1 Portadell'invasione L a poesia esce dall'imbuto e riesce nuovamente a dire. Gli anni settanta hanno avuto una insolita vitalità poetica; ma spesso hanno prodotto luccicanti gadgets poetici, chiusi oggetti perfetti inutilizzabili oltre i confini alquanto ristretti della società dei poeti: testi come gratificante specchio nelle mani dell'autore o dei suoi complici. Antonio Porta già in Passi passaggi (1980) aveva mostrato in modo netto la sua diversità rispetto alla poesia che-si rintana e che non dice, che fa dell'impotenza una dubbia vocazione. Cq_n Invasioni compie un passo ulteriore e decisivo, un perfezionamento: fa una poesia che dice e che èperf ettamente «tenuta» nell'essenzialità della sua lingua e del suo stile: nellaforma, nell'asciuttezza della prpnuncia. Di fronte allapossibile (e spesso anche remunerativa) scelta della parola alonata, ombreggiata o misteriosa, di fronte ali'allettante virtualità aleatoria del simbolo, Porta sceglie nettamente per la parola esatta, tagliente. Unaparola che rapida affonda oppure che taglia trasversalmente, a rasoiate; una parola quasi come azione. Del resto afferma, già dalle primissime pagine: «lamia poesia, continuo I è un fare non è un essere, o l'essere, I se proprio lo volete, per me è un fare ... » (p. 21). Ebbene, questa poesia, che dice e che agisce, che si muove nel/'ambito di una controllatissima economia della parola, è una poesia continuamente percorsa da un pensiero (pensiero poetico, appunto) e animata da un'emozione tesa che tiene sempre desta l'attenzione del lettore o lo provoca. Un'emozione che nasce da una presenza partecipe (sensibile e nervosa), da un desiderio di ascolto e di respiro del soggetto nel corpo policentrico dell'eSilografia policroma, da J. Trechsel, Il teatro di Terenzio, Lione, 1493 sistente - nel suo «piacere danzante» - che assorbe e rende possibile una incessante «trasfusione». È un io, quello del poeta che parla in questi versi, che si lascia invadere dalla vita, che vivo si sente in causa, in gioco mortale, ma che pure non si dispera vanamente, come faceva l'io borghese: del suo imminente sparire come soggetto cosciente e illusorio protagonista. Sa, insomma, che la condizione in cui si trova non è che una vacanza regolata da un tempo non regolabile; ma gli basta quanto c'è, e scorge quanto ci sarà poi, allorché verrà «trasfuso» nel farsi continuo del mondo, quando sarà corpo assai più lieve e «soffiato via», come «polvere cieca e feconda» (p. 45). Dice, già al passato, del «giorno in 1/5 luglio1984 Maurizio Cucchi cui la sua immagine I coincise con il celeste specchio... » (p. 53). Intanto avverte il trasporto dell'esistere, la sovrabbondanza - dentro di sé e ali'esterno in cui tende a confondersi - della luce vitale, e non è avaro. Si espone e si protende, all'interno di un organismo superiore dove esserci non vuol dire riconoscersi e dove forse è già abolita ogni pausa, poiché è abolita la durata; abolito è il tempo. Ha una fede senza enfasi nella poesia, la sente come alimento e • azione senza velleità sacerdotali, poiché comunque, in Porta, la ragione è sempre attiva e vigile. Si insinua nell'intrico che vede e ha una gran fame di scandagliarlo, di perlustrarlo: «con voce d'acqua il poeta-ragno scende dal soffitto I e la sua bava luccica» (p. 95); naturalmente non si lascia afferrare da nessuna forma di ottimismo consolatorio, è troppo desto per cadere nella trappola. Si chiede «come può un poeta essere amato?»; considera che forse, come al tempo in cui lo diceva Musi/, l'epoca non ama affatto i suoi poeti. Eppure c'è bisogno di poesia: «In questi giorni molti mi chiedono poesie, I qualche motivo buono