diviene la prova del delitto del figlio contro il padre (quod facinus, heu me, cerno·, 898). È proprio di ogni grande opera d'arte contenere una molteplicità di significati, qualche volta in tensione l'uno con l'altro. Nella Fedra, come nell'Eneide di Virgilio, abbiamo allo stesso tempo la difesa e la sovversione dell'autorità del padre. Il Teseo di Seneca è un padre che nell'atto di difendere il suo regno dalla mostruosità e violenza diviene anche l'agente e.il portatore di questa medesima mostruosità e vio• lenza.: La spada e l'impugnatura indicano una storia dove· u-,i qrdine patriarcaie (la gloria della casa reale di AJ~~l.'.'- 900) vi~ne ·f/.egatoda un'altra storia, una storia raccontata· non dall'iscrizione sulla spada ma dalla spada· stessa, èioè dalla. sua presenza nelle mani di Fedra. I «piccoli segni» sull'impugnatura ci conducono a una regressione, come in. uno specchio, di lettere dentro letteree di storie dentro storie. Il cambio di prospettiva e la complessità del vero e del falso entro la storia contenuta nell'impugnatura sono un microcosmo della complessità e dell'ambiguità dei segni che ne compongono il testo integrale. Verso lafine del dramma, Fedrasi servirà della spada per suicidarsi, trafiggendosi ilpetto. Per noi, però, la spada non è uno strumento conclusivo. Ci porta, invece, a seguire la catena di significanti che appaiono dietro di essa, e così a subire gli inganni e le rivelazioni dell'opera. La spada è una specie di microcosmo dell'opera; è anche una specie di trap• po/a che ci invita a aprire la sua riserva del silenzio e a colmare il silenzio dei suoi «piccoli segni» con altre scritture, altri discorsi. FrancoLoi Note Questo· saggio fa parte di un lavoro complessivo sulla Fedra di Seneca in corso di preparazione. Vorrei ringraziare la prof. Franca Mariani per il suo vivo interesse e la cordiale ospitalità. (1) Euripide·, /Jaccaf!ti, 810f, Vedi la discussione in Ch. Segai, Dionysiac Poetics and Euripides' Bacchae, Princeton 1982, 285f. (2) R. Baithe~,' Sur Racine, Paris 1963, p. 32. (3) La tradizione manoscritta è divisa sull'attribuzione del v. 863:. l'Etrusco lo dà alla Nutrice, la famiglia A a Teseo. Quest'ultima ipotesi mi sembra la più probabile: è il re che deve ordinare l'aper• tura delle porte del palazzo. (4) H. Bloom, Agon, Oxford 1982, p. 93. (5) F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Torino 1973, pp. 20 sgg. (6) U. von Wilamowitz-Moellendorff, Griechische Tragodie IO, Berlin 1906, p. 4. Vedi anche J. Geffcken, «Der Begriff des tragischen in der Antike», in Bibliothek Warburg: Vortriige 1927-28, a cura di F. Saxl, Berlin 1930, p. 158. (7) J. Derrida, «La pharmacie de Platon», in La dissémination, Paris 1972, p. 87: «Depuis la position de qui tient le sceptre, le désir de l'écriture est indiqué, désigné, dénoncé comme le désir de l'orphelinat et la subversion parricide. Ce pharmakon n'est-il pas crimine!, n'est-ce pas un cadeau empoisonné?» C:SL----------------------------------------------------------------------------'

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