ci deve essere» (p. 27). Il motivo sicuramente c'è; a volte, per esempio, la parola poetica è ammaliante e suadente come una melodia: «una melodia che sale I una melodia che scende/piace anche al gatto» (p. 25). Già, perché è (o ha in sé) qualcosa di fisico che pensa, è una voce, una lingua che dice e lambisce, ruvida o carezzevole. La poesia, insomma, è un atto centrale dell'esistenza e un ponte su un futuro per niente incerto (incerto, precario è semmai il presente... ). Anche se l'esserci - appunto qui, in questo ruolo umano, in questo corpo - non ha in sé nulla di centrale o necessario. Eppure smuove sentimenti, suscita reazio~ Silografia policroma, da J. Trechsel, Il teatro di Terenzio, Lione, 1493 ni, è un dato a partire dal quale ci è consentito testimoniare, dire: «amico mio, pieno di gioia I vuoto di spiegazioni I colmo di ira I io sono» (p. 56). Unapausa dopo questi versi, che rimuovono la paura, che la scacciano, che sono di certo tra i più belli del libro. Una pausa che apre, dopo il «diario» dal titolo «Come può un poeta essere amato?», sulla sezione delle vere e proprie «invasioni», che sono scaglie, frammenti, brandelli di vita pulsante come colti allo stato naturale. Sono brevissime illuminazioni e sono anche il cuore del nuovo libro di Antonio Porta. Se nel «diario» il poeta entrava direttamente nelle cose esprimendosi, pronunciandosi, definendo, qui è come se lasciasNell'ambito della manifestazione sono previste Mostre, tra cui: Lavitainun'immagine se del tutto libere di circolare, di esprimersi, in continui rimandi interni di luce, le presenze che riesce a percepire. Sono poesie che ricordano l'esempio del haiku, e che non possono essere descritte, poiché la descrizione finirebbe con lo spegnerle: sarebbe come descrivere una frase musicale. È solo la pagina che in qualche modo riesce a trattenerle. Sono, per citare due versi della sezione precedente, appunto il «diario», «soffio che passa e subito ritorna, I qui sulla pagina vola» (p. 42). Nell'ultimo capitolo, invece, Porta rimedita l'insieme, rimedita il percorso compiuto. Dà simmetria al libro, come si esige perché un'opera si compia. Non per questo vuole trarre conclusioni; non vuole che l'opera si chiuda su se stessa. Vuole semmai che danzi e che calchi «le tracce I dei linguaggi infiniti» (p. 100), che sia libera di pronunciarsi e di rigenerarsi, mentre qualcuno sempre vola in avanti, «in salvo I furto di primavera» (p. 104). Vuole che si sottragga al viso di morte della rinuncia («Vai, canzone mia I e ripeti a chi guarda irridendo I a chi rinuncia: 'te, io derido'», p. 103). Così la stacca da sé, la invita a compiere il suo viaggio, che non avrà durata, e andare: non senza però avere sorriso al suo autore, averlo degnamente salutato. Antonio Porta Invasioni Milano, Mondadori, ·1984 pp. 116, lire 16.500 a cura di Giampiero Brunetta, docente di Storia del cinema all'Università di Padova Chiomadoro unpersonaggiroosainungiornalemaschileI,'«Intrepido» a cura di Graziano Frediani e Renato Genovese, della rivista «Orienf-Express» Convegno Rosa,Rosae:declinaziondeiuncolore con interventi, fra i tanti, di: Natalia Aspesi, Francesca Battaglia, Anne Marie Boetti, Gianni Bornia, Giampiero Brunetta, Giampaolo Ceserani, Callisto Cosulich, Oreste del Buono, Ugo Gregoretti, Patrizia Magli, Andrea Mantelli, Valeria Moretti, Francesco Pinto, Beniamino Placido, Maria Pia Pozzato, Vittorio Spinazzola, Letizia Tarantello, Duccio Tessari 00 1:3 i::: -~ ~ ~ ..... o i::: ~ "èc; ..... 'O i: ~ ~ -e ~ - ...._ _______________________________________________________________________ _.1:3
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